Un deplorevole malanimo amministrativo, poco lodevolmente sostenuto anche da un autoritarismo campanilistico tanto palese quanto ai giorni nostri ingiustificato, costituisce la causa principale del comportamento poco responsabile del governo comunale nei confronti della ben nota e molto triste vicenda delle opere di recupero architettonico ed archeologico degli imponenti “resti in elevato” dell’antica rocca di Minozzo.
Euro 23.700: è questo l’impegno di spesa veramente irrisorio e da “vera presa in giro” (essendo stato computato in euro 270.000 l’onere per il proseguimento dei lavori, naturalmente destinato ad aumentare più passa il ritardo della loro ripresa) che la giunta comunale ha inserito nel Programma triennale delle opere da realizzare 2008–2010 usufruendo di “residui di finanziamenti R.E.R. su leggi varie e da questo si evince che la somma, anche se misera, era già disponibile prima della stagione invernale e poteva essere impegnata almeno in parte in opere di protezione delle stanze scoperte e di eliminazione di pericoli sulla sommità e sul lato sud, della quale era stata evidenziata l’urgente necessità (basti pensare alle rovinose conseguenze delle attuali continue giornate di pioggia; un sopralluogo sarebbe davvero urgente!).
A questo punto, anche se “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire“, è indispensabile una volta di più, ma con argomenti aggiuntivi e precisazioni di date e di elementi documentati, ribadire alcune considerazioni essenziali nei confronti di quella che giustamente si può considerare una brutta pagina di pubblica attività amministrativa.
Riassumendo il percorso di quanto al riguardo è accaduto,occorre obbligatoriamente fare riferimento ad una data: 3 giugno 1990. Dopo alcuni decenni contraddistinti da molte richieste della locale Pro loco, rimaste concretamente inevase, nonostante precise norme trasmesse al Comune di Villa Minozzo prima dalla Soprintendenza ai Monumenti dell’Emilia nelle date 21 novembre 1967 e 19 agosto 1972 e successivamente dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali ed Architettonici di Bologna nelle date 8 luglio 1982, 18 ottobre 1984 e 15 dicembre 1989, tutte, le prime, finalizzate all'“estrema urgenza di interventi con efficace lavoro di consolidamento" e alla “predisposizione di vincoli” nella zona adiacente il torrione, e, le seconde, a “prendere ogni misura necessaria a tutelare l’integrità e la conservazione del medesimo con i suoi caratteri architettonici e naturalistici ed ogni provvedimento atto a salvaguardare la pubblica incolumità” dettando all’ente comunale le modalità di intervento, praticamente nulla o poco prima di quella data si era mosso nel segno di un scarso ascolto a quanto prescritto e alla mancata assunzione di concrete decisioni al proposito.
Quel giorno, il 3 giugno 1990 appunto, che parve il giorno della speranza e del fattivo inizio di un percorso idoneo a raggiungere il traguardo del recupero del monumento, si tenne il convegno di studi “Rocca e Pieve di Minozzo - Progetti per un recupero” – organizzato dalla Pro loco di Minozzo con l’accordo del Comune di Villa Minozzo, della Parrocchia di Minozzo (era emersa da alcuni anni la necessità di opere di restauro anche dell’antica Pieve) e dell’Archivio di Stato di Reggio Emilia, con la partecipazione di membri del Governo italiano, del Parlamento, del Consiglio regionale e Provinciale, dell’Azienda di promozione turistica di Reggio Emilia, dai responsabili della Soprintendenza per i Beni Architettonici e della Soprintendenza per i Beni Artistici, di Mons. Francesco Milani, illustre scrittore storico minozzese coadiuvato dalla professoressa Clementina Santi, dei relatori architetti Giuliano Cervi e Fausto Bisi, che presentarono gli elaborati dei progetti di recupero, che furono approvati pochi mesi dopo dal Consiglio comunale.
Dopo quel convegno, così corposo di condivisioni rassicuranti e assunzione di impegni da parte di molti, sembra davvero inconcepibile il fatto che dopo tanti anni, anche se soltanto tredici dall’inizio effettivo dei lavori, questi medesimi siano giunti nemmeno alla metà del loro percorso.
Evidentemente molte cose non sono andate bene, perché troppo scarsa è stata la volontà propositiva della pubblica amministrazione, con la conseguente insufficiente capacità di attuare nei tempi dovuti il progetto approvato del recupero della rocca.
Basti rilevare le diversità di comportamento e di solerzia espressa dalla Parrocchia di Minozzo, che iniziò i lavori di restauro della Pieve alla fine dell’anno 1993 completandoli nel 1996, riportando all’antico splendore un “grande“ monumento anche con un onere di spesa complessivo molto superiore.
Procedendo ulteriormente nella sintesi di quanto è accaduto, è necessario anche rilevare il mancato ascolto dell’ente comunale a due distinti interventi, datati 11 giugno 1982 e 30 agosto 1999 di “Italia Nostra” - associazione nazionale per la tutela del patrimonio storico, artistico ed ambientale – nei quali venivano evidenziate soprattutto “la mancata previsione di un’area di rispetto dalla rocca con l’assunzione di un vincolo di edificabilità, con conseguenti circostanti costruzioni aventi caratteristiche morfologiche ed architettoniche
dissonanti da quelle originarie, ed anche la necessità di procedere con sollecitudine alla prosecuzione del
restauro.
