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Su nel Paradiso, Sergente nella neve!

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Il vento degli Alpini che sono andati avanti ha preso per mano anche Mario Rigoni Stern, il “Sergente nella neve”. Ci sarebbe piaciuto davvero tanto averlo nei nostri monti come, con dovizia, aveva provato a fare l’Assessorato alla Cultura della Comunità Montana prima di essere sorpassato dall'incedere della malattia. Avremmo davvero voluto sentire la 'sua' storia dalla 'sua' voce.
La scomparsa dello scrittore ce la racconta in modo asciutto, da Alpino non c’è che dire, la televisione, a funerali avvenuti, oggi 17 giugno 2008. Una di quelle morti sì lontane ma che, nel lungo filo invisibile che unisce le montagne del mondo, non lascia indifferenti. Sarà perché sale al cielo una di quelle anime col cuore davvero negli altipiani “perché qui sto bene”, diceva lui. Sarà, anche, perché ogni nostro borgo, ogni contrada, tante nostre famiglie hanno perso un figlio arruolato, nelle file degli Alpini, sul fronte di una guerra sbagliata. E ci fa davvero piacere il messaggio di cordoglio del presidente Napolitano.
Da qui vicino scendono oggi tumultuose le acque dell’Enza. Più a valle arrivano a lambire il cimitero di Montecchio, dove riposa il generale Luigi Reverberi. Al comando della Tridentina, portò a casa gli Alpini e quel che restava di interi reparti distrutti (40.000 uomini) con le ultime forze, rompendo l’accerchiamento russo a Nikolajewka il 26 gennaio del 1943.
Chi tornò in Italia non ebbe il riconoscimento che, magari, si sarebbe aspettato. C’erano troppi guai da dimenticare, c’era una guerra ancora in corso, c’era quella lontana in Russia. Erano partiti più di 85mila soldati per abbattere il comunismo e, secondo Mussolini, anche per gettare “qualche migliaio di morti” sul tavolo della vittoria, cui sedere dopo. Tanti di loro, cantavano "Aspetta mia bambina il mio giorno, vado, vinco e torno". Morirono alla media di 2000 al giorno, 300 all'ora, 6 ogni minuto. Un sacrificio sull’altare della guerra sbagliata. Al punto che nemmeno era lecito parlare di chi, pur arruolato, la combatté per la Patria: era meglio non parlarne affatto, anche se si trattava in tanti casi di sconosciuti eroi.
Ai tempi delle scuole elementari, negli anni Settanta in città, studiai con piacere l’epopea della prima guerra mondiale italiana vittoriosa, del sacrificio dei partigiani nella seconda per la Libertà,… ma non una parola sugli Alpini in Grecia, Albania, in Russia, nei lager… Nemmeno ai tempi delle medie.
Ci vorranno parole libere e immortali nelle letture di narrative come quelle di Mario Rigoni Stern sul dramma russo, ma anche di Giulio Bedeschi con “Centomila gavette di ghiaccio”, don Carlo Gnocchi “Cristo con gli Alpini” e di altri autori come Egisto Corradi (padre della giornalista Marina, di Avvenire) per sdoganare quell’inferno bianco ben oltre la storiografia ministeriale. Tra episodi di vero eroismo, solidarietà e anche barbarie ho scoperto anche la vita dei nostri Alpini, tra i quali tanti montanari vicini di casa.
Vorrei essere accanto a Neo Ruffini del Sole di Vetto. E’ uno che dalla Russia è tornato a piedi e quasi ogni giorno si gode il cielo seduto ai bordi della strada provinciale 513. Vorrei leggere nei suoi occhi la notizia della scomparsa di questo padre letterario degli Alpini. Oppure vorrei cercare lo stupore tra i capelli, barba e baffi, candidi come la neve, di Pasquale Corti, primo a portare sulle sue gambe – che di chilometri ne hanno fatti davvero tanti - la mostra degli Alpini in Russia nell’Emilia rossa. In una terra dove queste cose era bene dimenticarle in fretta, incuranti del dolore di chi non è tornato, di chi è tornato e non è stato ascoltato, di chi non ha visto tornare.
Ricordo, nel 2003, quando osai telefonare a Rigoni Stern presso la sua abitazione ad Asiago. Il recapito telefonico lo trovai nelle Pagine Bianche. Cercavo notizie sul celebre canto “La Montanara”, mi rispose la moglie. Con cordialità ma diffidenza e forse avvezza alle troppe interviste da dover flirtare, gli pose la cornetta solo dopo essersi sincerata delle mie intenzioni di ‘non scocciatore’. Di Rigoni Stern mi colpì la cordialità, il suo interessamento alla questione semplice - ma per me importante - che osavo sottoporgli, il suo disinteresse ai miei inutili complimenti allo scrittore.
Se c’è il Paradiso, è bello pensare che ora Rigoni Stern stringerà di nuovo la mano al ‘nostro’ generale Luigi Reverberi. Un giorno lo scrittore volle intervistarlo. E su Epoca del 28 giugno del 1959, di questo reggiano oggi sconosciuto ai più, scrisse: “Ricordo le parole che il generale Reverberi mi disse qualche tempo prima di morire. ‘Ma quanto ci è costato? Qualcuno ci aveva detto di andare oltre ma il nostro cuore ci ha portati qua. Si avanzava per andare a baita. Allora sì che abbiamo lottato per la nostra Italia, per le nostre valli, i nostri campi, le nostre donne’. Ci hanno detto che fummo meravigliosi. Forse sarà vero ma una lunga strada è stata segnata: ossa, zaini, scarponi, armi e sangue. Ora su queste cose il vento dondola i grani”.

(Gabriele Arlotti)

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