L’omosessualità è (ancora) vista come una diversità, una colpa o una devianza; pochi ne riconoscono una condizione “naturale”. Il mondo clinico dal 1975 la ha “ufficialmente” rimossa dalle condizioni di psicopatologia, definendola come una naturale variante della tendenza sessuale.
La dottrina del “diverso” e la cultura sociale e legale non paiono, però, ancora mature per favorire un’appropriata accettazione dell’omosessualità.
Sembrerebbe banale, ma dal punto di vista storico l’omosessualità è sempre stata parte integrante dei sistemi: la filosofia di Platone, ad esempio, è forse la madre del nostro sistema di pensiero e ragionamento principale, sulla sua filosofia abbiamo improntato molti concetti che oggi diamo per scontati, ma che sono frutto di riflessioni e convenzioni (si noti come le stesse parole che utilizziamo ogni giorno sono una convenzione socialmente accettata), e proprio Platone viveva in una Grecia dove l’omosessualità era vista come l’unica unione sessuale e intellettuale degna di essere perpetuata. Si potrebbe proseguire sulle ricerche storiche dell’omosessualità (e poi addentrarsi anche nel regno animale o antropologico), ma non ritengo sia questo il luogo adatto, e chiedo ai lettori di concedermi come sufficiente l’annotazione suddetta. Vorrei, invece, concentrare il resto dell’articolo sui concetti di DIVERSITÀ’ (dal dizionario: condizione di diverso; varietà e molteplicità; ciò che rende diverse due persone o due cose), SCELTA (dal dizionario: atto dello scegliere, selezione) e OMOSESSUALITÀ’ (dal dizionario: inclinazione sessuale di chi è attratto da persone del proprio sesso).
Per farlo e per introdurre al meglio delle mie possibilità stilistiche cosa realmente significhino tali parole nell’esistenza di un essere umano, ho effettuato un’intervista con Tizio (persona che desidera restare anonima) di cui riporterò alcune parti con le mie riflessioni; Tizio è una persona che conduce una vita normale e rispettabile, con un altrettanto rispettabile lavoro; è accettato dalla sua famiglia nella sua “diversità”; ha buoni rapporti sociali ed amicali, e non è solito alla superficialità sessuale che molti indicano essere peculiarità della sfera omosessuale: ovvero ha, e ha avuto, storie sentimentali serie come si addice (anche) ad una qualunque persona eterosessuale.
Di seguito io sarà A e Tizio, ovviamente, sarà abbreviato con T.
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A: Tizio, quando ti sei reso conto di essere DIVERSO?
T: sin da piccino. Ho compreso velocemente i meccanismi della vita sociale e affettiva, realizzando così ben presto di essere attratto da persone di sesso maschile, piuttosto che persone di sesso femminile. Certo da bambino comprendevo comunque ancora poco, e le prime effettive sensazione di attrazione sessuale e sentimentale, verso persone del mio stesso sesso, le ho percepite dall’adolescenza in poi.
A: avevi paura?
T: Si! Ho fronteggiato la paura suscitata da questa condizione dimostrando agli altri una diversità da me stesso. Ma più andavo avanti più mi rendevo conto di mentire a tutti, e di non essere leale nemmeno con me stesso.
Avevo, però, anche molta paura delle conseguenze che sarebbero sorte se fossi stato scoperto (DIVERSO); immaginavo che la società non mi avrebbe accettato e che per questo mi sarebbe stata nemica. Inoltre, la quotidianità era sempre stata piena di gravi prese in giro che mi facevano stare molto male (“frocio, checca, femminuccia”, alle volte anche violenze fisiche come atti di bullismo, ecc). Ma la cosa peggiore è che oltre a star male per il rancore e la tristezza, stavo molto peggio perché MI SENTIVO IN COLPA!
Mi sentivo in colpa di essere diverso e di non riuscire ad essere “diverso da quello che ero” per essere come la società mi voleva.
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In queste prime domande, apparentemente banali, si può notare come la società perpetui un’incursione nell’identità di ogni persona, pretendendo in forme esplicite e implicite una conformità pre-stabilita.
