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Pensiero e meditazione

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Non pensare ad un elefante bianco.
La mente non accetta tale comando. Qualsiasi ordine viene ignorato e il flusso dei pensieri, inarrestabile, sembra avere vita autonoma. Dopo qualche secondo la mente non può fare altro che pensare ininterrottamente al pachiderma bianco e a tutte le variazioni del caso
.

Ben conosce questa condizione chi soffre di insonnia, chi vuole semplicemente staccare un pensiero, una preoccupazione per un po’ o chi si avvicina le prime volte alla meditazione.
Pensare pare essere l’attività primaria dell’uomo, la funzione principale che sancisce il titolo di umano. Nobile ed utile funzione alla sopravvivenza, ha portato alla posizione eretta l’uomo. Però appare condanna se la si vuole sospendere temporaneamente.
Perché si desidera a volte non pensare?
L’uomo occidentale identifica se stesso con l’attività cognitiva. Orgoglioso delle proprie scoperte, da Cartesio in poi, l’occidente si cimenta in teorie, paradigmi e rigore scientifico.
A cosa pensi caro?”, nemmeno dopo momenti di intima passione all’attività cerebrale è concessa una pausa.

Virginia Wolf, James Joyce vedevano nel flusso di coscienza una narrazione della vita infinita, come se vivere fosse registrare costantemente ciò che accade, dentro e fuori, una telecamera attiva, un reportage live 24 ore.
Per fortuna in Occidente arriva la New Age.
A partire dagli anni 70 l’Era Acquariana rispolvera col vento d’oriente antiche e pacate filosofie che portano sapori dimenticati. Respiro, alimentazione naturale, incensi e cristalli, cascate e musica di campanellini argentei, Feng Shui, armonia interiore, Yin Yang. Taoismo e Buddhismo appaiono dottrine ammiccanti, una soluzione possibile al caos, al movimento incessante che si riflette nella corrente inarrestabile della mente.

“Egli è un uomo di pensiero”
“Sei nei miei pensieri”
“Ora ci penso”
.

Ma cosa accade se all’improvviso ci si sente stanchi di utilizzare questa affascinante facoltà e si vuole sospendere il flusso, arrestare la corrente, staccare la spina?
Il sistema va in tilt. La televisione non si spegne, lo schermo resta acceso.
In Oriente la condizione del non pensiero è naturale, non vi sono corsi né manuali. Occhi sereni e sorridenti emanano una pace antica, silenziosa.

IL SILENZIO. In Occidente prerogativa degli eremi e chiese, diventa raro nelle case dove qualcosa di acceso permane, non fosse altro che la mente.
In India è facile osservare un Sadhu, uomo mistico, sotto un albero ad occhi chiusi. In meditazione. Magro scavato, pare non avere bisogno di nulla. Ciò che gli serve è dentro, e ad occhi chiusi egli osserva il proprio vuoto interiore.
Da questo vuoto l’occidente è terrorizzato.
Il vuoto che il Sadhu osserva è pieno. Perché contempla l’essere attraverso il respiro.

Tale pratica meditativa, Vipassana, consiste nell’osservare il respiro che entra ed esce dal naso ad occhi chiusi. Semplice, non costoso… eppure da questa parte del mondo pare quasi fantascienza. Ansia, fretta, smania, insofferenza, pensieri inarrestabili fanno diventare la meditazione seduti ad occhi chiusi peggio di una tortura ad Alcatraz.
Nonostante la buona volontà l’apprendista new age, quasi vergognandosi del proprio elefante bianco, si arrende e va a cercare il tanto agognato benessere altrove, magari in palestra, tra sudori e rinnovate fatiche fitness che però non significa pace, anzi il silenzio appare sempre più distante.
Tale disagio nasce dal conflitto tra pensiero e meditazione.

