Bella, bellissima Bolivia: paese dalle mille contraddizioni, con risvolti spesso difficoltosi, dove i bambini, essendo i più deboli, risultano i più sofferenti.
Il nostro viaggio, nasce da una passione per i paesi del Sud America e per i suoi abitanti molto cordiali ed accoglienti. La decisione della meta è stata anche influenzata dal caro ricordo di un illustre felinese: il Cardinal Sergio Pignedoli, che proprio in Bolivia era nunzio apostolico.
Siamo partiti da Felina alla volta della Bolivia in un soleggiato pomeriggio autunnale a pochi giorni dall’estate di San Martino, carichi di aspettative e curiosità. In Italia avevamo provveduto a raccogliere testimonianze e possibili contatti che ci sarebbero stati utili una volta arrivati a destinazione.
Questo è un paese senza sbocco sul mare ed abbraccia il settore più vasto della cordigliera delle Ande con zone climatiche diversissime tra loro che spaziano dalle imponenti catene montuose ai bassipiani salati, dalle giungle nebbiose alle immense savane. Gli innumerevoli itinerari, l’osservazione delle piante e degli animali, le foreste della regione amazzonica, le quote elevate delle sue montagne, l’asprezza del paesaggio, i suoi abitanti di varie etnie, il legame alle loro tradizioni fanno della Bolivia un paradiso per gli amanti della natura con possibilità di avventura ancora pressoché illimitate. Certamente questo paese ha avuto una storia violenta e burrascosa ma l’immagine che la dipinge come un covo di rivoluzionari e di signori della droga, oggi è alquanto esagerata e benché si trovi tuttora a dover affrontare problemi di difficile soluzione, rimane uno dei paesi più accoglienti dell’America latina.
Il nostro viaggio inizia dalla città di SantaCruz e non sempre sarà facile e privo di problemi ma le difficoltà saranno sempre ampiamente ripagate. Santa Cruz è la città più sviluppata e popolosa della Bolivia, centro di commercio e di trasporti con oltre un milione di abitanti.
E’ una metropoli ai margini di un territorio selvaggio, che sfoggia un’incongrua opulenza, normalmente non associata alla Bolivia, e conserva tracce del suo nebuloso passato, visibile nelle ampie strade, nell’architettura e nell’atmosfera da città coloniale.
Qui incontriamo il primo dei due “angeli” paracadutati in Bolivia proprio dal nostro Appennino, che si prodigano per rendere la vita più umana ai bambini meno fortunati: il loro è un lavoro davvero enorme e faticoso, ma svolto con estremo amore.
Ecco quindi Enzo Bagnoli un nostro compaesano che da oltre 30 anni si è trasferito e assieme alla moglie Ruti dedica il suo tempo libero, come volontario, all’assistenza e all’inserimento di bambini soli, abbandonati e disadattati, sistemandoli nei diversi Hogar della città: centri di accoglienza educativi gestiti in prevalenza da suore e missionari cattolici. Siamo stati accolti con un calore ed un affetto che hanno reso il nostro soggiorno a Santa Cruz piacevole, grazie anche alla possibilità di poterci calare nella vera vita quotidiana dei boliviani: abbiamo visitato una scuola, un carcere minorile e svariati edifici sacri ai quali Enzo si dedica contribuendo alla loro costruzione/ristrutturazione. Il suo mestiere di imprenditore edile lo aiuta quindi a realizzare quello che è divenuto lo scopo della sua vita: l’aiuto del prossimo e come nel caso del carcere, ci tiene tantissimo ad avvicinare quei trenta ragazzi alla religione cattolica, cercando di reinserili in quella società che li ha puniti, memori di aver sbagliato e di dover ricominciare una nuova vita.
I nostri amici ci hanno accompagnato ad un santuario poco distante dalla città dedicato alla Madonna di Schoenstatt, e ci si apre uno scenario curato con una precisione meticolosa, che offre ai pellegrini un piacevole luogo per trascorrere giornate in armonia e in preghiera. Questo paesaggio così diverso da ciò che lo circonda denota quanto impegno i Boliviani proferiscano per dedicarsi alla loro profonda fede, che certamente li aiuta a sopportare le asperità della vita: come dice Enzo “ Stress è una parola che in Bolivia non conosciamo” e infatti sono sempre molto sereni nel bene e nel male.
Salutiamo Enzo e Ruti e saliamo in autobus per attraversare il cuore della Bolivia alla volta di Cochabamba.
Cochabamba si trova nella regione degli altipiani centrali ad un’altitudine di 2558 metri in una fertile e verdeggiante conca incorniciata da fertili campi che consentono abbondanti raccolti di mais, orzo, frutta e agrumi.
Inoltre gode di un clima temperato tutto l’anno con giornate calde, asciutte e soleggiate a cui si alternano notti fresche: il detto “ le rondini non migrano mai da Cochabamba” descrive in modo esemplare quello che secondo i suoi abitanti è … il miglior clima del mondo.
Ed eccoci al secondo angelo: qui ci attende Aristide (Ari per i suoi bimbi), un vitale missionario laico originario di Toano che gestisce “la casa de los ninos”, accogliendo bambini soli e gravemente ammalati che per tale motivo vengono rifiutati dalle altre strutture. In questa zona non è facile tenere lontani i ragazzi dalla strada, che rappresenta un forte attrattivo per poter vivere in libertà, senza regole e con la terribile aggravante della colla che sniffano. Aristide è però supportato da personale volontario, fra cui l’amico Ramallo, ex calciatore della nazionale boliviana, che ci ha promesso di venire a Felina per visionare i talenti.
