10 Marzo
Centinaia di monaci tibetani hanno tenuto dimostrazioni di protesta a Lhasa ieri, in concomitanza con una serie di manifestazioni organizzate dai tibetani in esilio per commemorare la rivolta anticinese del 10 marzo 1959 e promuovere la causa del Tibet in vista dei Giochi Olimpici di Pechino del 2008. La rivolta del '59 si concluse con la fuga in India del leader spirituale del Tibet, il Dalai Lama, che da allora vive in esilio. La protesta dei monaci a Lhasa e' stata ammessa oggi a Pechino da due funzionari governativi cinesi che non hanno voluto però fare alcun commento a notizie di fonti indipendenti secondo le quali ci sarebbero stati almeno 50-60 arresti tra i lama partecipanti alla manifestazione. L' altro funzionario che ha parlato della manifestazione, il presidente della Regione Autonoma Qiangba Puncog, ha sostenuto che i monaci sono stati "istigati da alcuni individui". Puncog ha inoltre affermato che la manifestazione "non ha provocato alcun disturbo sociale".
I monaci appartenevano tutti al monastero di Drepung, uno dei più importanti del Tibet, che sorge a tre chilometri dalla città. Puncog ha aggiunto che "dieci persone che erano venute a Lhasa da fuori del Tibet per studiare buddhismo" sono state "coinvolte in alcune attività" nel monastero di Johkang, nel centro di Lhasa. Testimoni citati da Radio Free Asia, che per prima ha diffuso la notizia, hanno raccontato che 50 o 60 monaci sono stati bloccati ad un posto di blocco della Polizia Militare nei pressi di Drepung, mentre un altro ha detto che lo stesso Drepung ed altri dei monasteri di Lhasa erano circondati da agenti. Il portavoce ministeriale Qin ha sostenuto che Pechino "continuera a colpire con durezza le attività illegali e a mantenere la stabilità sociale". A Dharamsala, la cittadina indiana dove vivono il Dalai Lama e decine di migliaia di rifugiati del Tibet, la polizia ha cercato di bloccare la marcia di cento esuli che hanno deciso di tornare in patria, arrivando al confine con la Cina in coincidenza con l' apertura dei Giochi Olimpici di Pechino, l' 8 agosto prossimo. La polizia indiana ha comunicato ai marciatori che non potranno superare i confini del distretto di Kangra, quello nel quale si trova Dharamsala. "I rifugiati tibetani hanno diritto di tornare in Tibet - ha reagito Tsewang Rigzin, uno degli organizzatori della marcia - questo è il primo grosso ostacolo che incontriamo ma noi continueremo a marciare". I partecipanti alla marcia dovrebbero raggiungere entro i prossimi tre giorni i confini del distretto, secondo gli organizzatori. Ieri manifestazioni di protesta sono state organizzate da esuli tibetani anche a New Delhi, a Kathmandu e ad Atene.
14 Marzo
Un’imponente serie di manifestazioni sono in corso a Lhasa, nelle aree del Barkor e del Trombe Khang, e in altre regioni del Tibet. Testimoni oculari riferiscono che nella capitale tibetana sono in atto violenti scontri con la polizia, che hanno causato diversi feriti e, secondo alcune fonti, la morte di una ragazza di sedici anni. Diversi negozi e automobili sono in fiamme. Si tratta della sollevazione popolare più importante e significativa dalla fine degli anni ’80. Le forze di polizia hanno limitato la libera circolazione dei tibetani e si teme che possa essere imposto il coprifuoco nel volgere di breve tempo. Imponenti manifestazioni di protesta anche a Labrang (Amdo) dove almeno 500 monaci si sono uniti ai laici e hanno raggiunto il palazzo sede del governo inneggiando alla libertà del Tibet e al ritorno del Dalai Lama. Manifestazioni nelle strade della Contea di Sangchu, nella provincia di Gansu.
In una dichiarazione rilasciata a Dharamsala, il Dalai Lama ha chiesto alla Cina di rinunciare all’uso della forza. Nella stessa dichiarazione il Dalai Lama ha affermato di essere “profondamente preoccupato” per la situazione in Tibet.
”Sono profondamente preoccupato della situazione che si sta verificando in Tibet a seguito delle proteste pacifiche degli ultimi giorni in molte aree, inclusa Lhasa. Queste proteste sono la manifestazione del profondo risentimento della gente del Tibet sotto l’attuale governo. Come io ho sempre detto, l’unita’ e la stabilita’ sotto la violenza bruta costituiscono al massimo una soluzione temporanea. E’ irrealistico aspettarsi unita’ e stabilita’ sotto un simile governo e questo non contribuira’ a trovare una soluzione pacifica e durevole. Dunque io faccio appello alle autorita’ cinesi, affinche’ smettano di usare la forza e indirizzino il risentimento covato a lungo dal popolo tibetano verso il dialogo col popolo tibetano stesso. Allo stesso tempo esorto i miei compagni tibetani a non fare ricorso alla violenza”.
17 Marzo
Le scarne notizie che giungono dalla capitale tibetana raccontano di una città spettrale, strettamente pattugliata da ingenti forze militari e di polizia (circa 20.000 uomini, secondo alcune fonti). Blindati percorrono le strade semideserte che mostrano i segni dell’esplosione della rabbia dei tibetani dopo quasi sei decenni di brutale repressione cinese. Mentre stanno per scadere i termini dell’ultimatum di resa incondizionata (vedi il testo completo in lingua inglese), emesso il 15 marzo dalle autorità della cosiddetta Regione Autonoma Tibetana, si apprende di nuove manifestazioni spontanee avvenute o in corso in diverse aree del Tibet.
Oggi, 17 marzo, nella contea di Machu (Prefettura di Gannan, nel Gansu), una folla di 300 – 400 persone recanti grandi fotografie del Dalai Lama, si è diretta contro gli edifici governativi appiccando il fuoco a negozi ed uffici cinesi. Un centinaio di studenti della Marthang Nationality Middle School (Prefettura di Ngaba – Provincia del Sichuan) hanno inscenato una manifestazione di protesta all’interno del campus della scuola e chiesto a gran voce il ritorno del Dalai Lama. Si ha notizia dell’arresto di una quarantina di dimostranti.
Il 16 marzo, circa 500 studenti tibetani dell’Università di Lanzhou (la capitale della provincia del Gansu), hanno dato vita ad una pacifica dimostrazione all’interno dell’istituto scolastico. Analoghe manifestazioni di protesta sono avvenute non lontano da Lhasa, presso il monastero di Gaden Choekor ed in altre località della Regione Autonoma.
Dal 15 marzo, a Lhasa, la polizia cinese esegue rastrellamenti casa per casa. Si è appreso dell’arresto di centinaia di tibetani, compresi tutti gli ex prigionieri politici.
Ma è possibile….
…che ancora oggi, nel 2008, ci si accanisca contro i tibetani, popolo tra i più sereni e pacifici del mondo?
(Commento firmato)