Meditare è uno stato di “no mind”, non pensiero. E invece la società odierna si identifica totalmente con l’attività pensante. Se pensare è esistere, non pensare equivale a non esistere, a scomparire.
E questo diventa fonte di angoscia invece che prassi rilassante e decongestionante.
Per riuscire a saltare l’ostacolo occorre procedere per piccoli passi. Con umiltà. Il silenzio e la capacità contemplativa che molti possono chiamare preghiera, un tempo condizione naturale, è ora perduta.
Per riappropriarsene si deve tornare bambini, a quella capacità che hanno i bambini di stupirsi, meravigliati di fronte alle piccole cose.

Qualcuno ci ha provato ad unire Oriente ed Occidente. Alcuni maestri come Gurdjieff, nella danza e nel movimento portano via l’azione dal pensiero, propongono di attivare altre facoltà dell’uomo che ancora non si usano.
Altri propongono l’uso di Mantras, piccole frasi di senso sacro, che, ripetute all’infinito, portano in uno stato di non pensiero, dove vengono prodotte delle onde cerebrali differenti dalla normale attività (Silva).
Maharishi insegna la meditazione trascendentale, una semplice tendenza dell’essere umano a ricercare pace e benessere.
Si può meditare osservando e respirando nei CHAKRAS, ruote energetiche allineate nel corpo, ai quali corrisponde ad ognuno un colore, un elemento, una dimensione della vita.
Una disciplina orientale come il reiki, l’uso cosciente dell’energia, utilizza il calore delle mani e del tocco per rilassare il corpo e di conseguenza la mente, entrando in profondo contatto con uno spazio di silenzio, accettazione e calma interiori. Il tai chi, lo yoga e altre arti insegnano che la forza non è nel pensare ma nel trovare altre fonti di energia come nell’hara centro vitale situato due dita sotto l’ombellico.
Infinite sono le strade, le tecniche per arrivare al silenzio interiore.

Osho, maestro indiano scomparso nel 1990, ha lasciato una preziosa eredità all’occidente. Le sue tecniche di meditazione sono improntate a raggiungere il silenzio attraverso prima una fase di “scarico “delle tensioni attraverso movimenti intensi, suoni liberatori, una sorta di pulizia energetica per poi lasciare spazio al silenzio, alla meditazione.

Molti si chiedono cos’è questa meditazione, in cosa consiste.
In niente. Ed è questo che la rende difficile.
Nella meditazione non si fa, non si pensa, non ci si sforza, nè ci si affatica. Si è e basta..

[Per approfondimenti, o altre informazioni, contattare l’autore: [email protected]]

13 COMMENTS

  1. Alcune considerazioni
    Gentile Ameya, mi permetto di aggiungere alcune considerazioni all’articolo che condivido molto parzialmente.
    In primo luogo, dire che “la società odierna si identifica totalmente con l’attività pensante” fa un po’ sorridere e sembra alquanto beffardo. Oggi, coloro che sanno pensare sono un numero estremamente ridotto perchè il pensiero, quello vero, non consiste di elefanti bianchi o del discettare sui personaggi da Grande Fratello, ma, oggi come ieri, pensare significa interrogarsi sulle grandi questioni dell’esistenza. Il “conosci te stesso” scolpito sul tempio di Delfi è stato alla base di tutta la filosofia occidentale e il fatto che se ne sia dimenticato il significato non vuol dire che bisogna ricorrere all’oriente per recuperarlo. Ugualmente non condivido il fatto che “per fortuna in occidente arriva la New Age”. La New Age è una marmellata da esportazione ad uso e consumo di occidentali compunti di fantasticherie misticheggianti. Chincaglieria che si può comprare a basso prezzo nei mercati di Bombay. Ad ogni società appartiene una tradizione e una “via” e quando non se ne ha l’intima predisposizione scimmiottare gli hindù nella posizione del loto diventa (a mio personale parere) grandemente ridicolo quando non potenzialmente dannoso (per dannoso mi riferisco alla possibilità di variare un’attività automatica come quella del respiro quando non se ne conoscono le dinamiche). Dei maestri (o presunti tali) da lei citati solo uno(sempre a mio personale parere) ha una qualche validità; Osho è, per contro, un “assemblatore” di dottrine rubacchiate da altre e mescolate in maniera abbastanza grottesca… Detto in tutta franchezza, la meditazione come viene praticata in occidente è, essa stessa, un’attività al pari dell’andare in palesta o del giocare a tennis; solo, avente un tocco di esotico e speziato. Persino il fatto di considerare la meditazione come un’attività per rilassarsi e per fuggire il pensiero mi pare una “deviazione” interpretativa tipicamente occidentale.
    Una cosa su cui sono d’accordo: in occidente il silenzio (al quale dovrebbe associarsi anche una solitudine vera o metaforica) è pratica negletta. Insomma, se dovessi dare un consiglio direi che, forse, prima di inondare la casa di incensi, la vasca da bagno di sali profumati, olii essenziali, fiori di Bach o Dio sa cosa, magari facciamo un salto in biblioteca a trovare Aristotele o Platone che, forse, anch’essi hanno qualcosa da dirci.

