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Ricorrenze / Don Vasco Casotti, l’ultimo parroco che abitò la canonica di Cola

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“Ho visto quell’aia, prima benedetta dal lavoro sano, dal sudore fecondatore, ora ribenedetta dal sangue dei martiri, ho visto le macchie di sangue e ho pianto. Ho pianto per le tante amicizie troncate, ho pianto per quell’incontro improvviso con tanta sofferenza. In questa piccola oasi di dolore ho visto tutta l’umanità sofferente, tutto il sangue umano che arrossa la terra per la cecità degli uomini, ho visto il volto di Cristo incoronato di spine, sputacchiato, deriso, flagellato, crocifisso”. E’ uno stralcio del toccante memoriale di don Vasco Casotti, custodito dallo storico Giuseppe Giovanelli e dato alle stampe in questi giorni, dell’ultimo parroco che abitò nella canonica dell’antica parrocchia di Cola di Vetto.

A vent’anni dalla morte e a cento dalla nascita, la sua ultima parrocchia ne ricorderà la figura. Don Carlo Castellini, parroco dell’Unità pastorale di Vetto, ha individuato in domenica 17 agosto, con inizio alle ore 17 presso il salone dell’ex-asilo di Cola, il momento del ricordo del religioso suo predecessore. Interverrà il vescovo Adriano Caprioli, dopo che avrà portato la sua testimonianza-ricordo anche don Efrem Giovannelli, assieme allo storico Giuseppe Giovanelli, autore di “Don Vasco Casotti - Memoriale di Guerra” che ne rende sapientemente la figura.

Don Vasco era nato il 29 luglio del 1908 a Migliara, venne ordinato sacerdote il 15 luglio del 1934 e dapprima fu curato a Montecchio per quatto mesi, poi partecipò al concorso per la parrocchia di Febbio, sull’Alpe di Cusna. Parroco di lettere, non amava scrivere, ma all’occorrenza sapeva incidere con la penna la carta, senza timore di lasciare intravedere il troppo sangue visto negli anni della guerra. Il suo memoriale, incompiuto, fu scritto anteriormente all'autunno 1947, ma mai divulgato. Nel 1970 don Cocconcelli gli chiese di scrivere la sua testimonianza o, meglio, di dettare al registratore di Guerrino Franzini - l'autore della "Storia della Resistenza Reggiana".

Da questa intervista uscì un articolo comparso l'anno dopo sulla rivista dell'Istituto per la Storia della Resistenza di Reggio. “Il valore del memoriale – spiega Giovanelli - sta appunto nell'essere stato scritto vicinissimo agli eventi. Lo ricevetti dalle sue mani durante la sua degenza ultima a Villa Paola”.

La preoccupazione di don Angelo stava nel fatto che all’Istituto di Storia della Resistenza giungessero memorie in grande misura non cattoliche, quando invece la parte bianca della Resistenza aveva dato un grande contributo alla Liberazione. E lui, ricorda Giovanelli, “aveva saputo distinguersi per dedizione e generosità”. Qualità che dimostrò durante la liberazione dall’oppressione nazifascista, ma anche in seguito nel suo ministero.

Dal suo osservatorio di Febbio ci sono, oltre alla vicenda dell’uccisione di don Borghi, le storie della guerra in montagna, dei suoi contatti con Marconi, dei tentativi di accordarsi con la parte avversa, dell’operato per liberare i prigionieri, del suo nascondere i partigiani ai rastrellamenti, come i fratelli Barbolini rifugiati nel sottoscala della canonica, della paura della madre…
Manca, nel memoriale, il ricordo dell’agito di don Vasco dalla primavera del 1944 al 25 aprile del 1945. Non si sa se siano mai stati scritti, eppure “furono dodici mesi intensi che coinvolsero don Vasco, la sua famiglia (perse un fratello durante un attacco nella Pasqua del ’45, assieme al vicecomandate delle Fiamme Verdi, ‘Elio’ William Manfredi) e la sua parrocchia”.

Dopo la guerra don Vasco non cercò medaglie, eppure la Missione Alleata di Collegamento, ricordandone le gesta, scrisse numerose proposte di aiuto alla sua parrocchia. Mantenne i contatti con molte persone, come gli aviatori americani caduti e salvati. Leo Martin, del Massachusset nel 1947 gli scrisse “mi farebbe molto piacere avere la fotografia del mio carissimo amico che mi ha aiutato a salvarmi la vita dai todeschi quando fui in Italia e posso ancora ricordarmi di ‘Mama’ – Adelma, madre di don Casotti ndr - come solo ieri l’avessi vista per l’ultima volta. Lei sicuramente ottima cuoca ‘Yum Yum’ e Papà è stato anche un buon compagno. A George e me piaceva lavorare con lui tagliano la legna e mietendo il grano…”. In quell’anno don Vasco divenne parroco di Cola, dove molti lo ricordano con quella buffa Isotta, col portellone davanti, e, poi, con la Renault 4 bianca a portare la comunione tra le borgate. Una malattia ne causò, nell’ultimo periodo della sua vita, l’amputazione di una gamba. Lui proseguì nella sua missione, anche nel silenzio di Villa Paola, dove fu accudito e dove scrisse il testamento spirituale. Il 5 giugno 1985 a Reggio Emilia sarebbe venuto Giovanni Paolo II e don Vasco aveva in serbo, durante l’incontro con i malati, il suo intento di donare al Santo padre tutti i suoi, pochi, averi. Un infarto, però, ne causò il decesso due giorni prima, il 3 giugno. Don Vasco, conclude Giovanelli “fu partigiano della libertà, della vita, dell’amore”.

DAL MEMORIALE DI DON CASOTTI

Don Pasquino, il tentativo di liberazione del martire, mai avvenuto

Il memoriale di guerra di don Vasco consta di otto facciate, scritte di getto eppure ricche di notizie di quel periodo che lui, assieme ad altri religiosi, diede al movimento. Un esempio? Saputo dell’arresto di don Pasquino, là a Tapignola dove si era “in numerosa combutta”, don Vasco venne informato da un autista amico che “per l’indomani i fascisti avevano accaparrato 5 posti nella corriera ‘Sarsa’”. Don Casotti salì sul mezzo che trasportava don Pasquino a Reggio, “circondato da 5 sgherri” perché, in accordo con Pedroni, si era provato a preparare un piano per liberare don Pasquino durante il trasporto, ma qualcosa non funzionò, la liberazione dell’amico non avvenne e don Vasco ne ignorò i motivi.

(Gabriele Arlotti)

1 COMMENT

  1. L’amore per Cola fino all’ultimo
    Ho avuto l’onore e l'”onere” ( poi spiegherò il perchè) di averlo come ospite, a Villa Paola. Ho fatto con lui lunghe chiacchierate. Il “problema” era l’amore sempre vivo per la sua parrocchia di Cola! Spesso mi chiedeva di accompagnarlo là, nella sua Chiesa e canonica. Ma per salire in canonica dovevo partarlo in braccio (“onere”); ma era un dolce peso. Altro appuntamanto a cui non potevo sottrarmi era quello di accompagnarlo alla festa della porchetta. Dai suoi parrocchiani era considerato ospite d’onore e di questo andava molto fiero. Si fermava a parlare con tutti e tutti si fermavano a parlare con lui. Così che fino a tarda ora non si rientrava a Castelnovo. Mi regalò un binocolo, che gli aveva donato un ufficiale straniero. Ora di binocoli ne ho dei molto più moderni e potenti… ma quello regalatomi da don Vasco è speciale, perchè è l’unico che mi permette di guardare “INDIETRO”…

    (Umberto Gianferrari)