Home Società No figli no futuro

No figli no futuro

12
3

Era l’invito a riflettere lanciato dalla Chiesa italiana nel 2004, denunciando l’inverno demografico, in cui nascono meno figli e chi nasce si trova spesso “al freddo” con genitori, troppo presi dai loro problemi e meno dell’educare i figli.

“I bambini sono la speranza del futuro; ma, se il futuro è senza speranza, non ci nasceranno nuovi bambini”, commentava l’editoriale della nota rivista dei gesuiti, “Civiltà cattolica”, annotando il circolo vizioso nel quale sembra sia arenata l’Italia e il mondo occidentale.

Emergenza famiglia? C’è chi dice di no, chi accetta tranquillamente un tipo di famiglia contemporanea, che gli stessi spot pubblicitari ritengono tale, nata cioè dalla convivenza, dove il bimbo si ritrova un nuovo padre, che, per amore suo, si lascia “derubare” del suo piatto pastasciutta al sugo! Sono lontani i tempi dove i “creativi” lanciavano i loro prodotti a famiglie con due o tre figli o non ci si meravigliava di una coppia con cinque e più figli.

Era considerata “anormale” ma anche ammirata quando la si vedeva unita, legata da relazioni forti. Certo sulla famiglia pesa il fattore economico: i figli costano, la coppia lavora per mantenerli da piccoli ma anche da grandi, in qualche caso, perfino nei primi anni di matrimonio.

L’inverno demografico dipende anche da una scarsa politica di sostegno alla famiglia e da una cultura antropologica che offre altri modelli di vita di coppia, altre concezioni della sessualità e dell’amore. Passo in avanti o indietro? Personalmente, all’inverno preferisco la primavera demografica.

3 COMMENTS

  1. Società che cambia
    La società sta veramente cambiando, molti valori (forse) non sono più correnti perchè inconciliabili con la vita di oggi; molti invero mancano perchè sono incompleti nelle persone che ‘dovrebbero’ insegnarli – o averli insegnati. Primavera o inverno che sia, il problema, se visto solo sul lato economico-politico, è ben poca cosa, si semplifica ciò che semplice non è; così facendo (inoltre) si offendono tutti quelli che sulla loro pelle provano tale difficoltà. E’ (paradossalmente) più il semplificare che l’economia a decimare le nascite nel nostro contesto. Famiglie alla deriva possono avere figli? Sì, se sono sconsiderate e non si fermano (sempre che ne abbiano le capacità) a riflettere su quanto potrà ripercuotersi sui figli. Oggi si fanno figli per desiderio famigliare (valore in triste decadenza), per inettitudine (triste fatto in grave aumento) e per casualità. Ci ricordiamo che ‘la colpa dei padri ricadrà sui figli’? Non è solo una frase biblica, è un assunto della nostra vita: le famiglie sconsiderate non dovrebbero fare figli, perchè a questi è poi chiesto il prezzo della stoltaggine dei genitori. Sono inevitabilmente pessimista e generalizzante, ma la famiglia è un valore in decadenza dalla mia esperienza socio-professionale e personale, se non inesistente nella gran parte di esse; va rivisto tutto, va rieducata l’intera società; non vanno più educati i figli, ma i genitori attuali e soprattutto futuri. Ma se noi stessi siamo carenti di una completa educazione, cosa potremmo passare agli altri?

    (Agostino G.)

  2. Finanziamenti
    Buongiorno a tutti… Ho trovato, per chi non ne fosse a conoscenza, notizie utili. In sintesi,a Bologna sono stati illustrati gli interventi previsti dalla Regione Emilia-Romagna per stabilizzare alcune categorie di lavoratori:
    – precari;
    – disoccupati di lunga durata;
    – genitori soli con figli a carico;
    – persone svantaggiate.
    La Regione mette a disposizione incentivi pari a 15 milioni: 10 milioni come contributi alle assunzioni e 5 milioni per iniziative di formazione e sostegno al reddito. Troverete tutte le informazioni necessarie al @Lhttp://www.regione.emilia-romagna.it/wcm/ERMES/notizie/news/2008/mar/lavoratori_precari.htm@=seguente link#L.

    (Commento firmato)

  3. Se lui si mette il grembiule la famiglia cresce
    A proposito, trovo interessante un articolo della dottoressa Letizia Mencarini, @Lhttp://www.golemindispensabile.it/index.php?_idnodo=8723@=reperibile a questo indirizzo#L.
    Ne riporto una parte.

