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CROLLO DI GOTTANO / LA TESTIMONE: “Il Medioevo che amo mi crolla addosso”

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GOTTANO DI VETTO (19 giugno 2008) - “Sono voluta venire ad abitare nel Medioevo e ora il Medioevo mi crolla addosso”. E’ sconsolata Tiziana Cabassi la gottanese (adottata) che ha dato l’allarme dopo l’ultimo crollo adiacente alla sua abitazione. Se ne sta a cavallo delle transenne messe mesi fa e scrolla la testa. Lei è a suo modo un personaggio. Impiegata comunale a Reggio, ‘quando ai tempi organizzavo visite guidate - per Cervi, Baricchi, Umberto Nobili - ai gioielli della nostra provincia, dai castelli ai borghi, tra i quali il borgo di Gottano…’. Una volta scoperto se ne innamora e decide di venire a vivere qui a pensione raggiunta. L’antico edificio al numero 25 è suo dal 1996. “Qui si poteva comprare senza spendere molto e mi ritrovo ora a dormire in una camera in stile ‘imperiale’, mentre quella accanto alla mia era la casa, con un pregevole ingresso datato Settecento, del podestà di Vetto”.
Come si è accorta di quanto è accaduto mercoledì notte?
“Al mio risveglio al mattino – racconta Tiziana – ho visto i fili del telefono aggrovigliati e non capivo perché. Poi mi sono resa conto di quanto è accaduto. Questa situazione di degrado e abbandono mi incupisce e passo molta parte del tempo con la televisione accesa. No, non ho sentito nulla durante la notte, ho visto tutto al mattino. Ora ho il telefono fisso completamente muto”.
Che idea si è fatta?
“Che a Gottano hanno abitato le persone per millenni consegnandoci questo gioiello architettonico. Poi arriviamo noi e non siamo in grado di tenere in piedi le case nel volgere di un paio di decenni”.
Di poche parole, preparato nell’aiutarci a ricostruire la dinamica dei fatti, il giovane architetto Paolo Castagnetti è tecnico del Comune di Vetto, il padre è di Bibbiano, lui vive a Reggio. Ha curato il progetto per la riqualificazione pubblica di questo paese. Tanto bello che ha deciso di venirci a vivere. Sta, infatti, ristrutturando l’abitazione materna nel cuore storico del borgo”. “Quando salgo quassù – racconta lui – è come se venissi a lavorare in vacanza. Diversamente mai farei quaranta chilometri per andare a lavorare”.

(g.,a.)

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