E’ stato rappresentato ieri sera, presso il teatro Bismantova di Castelnovo ne’ Monti, “Nerestorie del tempo che va”, di e con Francesca Bianchi e Marina Coli.
Il primo dei quadri messi in scena è liberamente ispirato al libro “Storie nere” della professoressa castelnovese Angela Pietranera. Lo spettacolo trae spunto da un episodio di cronaca risalente al 1936 e che riguarda Giuseppina, una contadina delle nostre campagne che uccide, smembra e cela le spoglie del marito confessandone l’omicidio in un secondo tempo.
Su questa traccia le due autrici immaginano un passato di soprusi, di botte, una vita, seppur giovane, già devastata dall’assenza del più naturale affetto all’interno di una famiglia ed un presente di maltrattamenti ed umiliazioni dal quale non ha la possibilità di affrancarsi. Sì, perchè a quei tempi non c’era alternativa: la famiglia te la tenevi, bella o brutta, e l’unica scelta che potevi seguire era una scelta estrema. Quella che segue Giuseppina, eliminando fisicamente il marito e con egli l’origine del suo male. Il carcere la rende per la prima volta una donna libera: libera dalla fame, dal freddo, dalle percosse e dalla paura. Finalmente un po’ di pace.
Particolarmente coinvolgente è stata l’idea di rendere le membra del marito assassinato (interpretate da Francesca Bianchi con opportuni giochi di luci ed ombre) protagoniste di monologhi. Così le gambe mozzate hanno raccontato la fatica di portare a casa Carlone (il marito) sempre ubriaco, il rammarico per i calci dati alla moglie; la testa e le mani incredibilmente suggestive hanno fatto ammenda... qualunque cosa pur di essere strappate all’atroce destino di essere sparpagliate dopo aver preso coscienza di sè.
A questo episodio è seguito “Solitudini” di Paolo Crepet, storia di una figlia che ha subito le attenzioni “troppo amorevoli” del padre; “Mille splendidi soli” di Khaled Hosseini, un grande best-seller, che narra il terribile destino di una madre che con la figlia viene sepolta viva in una stanza, colpevole di aver tentato la fuga dopo aver subito maltrattamenti e sevizie. Avrei dovuto sopportare di più, tacere di più, sono le parole di questa madre disperata che nel buio e nell’afa sente il rantolo della figlia che si spegne dopo ore di agonia, durante le quali perfino l’acqua è stata negata ad entrambe. Nell’ultimo flebile commiato alla figlia pare quasi incolpi se stessa della loro morte, non avendo compreso che non c’è scampo nè salvezza ma solo patimento e sopportazione.
E’ seguito “Una bambina” di Taylor, allucinante resoconto dello stupro di una bimba di sei anni da parte dello zio, e “Addio figlio mio della violenza” di Giovanna Zucconi. Quest’ultimo, ispirato a un reale fatto di cronaca, narra l’abbandono di un bambino da parte della madre, nel momento in cui i suoi tratti, le mani, perfino la grana della pelle, ricordano e ripropongono ai sui occhi le fattezze dell’uomo che con un atto di violenza lo ha generato. Lo abbandona per salvarlo perchè come può vivere con lo spettro del bruto che cresce sotto ai suoi occhi; teme per il figlio, teme se stessa e lo lascia, come ultimo gesto d’amore, finchè ne è in grado.
Questo lo scarno resoconto di uno spettacolo che chi scrive sa di non avere il talento di rappresentare nè con parole nè con immagini evocative. Basti forse al lettore sapere che in teatro c’erano posti solo nelle scale, ma un maligno potrebbe obiettare che Francesca e Marina hanno molti amici e sono del luogo; però, caso unico in tutta la stagione, la rappresentazione è stata seguita in religioso silenzio (oddio, qualche buzzurro c’è sempre... ) e anche quando la scena ha lasciato spazio all’applauso non si è mossa una foglia. Nulla ha interrotto l’incanto della serata. Serata tosta, che ha colpito come un maglio per l’intensità delle interpretazioni e per la tenerezza nei confronti di Marina che non ha mollato la tensione neppure nel momento dei ringraziamenti e che solo alla seconda chiamata ha accennato un sorriso. Una velatura di sorriso perchè nelle storie di stasera era bandito né era facile rievocarlo. Un successo di pubblico travolgente, congratulazioni nel dietro le quinte e basti il commento della Professoressa Pietranera: “Uno spettacolo veramente intenso”. Uno degli spettacoli migliori della stagione, complimenti.
Voce di donna
Eravamo in tante sul palco con voi. Un coro di voci. Un’unica anima femminile, in cerca di amore, spesso, a lungo non trovato, mendicato, non vissuto, tradito, rubato, violato… spezzato. Ci sono relazioni dannose, oltraggiose, violente, subìte, che possono divenire prigioni da cui è impossibile fuggire (@Lhttp://redacon.radionova.it/leggi_news.php?id=5549&origin=R&keyword=dipendenza&ordine=&ogg=notizie@=vedi articolo sulla dipendenza affettiva#L).
Grazie per avercelo raccontato. Per questa voce, questa verità condivisa. E per tutta la passione, la dignità, l’intensità che ci avete regalato.
(Ameya G. Canovi)