    (R.S.)

  2. Precisazione
    Gentile R.S., tengo a precisare che ‘per fortuna è arrivata la New Age’ era detto in tono ironico. La invito a rileggere l’articolo con calma perchè non mi sento distante dalle sue idee; mi trovo anzi abbastanza d’accordo con lei. Preciso anche che attività pensante è sinonimo di attività cognitiva; non implica un giudizio di valore positivo, ma un’attività di costante lavorìo e rumore interiore, condizione innegabile comune. Sono pienamente d’accordo con il suo invito a frequentare la biblioteca, anzi la invito a leggere l’articolo sulla biblioteca di Carpineti che trova sulla rubrica ‘documenti’.

    (Ameya)

  3. Siete d’accordo sul serio oppure è un modo gentile per non andare oltre il confronto culturale
    Ho letto e riletto sia l’articolo che i commenti, non riesco a capire come possiate dirvi d’accordo! Tra chi strizza l’occhio alla New Age e a Osho e chi invita a riconsiderare Delfi e il “conosci te stesso” cercando il proprio daimon. Ci si può solo trovare d’accordo per andare assieme in biblioteca a Carpineti a svolgere il servizio di consegna dei libri…

    (g.b.)

  4. Molte cose sono incompatibili solo se le osserviamo con semplicità
    Caro G.B., posso capire la tua difficoltà alla comprensione nello scambio dei commenti e delle opinioni emerse. Hai prestato attenzione a leggere l’articolo (senza però leggere che la New Age era stata citata ironicamente!) e i commenti senza considerare che un articolo è un piccolissimo frammento di moltissimi discorsi, enormi. Come spesso accade, e come talvolta ho sottolineato, per risolvere tutti i dubbi si dovrebbero scrivere tre o quattro libri su ogni argomento trattato. Ma qui, per quello che vogliamo fare (consigliare, aiutare, sollecitare, ecc.), dobbiamo meglio affidarci alla voglia di intendere e di approfondire dei lettori – se sono interessati, bene inteso.. E’ la fiducia nel lettore, questa. Per il resto come vedi, siamo disponibili ad aiutare nella comprensione.
    Ti faccio una forse banale domanda: Socrate e Platone non hanno detto cose incompatibili con altri pensatori, restando pur eminenti? Inoltre devi ammettere che molte cose sono incompatibili solo se le osserviamo con semplicità e superficialità; in superficie è molto difficile comprendere davvero, bisogna fermarsi a guardare bene..
    Di certo (colgo l’occasione) qui esce dimostrazione, come sosteneva Carl Jung, di come tali tecniche orientali siano spesso malviste e poco accette (o poco adatte come diceva lui – ma non sono d’accordo) nell’occidente, cognitivo all’esasperazione (come sottolinea giustamente Ameya); è davvero difficile per molti ascoltare, essere attivi semplicemente in silenzio; a mio avviso è un deficit culturale occidentale (si può approfondire con E. Fromm). Ti consiglierei anche di leggere qualche testo del Dalai Lama, che, seppure seguendo uno stile meditativo diverso di Osho, contiene significati e punti di incontro enormi.