Nell’anno 1999, a seguito di una “perizia di rischio per pubblica incolumità” redatta dal direttore responsabile dei lavori di restauro archeologico dott. Giuliano Cervi, è intervenuta anche la Prefettura di Reggio Emilia con due distinte lettere, in data 8 luglio e 1 settembre, inviate al sindaco di Villa Minozzo, così come ad altri enti (Regione, Provincia, Comunità montana, Servizio provinciale difesa del suolo), con cui si evidenziava la necessità della messa in sicurezza dell’antica rocca di Minozzo. Ne seguì un intervento del Servizio difesa del suolo sul lato sud, molto scarsamente risolutivo, con la necessità della messa a dimora, poco dopo, di una rete paramassi debole ed inconsistente.
Pertanto nonostante che l’indagine archeologica e il consolidamento architettonico effettuati abbiano evidenziato un patrimonio di straordinario interesse per gli ambienti ed i materiali recuperati, da ormai un anno e mezzo l’antico torrione è in uno stato di abbandono, anche se presenta una situazione di vera emergenza che lo scorso anno ha giustificato rimostranze ed interventi sulla stampa locale, anche autorevoli, certamente per niente “inutili o strumentali “ e per nulla “sterili insinuazioni di inefficienza“. La risposta ottenuta fu che la Giunta Comunale si proponeva, per il proseguimento delle opere di recupero, l’obiettivo di un intervento “risolutivo” con il coinvolgimento di altri enti.
Quanto poco volonterosa sia stata questa ricerca di finanziamenti è dimostrabile dalla cifra sopra riportata di euro 23.370 inserita nel bilancio comunale per il 2008 ed una previsione di spesa per il triennio 2008-2010, come si evidenzia dai dati inscritti nel bilancio comunale recentemente approvato.
Evidentemente la rocca di Minozzo, per l’unica colpa di costituire la memoria storica del Comune di Villa Minozzo e non solo (“La rocca di Minozzo è il compendio storico dell’Appennino dalla calata degli Ungari fino al congresso di Vienna“: così ebbe a scrivere ripetutamente il maestro Demos Galaverni ed ebbero ad affermare pubblicamente autorità importanti), deve essere sottoposta ad un purgatorio amministrativo poco dignitoso.
Una persona importante, per l’impegno espresso nel settore politico e nel settore dell’amministrazione sanitaria per lunghi anni, e anche per competenze in studi storici, al quale proprio Villa Minozzo ha dato i natali, ha scritto: “L’ignorare le eccellenze significative di un’area storica comporta non soltanto disconoscere, ma soprattutto trascinare il territorio in cui si vive e, con esso, gran parte delle sue potenzialità“ (Danilo Morini).
Conoscendo abbastanza l'incessante quasi famelica realizzazione di opere pubbliche per il capoluogo, anche con impegni di spesa esorbitanti ed anche inopportuni rispetto all’obiettivo proposto (emblematico è al proposito il recupero dell’ex cinema per un centro dell’associazionismo), e conoscendo la tempestiva rilevante incetta dei benefici di leggi apposite
(obiettivi europei e legge regionale 16/2002 ) messa in atto a scapito di altre situazioni di opere eternamente incompiute, trova davvero giustificazione l’affermazione di un “malanimo amministrativo“. Rimane a questo punto ben poco da aggiungere.
Perdurante ancora lo stato di abbandono della rocca con evidenti situazioni di emergenza e pericoli, nel segno di una molto scarsa osservanza delle norme stabilita dalla Soprintendenza, dalla Prefettura e dell’associazione culturale di tutela del patrimonio storico Italia Nostra, e, più in generale, dall’articolo 9 della Costituzione italiana che stabilisce l’obbligo di tutela del patrimonio storico delegandone il compito agli enti periferici,
una sola “dolorosa“ richiesta resta da formulare alla Giunta comunale: "Sia rimosso dallo stemma del Comune il simbolo della Rocca di Minozzo“.
(Giuliano Corsi)
Ha ragione!
Ha ragione il Dr. Corsi, è evidente la mancanza di volontà di questa Amministrazione nel risolvere questa situazione. Provocazione legittima!! Permettetemi di sottolineare che il sindaco e la giunta mancano veramente di buon senso.
(Commento firmato)
Ragione
Il Sig. Corsi ha effettivamente ragione. Il Comune si muova celermente per la rimozione dalla rocca dallo stemma, così finalmente non sentiremo più parlare, ogni santo mese, di questa storia…
(Commento firmato)
Storia brutta e quindi pesante
Vorrei rispondere al signore del post precedente, che si lamenta che ogni mese si parla di rocca. Quindi a Lei non importa che la rocca venga terminata, anzi opta per il cambio dello stemma. Non sono daccordo assolutamente; provocazione sì, ma in senso costruttivo, credo abbia fatto Corsi, ma mi posso anche sbagliare. Non credo che parlare di un problema per arrivare a una risoluzione sia stancante; anzi credo che ognuno abbia il diritto di credere in ciò che vuole rispettando le opinioni altrui.
Lei comunque dà segno di grande superficialità!
(Commento firmato)