Va detto che in adolescenza la persona intraprende (o dovrebbe intraprendere) un cammino che può condurla alla fase della vera individualizzazione, ovvero ad una strutturazione coerente della propria identità di essere umano adulto. Ma qui emerge la condizione di un soggetto costretto a temere il proprio contesto di appartenenza, mitigando la propria identità in favore di un disegno, apparentemente conforme alla società maggioritaria (laddove la Normalità è spesso decisa sulla base di condizioni socialmente etiche molto discutibili). Potremmo anche supporre che per Tizio, quella che doveva essere una fase di strutturazione della propria identità personale e sessuale, non sia stata possibile nel periodo della “normale adolescenza”, e possa essere stata rimandata ad un momento di vita in cui le pressioni psicologiche e sociali non erano così vincolanti. È infatti probabile che molte persone omosessuali non abbiano l’occasione di avere uno sviluppo psico-sessuale adeguato, come gli eterosessuali (in un contesto di dominanza eterosessuale), e che siano costretti a rimandare il proprio sviluppo a fasi successive della propria vita.
A discapito di molti preconcetti, Tizio non è tossicomane e nemmeno portatore di AIDS, come sostengono talune leggende sull’omosessualità; è infatti un dato di fatto, che la maggior parte delle persone, del nostro paese, vede il mondo omosessuale come composto di persone devianti e malate mentalmente e/o portatori di malattie sessuali gravi. Queste credenze non sono del tutto infondate, bensì enfatizzate senza moderazione, e necessitano di alcuni accorgimenti: una società che non permette un fluido processo di crescita e di individualizzazione alle persone, impone all’omosessuale condizioni di maggiore rischio per il disagio psicologico, facendolo spesso divenire il DIVERSO cui era stato etichettato, a causa delle pressioni e repulsioni.
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A: Prima di accettarti ti sentivi solo?
T: prima di accettarmi mi sentivo molto solo. Si trattava di una solitudine mentale; la mancanza di persone che potessero condividere la mia condizione non era certo piacevole. Dopo, invece, le cose sono cambiate. Molte persone che ho conosciuto, di orientamento sessuale simile al mio, mi hanno aiutato – con l’eterosessuale il perenne timore del giudizio non mi permetteva di esternare i mie veri disagi. Il senso di solitudine aumentava talvolta la paura nel chiedere e nel parlare: come un cane che si morde la coda stavo male perché non esternavo, ma la paura di quel che poteva accadere mi faceva chiudere a riccio.
A: è passato molto tempo dai periodi in cui ti nascondevi, come vivi oggi la tua affettività in famiglia e nel mondo esterno?
T: vivo normalmente. Seguo i valori culturali e sociali che la mia famigliari mi ha insegnato, e (soprattutto) nel rispetto degli altri, come ritengo sia dovere di ogni cittadino.
Fortunatamente la mia famiglia, seppure con difficoltà iniziali, mi ha accettato ed il rapporto che ci lega è di profondo affetto e maggiore comprensione, come ritengo dovrebbe essere il legame di ogni famiglia. Inoltre, il rispetto della privacy che la mia famiglia mi ha tramandato mi porta, in ogni modo, a non essere troppo espansivo e intromissivo all’esterno creando fastidi, non esco con vestiari provocatori e tengo la mia vita privata per pochi intimi; il rispetto è, per me, il valore più importante. Tutto questo mi aiuta molto, ma io mi presento sempre per quello che sono e vengo accettato.
Apprezzo, comunque molto, la differenza con il passato, dove non potevo (e non riuscivo) ad esprimere quello che ero realmente. Molte frustrazioni derivavano dal non essere in grado di avere rapporti amicali, veri e sinceri, perché mentivo nascondendomi dietro una maschera..
A: parlami del tuo Coming Out?
T: Coming Out significa venire allo scoperto, nel mio caso il rendersi conto di essere Gay e vivere realmente la propria omosessualità. Per alcuni è il comunicarlo agli altri senza timore.
Per me, come per molti altri, è accaduto nel periodo universitario: quando si è più distaccati dal vincolo del giudizio altrui, e magari lontani da casa, è più facile.
La città in cui vivevo aveva, inoltre, un buon rapporto con l’omosessualità che pareva accettata, o perlomeno non repressa. Vedere persone vivere alla luce del giorno la loro affettività mi ha rasserenato, incitandomi a prendere esempio con naturalezza, accettandomi così maggiormente di prima.