    Se lui si mette il grembiule la famiglia cresce

    @CEsistono diverse verifiche empiriche di una relazione significativa tra asimmetria per genere e bassa fecondità.
    In Italia, fra le coppie a doppio reddito (indagine ad hoc), si è osservato che tra le coppie in cui entrambi i partner lavorano, la probabilità di avere un secondo figlio è più alta se, dopo la nascita del primo, il marito ha incrementato il suo contributo nello svolgimento dei compiti domestici e se ha collaborato in modo fattivo alle attività di cura del neonato. Una situazione di asimmetria dei ruoli di cura e dei compiti domestici sfavorevole ai tempi femminili è associata, a parità di altri fattori quali istruzione, religiosità e partecipazione lavorativa, ad una minore fecondità. Nelle coppie a doppio reddito, quindi, un sistema di ripartizione dei compiti familiari più equilibrato per genere sembra favorire la fecondità, tanto che sono le coppie con padri più attivi nella cura dei figli e compiti domestici, ad avere più frequentemente un figlio in più.
    Ovviamente la fecondità delle coppie di tipo tradizionale, dove la madre non lavora, per lo meno nei primi anni di vita dei figli, è più elevata anche di quella delle coppie a doppio reddito con un’organizzazione familiare di tipo simmetrico.
    Dati recenti dell’Eurobarometro in quindici paesi dell’Unione Europea evidenziano una correlazione significativa tra i livelli di fecondità e da un lato la distribuzione desiderata dei compiti di childcare e dall’altro la distribuzione effettiva dei compiti domestici. È soprattutto nel passaggio al secondo figlio che sembra importante la divisione dei ruoli di genere all’interno della coppia. Negli Stati Uniti le coppie “moderne” in cui la donna svolge meno del 54% delle attività domestiche hanno più frequentemente un secondo figlio a parità di altre condizioni (Miller Torr e Short 2004). Similmente, tanto in Svezia quanto in Ungheria una più equa condivisione dei compiti familiari accelera la transizione al secondo figlio, nel primo caso supportata anche da politiche ad hoc (Olah 2003). Dal campione italiano del Panel Europeo delle Famiglie, emerge che, tra le coppie più giovani, una consistente partecipazione dei padri all’accudimento del primo figlio si ripercuote positivamente sulla probabilità di averne un secondo nelle coppie a doppio reddito (Cooke 2003). Una relazione simile si riscontra anche con le intenzioni di fecondità: in Austria (Tazi-Preve et al. 2004) le madri lavoratrici con partner poco coinvolti nei compiti domestici e di cura non desiderano avere un figlio in più (e d’altra parte sono proprio i padri coinvolti nei compiti di cura, giovani e più paritari nel lavoro domestico che desiderano più frequentemente un figlio in più); in Italia, dai dati Multiscopo 2003, esiste una relazione positiva e significativa tra ore settimanali dedicate a compiti domestici e di cura dell’uomo e intenzioni di avere un figlio, o un figlio in più delle donne (Mencarini e Tanturri 2006).
    L’elemento più importante sembra la flessibilità, la capacità di adattamento e la disponibilità da parte degli uomini ad una, seppure parziale, redistribuzione dei compiti familiari di cura dei figli, di fronte alle nuove “emergenze”, in termini di tempi e compiti familiari, conseguenti alla nascita di un figlio, e la possibilità di garantire una “doppia presenza” anche maschile.#C

    Convincere lui a mettere il grembiule per far crescere la famiglia

    @CUn sistema di genere più equilibrato potrebbe allora favorire una ripresa della fecondità? Dai risultati di molti studi sembra che possa essere così, soprattutto in contesti come quello italiano. In Italia, come negli altri paesi mediterranei, però, un deciso avanzamento nel sistema di genere verso l’equità è ostacolato da impedimenti di natura strutturale, organizzativa e culturale: da una parte da abitudini e norme sociali che favoriscono il lavoro maschile rispetto a quello femminile, dall’altra dalla carenza di offerta di servizi di cura e da un regime del mercato del lavoro non sufficientemente flessibile.
    Una situazione lontana da quella dei paesi scandinavi, dove da anni le politiche sociali e familiari perseguono apertamente il fine dell’uguaglianza fra i sessi, dando priorità alla crescita del lavoro familiare dei padri, ormai socialmente accettato, e incoraggiando le donne a partecipare al mercato del lavoro. Le politiche sono state efficaci, tanto che il peso dei figli è più egualmente distribuito tra padri e madri, e tra famiglia e comunità, rispetto a tutte le altre società occidentali. Se si vuole favorire la realizzazione dei desideri di fecondità da parte dei genitori (che in l’Italia sono molto più alti della fecondità realizzata) non si possono trascurare politiche che favoriscano esplicitamente le pari opportunità di uomini e donne in famiglia e nel lavoro, e che promuovano l’equità di genere. Del resto anche politiche che non prendono esplicitamente in considerazione il tema dell’uguaglianza di genere, ma che influenzano i benefici sociali e i tempi lavorativi, non sono mai neutre rispetto alle relazioni sociali tra uomini e donne, nel lavoro e in famiglia. Le misure esplicite potrebbero essere politiche per il lavoro, in termini di organizzazione dei tempi e dei congedi parentali, e, dall’altra, misure di potenziamento dell’offerta di servizi di cura per l’infanzia e gli anziani. È soprattutto l’offerta di servizi che sembra realizzare contemporaneamente l’obiettivo dell’equità di genere, della conciliazione tra famiglia e lavoro e della realizzazione di fecondità: da studi recenti è emerso che la fruizione dei servizi di infanzia, più che il ricorso ad esempio al part-time da parte dei genitori, sembra aver un impatto diretto sulla probabilità di avere un figlio in più (Baizan 2003). Le misure di flessibilità o riduzione degli orari di lavoro, e le regole relative ai periodi di astensione facoltativa e ai permessi per cura di familiari, sono auspicabili e possono consentire alle famiglie di adattare il proprio tempo rispetto alle esigenze del ciclo di vita. Ma se sono rivolte prevalentemente alle donne, esse hanno un impatto diretto sulle relazioni di genere, favorendo differenziali di responsabilità nel lavoro domestico e inibendo, di fatto, la formazione del capitale umano per le donne e, di conseguenza, le possibilità di equità di genere nel mercato del lavoro. Ad un orario lavorativo più breve delle donne che ricorrono al part-time corrisponde un loro maggiore impegno nella gestione domestica, rendendo quindi la divisione del lavoro familiare ancora più asimmetrica.#C

    (Normanna Albertini)