    (Agostino G.)

  5. Osservazione
    Interessante osservare che un articolo sulla meditazione… susciti rumore. C’è un silenzio che sta nelle pause tra le parole, utile per una riflessione che va oltre le apparenze, e coglie l’essenziale. Il mio accordo con R.S. verte sull’inutilità della parafernalia New Age per diventare “meditativi”. Non ho colto la grave contraddizione da lei denunciata, ma uno scambio di opinioni civile. Credo in un modo costruttivo di confrontarsi, che porta armonia e equilibrio. Mi inchino ai grandi maestri e pensatori dell’umanità. E alla conoscenza. Ritengo che chi presta servizio in una biblioteca svolga un nobile lavoro.

    (Ameya)

  6. Sperimentare
    Quando si considerano le esperienze normali si allude di solito a quelle normali vissute durante il sonno, il sogno, la veglia; ma ho sperimentato personalmente stati di coscienza (o consapevolezza, se vi piace di più) diversi e certamente più elevati ripetto alla semplice veglia. Avendoli sperimentati, ora “so” (non “credo” semplicemente) che esistono dimensioni diverse, mondi diversi in cui si fanno esperienze diverse che assicurano in modo indelebile la tranquilla pacata incrollabile certezza che si “è” qualcosa di diverso dalla normale ordinaria cognizione di noi stessi, qualcosa che non inizia e non finisce entro i confini della nostra epidermide. Queste esperienze non si possono trasmettere e/o comprendere per mezzo del linguaggio ordinario per la sua intrinseca incapacità di comunicare in modo completo ed onnicomprensivo. Del resto si può spiegare a qualcuno in modo esauriente il sapore del mango se non lo ha mai assaggiato? Meglio dargliene uno e lasciarglielo assaggiare in silenzio! Ora, per tornare a questa interessante conversazione virtuale, vorrei dire agli amici che mi hanno qui preceduto che non è facile, ma neanche opportuno, parlare di cose che andrebbero invece sperimentate. La filosofia, di chiunque sia, resta nel campo del linguaggio, del mentale, se non viene messa in pratica procurando una modifica dello stato neurofisiologico che (solo esso)può procurare un’esperienza di stato di coscienza superiore; la mente può e deve trascendere se stessa se si vuole un approccio più completo e soddisfacente alla realtà, che è poi lo scopo stesso il fine ultimo di ogni filosofia. Credetemi, quando fate un’ restate cambiati per sempre e non vi va neanche di parlarne, se ne fate cenno a qualcuno che intuite vi sembra adatto lo fate solo per stimolarlo a fare qualcosa che cambi il suo stato neurofisiologico per consentirgli di sperimentare oltre lo stato ordinario di veglia. Le tecniche utilizzabili sono tante quante sono le diverse esigenze dei “cercatori” delle più diverse tradizioni e culture. Se potete, sceglietevene una che sia rapida e potente e senza sforzo e in armonia con le leggi di natura che si dispiegano nella vostra psicofisiologia. Soprattutto ho sperimentato per vero ciò che conclude l’articolo di Ameya: in quello stato si “è” e basta ma vi assicuro che non è affatto poco.

    (Pietro V.)

