E' morto ieri sera a Collagna il papà di don Fortunato Monelli, Terenzio, di 97 anni, compiuti da poco. Un uomo grande in senso letterale, con la sua statura da corazziere e il portamento dritto e nobile difficile da riscontrare in montagna. Un grande uomo, che si è occupato sempre del figlio Prospero, disabile, il suo "bambino", insiema alla moglie Anita, fin che c'è stata, poi con l'aiuto degli altri figli, di cui uno è, appunto, il parroco di Collagna. Il periodico Tuttomontagna aveva pubblicato, tempo fa, il suo diario a puntate; forse merita riprenderne almeno una pagina (che pubblichiamo più sotto), quella in cui Terenzio scrive una lettera commovente fino a "strappare l'anima" alla moglie che non c'è più. Come non immaginarlo lassù, abbracciato alla sua Anita? Le condoglianze di tutta la montagna a don Fortunato e agli altri figli, a cui resta il vuoto di una persona così grande, grande davvero, quello che la Bibbia definisce un "giusto".
* * *
Lettera alla mia ANITA (*)
Quando alla notte non dormo, penso ai tempi lontani.
Ricordo quando, finita la licenza del matrimonio, tu mi hai accompagnato alla corriera che era pronta per partire.
Al momento che dovevo partire tu ti sei attaccata al mio collo e non volevi che io partissi, ma bisognava partire e io sono partito e tu alla notte piangevi e sospiravi ed invocavi il mio nome:
"è partito per la guerra, ritornerà?".
Io andavo su e giù per l'Italia senza una fissa dimora e poi, dopo tante settimane, la fortuna di tornare a casa e di rivedere te, moglie.
Ricordi? Incominciammo il nostro lavoro di montanari.
La montagna richiedeva tanto lavoro e poco ricavato ma noi eravamo contenti anche di poco, perchè quel poco era sufficiente per noi.
Ma quanta fatica per allevare i tuoi figli, i nostri figli.
Dico i tuoi figli perchè tu li hai portati in grembo, tu gli hai dato il tuo latte e gli avresti dato anche tutto il tuo sangue.
Quando sono cresciuti sono andati al di là dei monti, al di là dei mari, nei continenti lontani.
Anche là ci hanno voluto bene.
Anche questo è merito tuo, il tuo insegnamento.
Io ero orgoglioso di te, perchè tu sapevi tenere la pace, tu sapevi perdonare, tu sapevi quello che tanti non sanno.
Ora sei partita e mi hai lasciato solo. Non sono solo, ma mi manca il tuo calore, la tua presenza, il tuo consiglio.
La gente mi dice: "Contentati, che l'hai avuta per tanti anni".
Ma, io sono egoista e non sento tutti quegli anni, sento il vuoto del tempo che tu mi manchi.
Ora soffro, ma soffro tanto.
Nel tempo passato ero una candela spenta ma facevo luce anche di notte, perché andavo di notte e di giorno e nessun temporale mi ha mai fermato.
Ero contento ed orgoglioso quando potevo dare una mano a chi aveva bisogno e lo dico perchè prima me lo hanno detto gli altri.
Se poi ho fatto del male, me lo dicano in faccia e ad alta voce che tutti possano sentire.
Ora sono una candela accesa che sta consumandosi e speriamo che non si spenga presto.
Se di lassù mi senti mandami un po' di rassegnazione, che possa vivere, perchè i nostri figli hanno ancora bisogno di me.
Ah, se ti potessi riavere anche per poco abbandonerei casa, tetto per andare a vivere nella boscaglia allo stato selvaggio, a tutte le intemperie sotto a una tenda.
Quelle intemperie le affronterei con facilità pur di stare insieme a te.
Ma è una cosa impossibile, devo fare brutta faccia alla cattiva sorte, devo cercare il coraggio di affrontare la solitudine, che mi fa spavento, che mi fa paura, lo devo cercare in ogni angolo della casa, in ogni continente, ma lo devo trovare.
Perché se non lo trovo, mi rendo vile, e tu stessa non saresti contenta che mi rendessi vile, perché ti conosco da vecchia data.
Questa è la mia camera, prima e dopo.
In quella camera andavano a riposare da tanto tempo due anziani stanchi, ma molto stanchi.
Perchè erano stanchi?
Perchè da tanti anni avevano da tirare un carretto, se così si può chiamare.
In quel carretto c'era, e c'è sempre, un bimbo infermo che è mio figlio.
Lo abbiamo tirato da una sponda all'altra, dai monti al piano, da un bosco all'altro, da ogni parte;
quando non si tirava il carretto, si portava sulle spalle e si andava dove c'era bisogno di andare.
Perchè noi lo abbiamo messo al mondo e noi lo dobbiamo assistere, senza pretendere da altri.
Se qualcuno ci ha dato una mano lo dobbiamo ringraziare ma toccava e tocca a noi assisterlo senza lamentarci perchè è un dovere ed un obbligo.
...e alla sera, quando andavamo a riposare, quella camera sembrava un paradiso, anche se eravamo stanchi.
Perchè sembrava un paradiso?
Perchè eravamo in due a dividere le sofferenze:
uno aiutava l'altro, non c'era bisogno di parlare tanto per capirci; bastava guardarci in faccia.
Sapevamo che toccava a noi tirare avanti con rassegnazione.
Ora quella camera ha cambiato aspetto.
Non dico che sia diventata una "camera a gas" o "crematoria", ma peggio ancora, perchè nella camere a gas quei poveri innocenti che ci capitavano, dopo poco, non soffrivano più, mentre io soffro ancora tanto.
Alla notte mi giro da una parte ma... non sento nessuno che respira per potermi consolare... mi giro.
Dall'altra parte... sempre la stessa sofferenza!!
Quanto male avrò fatto a questo mondo per avere avuto una condanna così pesante!
Se ho sbagliato è giusto che io paghi.
Se è colpa mia è giusto che io soffra.
Ma se i giudici avranno sbagliato persona e invece di punire il colpevole hanno condannato me, un innocente?
(*) di Terenzio Monelli
Senza parole
Non vi sono parole in grado di definire lo spessore e la profondità del carattere e della personalità di Terenzio. Una grande perdita non solo per Collagna. Sono orgoglioso di aver avuto la fortuna di conoscerti. A serv’damma.
(Commento firmato)