Ma, naturalmente, non è stato un salto improvviso: dapprima ho vissuto la cosa ancora di nascosto, ed è stato difficile e doloroso. Dopo, riuscendo a parlarne con gli amici non mi sono trovato di fronte all’ostracismo e al muro che avevo sempre temuto (mi sono stupito molto), ma mi sono visto accettare per quello che ero; ciò mi ha tranquillizzato moltissimo permettendomi di iniziare a vivere bene la mia vita.
A: quindi potremmo sostenere che il passo, a crescere ed accettarsi, era solo comunicarlo e sentirsi accettati?
T: naturalmente no. È stato solo l’inizio del mio percorso di crescita affettiva.
Da principio è stato tutto bello e facile, perché finalmente potevo essere me stesso e vivere come avevo desiderato, senza nascondermi ed avere paura, ma poi mi sono scontrato con le difficoltà della vita, le stesse con cui si riscontrano tutti: omosessuali ed eterosessuali..
Dopo la liberazione dalle maschere, con gli amici, ho fatto il balzo anche in famiglia: è stato ovviamente più difficile. Il confronto con gli stupori e le attese che potevo avere deluso sono stati elementi duri da affrontare, ma la graduale accettazione della mia famiglia (che devo dire è stato un processo comunque molto affettuoso e piuttosto veloce, rispetto molte altre situazioni) mi ha permesso di raggiungere un superiore livello di accettazione di me stesso. Se anche loro non mi rifiutavano allora, pensavo, sono davvero normale!
A: Come vivi le relazioni con il sesso femminile?
T: direi molto bene. Riuscendo ad essere più sensibile su alcuni aspetti, vedendo le cose da un punto di vista differente, magari non filtrato da aspettative sessuali o presunte tali; accade infatti spesso che le ragazze si infatuino di me o altri ragazzi gay, per tali aspetti.
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Normalità e Paura, sembrerebbero i concetti più ripetuti e sintetizzanti della breve intervista (ben più lunga, ma della quale ho riportato le domande e risposte più interessanti).
A dispetto di tutte le etiche comprese in un determinato luogo geografico e storico, la normalità è una condizione quasi dettata per legge. Viene prestabilita dalla maggioranza e/o dalle classi governanti; così chi effettua un viaggio, nelle molteplici culture mondiali, scopre facilmente come quello che noi riteniamo inaccettabile è pratica consueta e, talvolta anche indispensabile, in altri contesti socio-geografici. A partire dall’uso di sostanze psicotrope (alcol e droghe), alla violenza, al rapporto con la morte, ciò che Noi riteniamo normale e socialmente accettabile non è altro che il frutto di un tacito accordo, promosso dalla cultura che ci ha “educato”.
Diviene difficile dissertare (soprattutto in questo articolo) del normale e del non normale. Ma mi sia concesso sintetizzare: la normalità è un dogma culturale, fallibile come tutti i dogmi.
La paura, invero, è un concetto più semplice (per quanto non sconnesso): si ha paura di ciò che può o potrebbe lederci (sia essa una paura reale, o infondata), di ciò che non conosciamo. La paura, inoltre, quando esplode, è un meccanismo complesso e non indipendente, derivante cioè da molti fattori e scatenante di molte conseguenze.
Ed è in linea con questo secondo concetto che vi invito a riflettere: se una società è tale da arrecare paura e repressione, anche auto-indotta, in soggetti in fase evolutiva, questa deve forse attuare una forte auto-critica e rivalutare le sue posizioni, perché è un diritto di ogni essere umano vivere la propria vita nel rispetto della libertà altrui (senza arrecare danno altrui), un diritto apparentemente presente in ogni “società civilizzata”.
Perché un essere umano deve avere timore della società nella quale vive? Sia essa geografica o famigliare? Nel rispetto, della legge e degli individui, siamo chiamati a permettere ad ogni individuo lo sviluppo della propria identità. Ma di fatto, ad oggi, questo non accade.
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A: infine, cosa ti sentiresti di dire a chi come te ha vissuto, o vive oggi in una condizione di segretezza della propria identità emotiva, per un timore degli “altri”?
T: invito le persone ad uscire e a dimostrarsi come esse sono, ma consiglio anche di farsi aiutare prima dal sostegno degli amici trovandone di veri che li accettino per come sono e li facciano sentire accettati e normali.