Riceviamo e pubblichiamo.
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Vorrei fare alcune riflessioni sul confronto importante aperto dai sindacati CGIL, CISL e UIL, che tra l’altro ha il pregio di cercare di costituire uno “spazio pubblico”, uno spazio di confronto vero, sociale, umano e civile che la civiltà della televisione ci ha sottratto.
1) C’è una ferita del territorio sociale del crinale dell’Appennino reggiano. C’è un dolore insistito, un lutto non elaborato per l’emorragia di risorse umane che ha impoverito e intristito le comunità locali. Non è una metafora politica. E’ un sentimento presente nell’animo della gente comune, degli amministratori, quasi una sensazione opprimente. E’ cresciuta moltissimo la condizione materiale. Nei borghi, un tempo luoghi di miseria, ci sono acqua, luce, illuminazione pubblica, abitazioni più che dignitose, automobili, parabole TV, verde, servizi per bambini, per gli anziani, consumi di livello europeo. Ma non basta. Evidentemente è vero che “i soldi non sono tutto nella vita” e il dovere sociale emerge a ogni passo, a ogni pubblico confronto. E’ il dolore per una perdita che è avvenuta e che induce a tenere quantomeno il cuore rivolto al passato e la mente a cercare nel futuro quello che è stato, piuttosto che quello che poteva essere.
2) Il Parco nazionale non può ricostruire il passato. E non è nato per questo. Anzi esprime di per sé una visione rivolta a un futuro – che a molti appare astratto - ma che in verità è molto meno astratto della inconfessata speranza che torni il passato o che arrivi lo sviluppo inteso come lo sviluppo industriale o manifatturiero. E’ interessante ma paradossale osservare come lo sviluppo industriale-manifatturiero - che è la vera causa dello svuotamento della montagna - abbia rischiato di diventare proprio per molti montanari l’oggetto del desiderio. Un feticcio culturale, che riceveva molti più inchini e attenzioni di quanto non ne riceve l’antica matrice agro-silvo-pastorale dell’alta montagna. Quella matrice rivisitata e rivissuta può essere la base dello sviluppo di una economia e di un lavoro per servizi, loisirs, beni immateriali che possono essere messi in circuito; e anche, nel campo dell’energia,il terreno della crescita di una produzione diffusa e di un uso efficiente dell’energia rinnovabile, che in futuro potrebbe arrivare anche all’autosufficienza energetica del territorio (in un Paese che dipende dall’estero per l’80% dell’energia, vorrebbe dire moltissimo). Il Parco non propone di tornare a fare i carbonai. Ma vuole portare con continuità pluriennali giovani nei borghi di crinale – d’estate e d’inverno, per fare con loro e al tempo stesso con le comunità locali, economia, turismo, ambiente e cultura. Vuole realizzare una scuola di montagna a Succiso; un laboratorio di pedagogia e scienza su acqua ed energia a Ligonchio. Un centro di attività sportiva quattro stagioni in val d’Asta; un luogo di osservazione sulla fauna - e inoltre porte di accesso e informazione nei punti più panoramici degli accessi stradali e sui passi – oltre a centri visita convenzionati ovunque con operatori privati di pubblici esercizi. Non sono fantasie ma progetti già in corso. E come è in corso il progetto d’area più vasto “Parchi di mare e d’Appennino”. In tre-cinque anni gran parte di questo può essere realizzato.
3) E’ importante che proprio dai sindacati sia giunta una apertura alle visioni più innovative. Le idee e i sentimenti si muovono sempre in molte direzioni, anche contraddittorie. E naturalmente anche le tematiche “industriali” e materiali più tradizionali hanno mantenuto una importanza nel documento proposto. Ma la novità e il senso vero sta nell’apertura. Nell’identificazione dell’ambiente come materia prima e non solo cornice dello sviluppo. Nell’attenzione al ruolo del Parco nel definire un “marchio” (marchio non inteso come etichetta commerciale, ma come valorizzazione dell’identità e delle vocazioni d’eccellenza) del territorio; ruolo del Parco nel costruire nuovi orizzonti e nuove alleanze territoriali (il versante toscano, le Cinque terre, il Mar Ligure); ruolo del Parco nel comunicare la specificità di un Appennino ricco di insediamenti umani e prodotti di qualità. Giustamente i sindacalisti hanno sottolineato che dal Parco non ci si possono attendere miracoli e tanto meno – aggiungiamo noi - la supplenza al ruolo delle altre istituzioni e di Provincia, Comunità montana, Unione e comuni.
Il Parco deve fare bene la sua parte. Non quella di altri. Non può realizzare la cosa più importante e urgente, l’azzeramento del digital divide con le aree urbane. Eppure senza quell’azzeramento è anche il Parco come ente che fa fatica a funzionare. Non può per esempio essere titolare delle politiche forestali (che fanno capo a Regione e Ministero dell’Agricoltura) né di quelle di difesa del suolo (che fanno capo a Regione e Ministero dell’Ambiente e del territorio). Certo vi è bisogno, estremo bisogno, di concertazione e collaborazione innanzitutto tra le diverse istituzioni. Le frantumazioni e l’egoismo locale sono i mali di questo territorio, e sono ancora troppi quelli che scambiano il campanilismo chiuso e culturalmente povero con l’identità che, al contrario, in termini di globalizzazione, è una ricchezza inestimabile, proprio perché permette il confronto e la collaborazione a tutto campo. Il Parco presenterà i propri investimenti il 14 maggio, nel teatro Bismantova di Castelnovo ne’ Monti. Non è stato previsto in relazione all’iniziativa di CGIL CISL e UIL, ma la vicinanza delle due iniziative forse non è casuale e può costruire quello “spazio pubblico” in più, di confronto delle idee migliori, di cui c’è tanto bisogno.
(Fausto Giovanelli, presidente del Parco nazionale dell'Appennino tosco-emiliano)