di Fausto Giovanelli (*)
Neve Natura e cultura d’Appennino non è solo un soggiorno studentesco in quel di Succiso e di Civago. E’ una rilettura delle vocazioni dei borghi del crinale. E’ l’embrione di una nuova offerta turistica e culturale. E’ la riscrittura di quello che Regione e Provincia degli anni ’70 battezzarono “piano neve”e fece nascere e proliferare tante stazioni sciistiche: Febbio, Ventasso, Ospitaletto, Civago (Schia, Pratospilla, Lagdei, Piandellagotti, Sant’Anna). Si aggiunsero allora ai centri invernali già affermati Cerreto Laghi, Sestola, Cimone, portando dinamismo, novità, orgoglio di innovazione in borghi già decadenti e colpiti da emorragia delle risorse umane più vive.
Oggi quel modello anni 60/70 è in crisi. Il cambiamento climatico da un lato e i cambiamenti nella domanda turistica dall’altro hanno fatto una dura selezione. Ogni anno riaprire gli impianti è una gara in salita. D’altronde è chiaro che una economia locale dei borghi del crinale non può vivere di soli impianti di risalita e di un turismo “mordi e fuggi” che si limita ad alcune domeniche invernali.
Con Neve Natura e cultura d’Appennino il Parco Nazionale ha cambiato i tradizionali modelli di educazione ambientale dei parchi, prima improntati alla giornata unica, anch’essi spesso “mordi e fuggi”: quelli di Neve Natura, infatti, sono soggiorni full immersion nell’ambiente nel territorio, nel sapere, nel fare e nel vivere l’Appennino.
Quelli di Neve Natura rappresentano un diretto sostegno al reddito locale (il “tutto esaurito” nei giorni feriali di febbraio, per alcuni alberghi e centri, non si era mai realizzato), promovendo dei veri e propri laboratori di sperimentazione e ricerca di nuovi beni costituiti da nuove offerte sportive e turistiche, culturali e fisiche, gastronomiche ed emozionali. Come ogni ricerca anche questa non è priva di limiti ma i risultati sul campo dicono che tale iniziativa merita molta attenzione, per il futuro prossimo.
L’Appennino va orgoglioso delle sue quattro stagioni. Senza l’inverno, identificato nel bianco delle cime, perderebbe molto del suo fascino, della sua identità, delle sue opportunità turistiche. Con l’effetto serra , l’inverno che conoscevamo venti o trenta anni fa, è emigrato a quote più elevate: dagli 800-900 metri ai 1400-1800. Ciò significa che bisogna prendere atto che le stazioni sciistiche da sostenere e da valorizzare possono collocarsi solo a quote idonee, ben attrezzate con l’innevamento artificiale. Ma devono altresì essere in grado di impostare un arricchimento della loro offerta, nelle altre stagioni e anche in quelle invernali, considerando che un’offerta di soggiorno non può prevedere solo qualche ora di pratica dello sci.
Tutto il crinale, infatti, può costituire una offerta turistica, rivolta ad utenze diversificate. L’inverno d’Appennino è una risorsa a rischio di estinzione. Abbisogna di attenzione, cura, ricerca di interventi immediati. E’ necessario, dunque, che questi ci siano e non disgiunti da una visione innovativa, capace di futuro e prospettiva. Il Parco Nazionale, con Neve Natura, indica una strada attraverso un’azione che lascia subito un segno, aprendo per la prima volta a Succiso e riaprendo a Civago, dopo anni di stallo, un’economia di turismo naturalistico invernale.
Perché questo non sia solo un sogno, ma una realtà consolidata in tutto il crinale emiliano il Parco da solo non può farcela. Una concertazione con le politiche regionali e locali si può fare. E sarebbe una grande risposta.
* Presidente del Parco nazionale dell'Appennino Tosco Emiliano
Bla… bla…. bla…..
Come al solito, autoincensarsi, e… bla… bla… bla… Sinceramente dal parco mi aspetto MOOOOOLTO di più.
(mb)