Ha acquistato una casa circondata da molto terreno e sta costruendo un alloggio per gli indios, impegnando il suo tempo libero e quello dei suoi amici. Sta costruendo inoltre un campo da calcio e letteralmente “lotta” con le autorità per portare avanti i lavori edili delle strutture, non è semplice in un paese dove la burocrazia rappresenta un grande problema che necessita molta pazienza e lunghe attese.
La tenacia che hanno queste persone nel perseguire i loro scopi però, è davvero stimolante! Per fortuna arrivano aiuti anche dall’Italia: il gruppo più nutrito è a Roteglia, coordinato dalla signora Luciana, il solo vedere la sua determinazione la dice lunga sugli sforzi che compie per portare supporto. Aristide si occupa anche di bambini indios e passeggiando a quota 4200 metri di altitudine ci conduce nei luoghi da essi abitati: sono custodi delle loro tradizioni dei valori e delle credenze legate alle diverse etnie, qui vivono famiglie in condizioni davvero al limite del sopportabile, in capanne piccolissime, con tetti di paglia, senza acqua e luce con scarsissime condizioni igieniche e conseguenti malattie sempre in agguato. Questi bimbi però mostrano sempre il loro sorriso e accolgono tutti con affetto: la miseria nera in questo caso si trasforma in ospitalità.
Lasciamo Cochabamba e con la “flota bolivar” (autobus del posto) dopo 7 ore di viaggio raggiungiamo La Paz attraversando la zona del Cerro Tunari dove alle medie altitudini si entra in una foresta temperata con piccole cascate e il panorama diventa mozzafiato.
La Paz è la città più grande della Bolivia, centro commerciale, industriale e finanziario del paese, di fatto la capitale anche se quella legale resta Sucre.
E’ tra le metropoli più inebrianti del mondo e appartiene a quella categoria di città che vantano una posizione panoramica spettacolare come risulta dalla prima vista che si ha quando si arriva. In cima al canyon il terreno scende di colpo, alle spalle ci sono la miseria e lo squallore di El Alto, mentre 400 metri più in basso si estende il mare di case della città che ne ricopre il fondo e le pendici, contrastato sullo sfondo dalla cima innevata dell’Illimani, 6402 metri.
Ma non scherzano neppure i 3600 metri di altitudine di questa città, piena di ripide vie che non vanta monumenti di particolare pregio ma che in compenso brulica di mercati allegri e di un’intensa vita di strada.
Passeggiando lungo le vie acciottolate in prossimità della cattedrale troviamo la Plaza Murillo dove si trova il Palazzo Presidenziale, raggiungiamo l’antica Iglesia di S. Francisco dove all’uscita facciamo anche una rapida apparizione sulla tv boliviana. Proseguiamo la nostra avventura di viaggiatori (e non di turisti!!così ci piace definirci..) al lago Titicaca, curiosamente simile al mar Egeo, che è uno specchio d’acqua color zaffiro e appare per incanto in mezzo all’arido paesaggio dell’altipiano.
Contornato da morbide colline coperte di boscaglia è il lago più grande dell’America Meridionale e le sue acque si estendono a cavallo del confine tra il Perù e la Bolivia. Attraversiamo il lago caricando gli automezzi a bordo di chiatte e traghettati sulla sponda opposta mentre noi passeggeri usufruiamo di piccole imbarcazioni ed arriviamo a Copacabana, 3800 metri, adagiata su una splendida baia chiusa tra due colline è rappresentata dalla bianchissima cattedrale in stile moresco con cupole e azulejos (le tipiche rappresentazioni portoghesi fatte con mattonelle bianche e blu).
Il nostro viaggio finisce qui e riportiamo a casa un bagaglio di vissuto indimenticabile, da uno dei paesi più poveri dell’America Latina, un’esperienza ricca di sensazioni forti che alla partenza non avevamo certo pensato così grande, e questa volta le nostre valige al ritorno pesano davvero molto di più, ma non sono piene di souvenir…bensì di una consapevolezza reale di quale sia la linea di confine che c’è tra ESSENZIALE E SUPERFLUO.
Dobbiamo per questo ringraziare tutte le persone che abbiamo incontrato, soprattutto Enzo ed Aristide che ci hanno svegliato da quel torpore invernale che invade i cuori di chi, come noi, ha tutto. Saremo loro sempre grati perché ci hanno permesso di immergerci nella vita reale, di farci toccare da vicino la felicità di un bambino che stringe a sé come un tesoro un pacchettino di caramelle, di quanto possa essere appetitoso un piattino di riso con le lenticchie, di come si affrontino con serenità due ore di viaggio a piedi pur di poter frequentare la scuola…e soprattutto della dignità con cui si viva tutto ciò. I nostri amici sono sempre bisognosi di qualsiasi tipo di aiuto, vorremmo che anche i nostri giovani intraprendessero questo viaggio e questa esperienza, per rendersi conto cosa è veramente la solidarietà: dare tanto ricevendo in cambio solo bellissimi, calorosi ed appaganti sorrisi!
Ora non ci resta che aprire la nostra valigia di ritorno e cercare di mostrare, di rendere partecipi e consapevoli di tutto questo, le nostre famiglie ed i nostri amici.
(Vainer Cavandoli e Tonino Manfredi)
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(red)