Home Cronaca Il caos calmo e colorato del popolo indiano in terra reggiana

Il caos calmo e colorato del popolo indiano in terra reggiana

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Siamo a Novellara, in piena pianura Padana, ma sembra di trovarsi nel centro di New Delhi. La moltitudine, coloratissima, pare infinita. I turbanti turchesi, arancioni, bianchi e viola degli uomini fanno da contrappunto agli abiti sgargianti e agli ornamenti dorati delle donne e delle giovani ragazze. Tutti bellissimi, anche i nonni dalla lunga barba bianca e dagli acuti occhi sereni, con la veste sikh e il pugnale alla cintura. Chissà che penseranno del nostro mondo.

Il caos è mirabolante, ma la gentilezza nei modi e la purezza negli sguardi fa sentire a proprio agio, pure se ci si è dovuti togliere le scarpe, girare a piedi scalzi e mettere il velo sul capo. Scappa da tutte le parti, il velo, malgrado ciò le indiane lo portano con un’eleganza invidiabile, camminando a testa alta, con incedere nobile e pulito. Siamo al “Baisaki”, la festa di primavera iniziata domenica 19 aprile. Una festa divenuta religiosa, che si accompagnava, un tempo, alla trebbiatura e segnava la fine e l’inizio di due diversi cicli di coltivazione. Nel giorno di “Baisaki”, i Sikh dell’Emilia e delle regioni vicine vanno al tempio di Novellara, il gurdwara, per ascoltare le lodi a Dio e ricordare la fondazione della Kalsa (confraternita religiosa che riunisce i Sikh praticanti, che hanno ricevuto il “battesimo” e indossano alcuni simboli religiosi, come la barba e i capelli lunghi raccolti sotto il turbante) e consumare un pasto offerto a tutti gratuitamente.

Anche gli indiani della nostra montagna sono scesi alla celebrazione; tra di loro Varinder Singh, che vive e lavora a Toano, accompagnato da suo padre, sua madre e la sorella Rubby che, invece, lavorano a Carpineti. La festa di Baisaki è preceduta di solito da una processione religiosa (che si chiama Nagar kirtan, cioè “lode a Dio per le strade della città”). In origine i Sikh accorrevano al suono dei tamburi e dei canti e si riunivano per andare ad incontrare il loro Guru.

La processione aveva la funzione di chiamare a raccolta i fedeli in modo analogo a quanto fanno le campane delle chiese nostre che suonano per annunciare le funzioni religiose. Anche domenica scorsa si è ripetuto il corteo, partito la mattina dal tempio di via Lorenzo Bandini per arrivare al centro storico del paese, attraversandone le vie preceduto da un veicolo che trasportava i libro sacro Adi Granth. Gurdwara, letteralmente "Porta del Guru", è anche la cerimonia durante la quale viene letto un brano del Siri Guru Granth Sahib, il libro sacro in cui sono stati raccolte le esperienze di santi Sikh, Musulmani, Sufi ed Hindu. Guru Gobid Singh lo consacrò come “Guru Vivente”, cui qualsiasi cercatore di verità si potesse recare per avere indicazioni per la propria vita. Il libro è una fonte spirituale al tempo stesso molto elevata ed accessibile: seguendo semplici indicazioni (capo coperto, piedi scalzi e, se si tocca personalmente il Guru, ovviamente mani pulite) è possibile consultarlo per ricevere un'ispirazione. La lettura è preceduta da numerosi canti e seguita dalla distribuzione della Guru Prasad e del Langar, pasto comunitario.

Colpisce l’assenza di fretta, la calma e l’amabilità con cui le migliaia di persone presenti si muovono, si fermano a parlare, si siedono per ascoltare le parole del libro sacro trasmesse all’esterno del tempio dall’altoparlante; colpisce la bellezza dei volti, l’eleganza degli abiti, l’ordine nell’assoluto e mescolato viandare. È un caos ordinato e pacifico, rumoroso, ma riguardoso delle persone: nessuno che ti sbatta contro, nessuno che ti spinga, nessuno che ti rivolga sgarbatamente la parola.

Viene voglia di pregare dinanzi al simbolo sikh che, come una lunga antenna piantata a fianco del tempio e rivestita di un drappo arancione, ricorda il campanile e la croce delle nostre chiese. Ed è così che la spiega Varinder: “Quello è il nostro simbolo, è come la vostra croce”. Alta, fino al cielo, per portare a Dio le preghiere di tutti i suoi figli. “Speriamo solo che non si fermino lì” – dice Varinder indicandone la sommità. Già, speriamo.