  7. Differenze, linguaggio e… presenza
    È vero, esistono molte strade, o meglio, molti luoghi da cui partire. Ai blocchi di partenza le strade sembrano in contraddizione. Nasciamo in una cultura, impariamo un linguaggio. Creiamo dei “pregiudizi”, dei parametri, delle categorie tramite cui percepiamo ed interpretiamo il mondo. È così però che possiamo comunicare il mondo e una parte di noi stessi. Ci formiamo una mente ed un corpo. Abbiamo bisogni diversi e certi approcci funzionano con taluni, altri con altri. Mettiamo pure vicino Socrate, Sri Ramana Maharshi, Platone (forse meglio Plotino), la Bagavadgita, il vangelo, gli sport estremi, il silenzio, il giardino Zen… e le “contraddizioni” saranno molte. Ma, appena si sale di qualche gradino, queste lentamente spariscono. Al tempo stesso la comunicazione comincia a fallire. Wittgenstein diceva: “I limiti del mio linguaggio costituiscono i limiti del mio mondo”. È vero se intendiamo del mondo comunicabile. Infatti poi aggiunge: “Su ciò che non si può parlare si deve tacere”.
    Limitiamoci dunque a parlare di quando siamo ai blocchi di partenza. Come dice bene Ameya, qui siamo ancora in preda all’ansia, alla pesantezza, la mente non si ferma e facciamo male a noi stessi ed agli altri… e la maggior parte di noi cerca di “anestetizzarsi” uscendo da se stesso… ma qui il discorso si fa lungo. Invece, forse è più utile un augurio. Che possiamo essere sempre presenti, ovvero sperimentare completamente quello che stiamo facendo. E quando la mente salta a qualche cosa che non c’entra con il “dove siamo e cosa stiamo facendo”, che possiamo prenderne coscienza e, semplicemente, gentilmente riportarla al “qui ed ora”. Ringrazio di avere un corpo per questo. Poi, scegliamo la strada che più ci si addice. Personalmente guardo anche le altre strade per capire meglio la mia ma cerco di seguire la mia. Cerco di superare la pigrizia e di evitare gli annacquamenti delle strade che portano più ad anestetizzarsi, ad entrare in un limbo di falso benessere e perdersi più che a… (qui devo tacere!). Grazie ad Ameya per lo spunto di riflessione.

    Ugo (stormclouds)

  8. Sui limiti del linguaggio
    In riferimento agli ultimi due interventi che sono, peraltro, ampiamente condivisibili, vorrei però aggiungere alcune precisazioni in merito ad alcuni passaggi. Quando Pietro V. parla di cambiamenti “neurofisiologici” che seguono (o anticipano? la questione è di fondamentale importanza) certe esperienze bisogna dire che tali mutamenti potrebbero non significare, strettamente parlando, l’esistenza di stati dell’essere superiori e “altri” rispetto a quelli del mondo fisico, così come lo stato di sogno od uno indotto dall’assunzione di LSD non giustificano che i mondi di cui facciamo esperienza in tali contesti siano anche reali (ma poi, cosa è reale e cosa non lo è…?). Perciò, parlare di mutamento neuro-fisiologico significa rimanere all’interno della propria epidermide e nel campo di una fisica che, non riuscendo a spiegarci, chiamiamo metafisica. E’, effettivamente, una questione complicata su cui forse non si troverà mai una risposta ma che, giustamente, interessa relativamente poco coloro che acquisiscono una certezza dalla propria esperienza. Ciò detto, volevo spezzare una lancia a favore del tanto bistrattato linguaggio. Quando vogliamo invitare un caro amico a visitare una città che riteniamo molto bella e che lui non ha mai visto, probabilmente non gli consiglieremo sbrigativamente di visitarla lui stesso ma, nei limiti del linguaggio, cercheremo, appunto, di descrivergliela al meglio delle nostre capacità. Allo stesso modo, se oggi parliamo di un Meister Eckhart o di un Krishnamurti, di un Plotino o di un San Juan de la Cruz, non lo facciamo perché costoro si sono limitati alle loro estasi ma, al contrario, perché ciascuno di essi ha voluto tradurre a imperitura memoria (e qualcuno guadagnandoci non solo in fama… ) le proprie esperienze. Pertanto la massima di Wittgenstein non dovrebbe essere letta alla lettera, nel qual caso davvero su molte cose dovremmo rinunciare a discorrere. Anche l’incessante flusso dei pensieri non dovrebbe essere considerato sempre e comunque in maniera negativa. Il pensiero associativo, il libero fluire dei propri pensieri porta a nuove associazioni e a creare nuove soluzioni, libera la fantasia, anche se in certi momenti bisognerebbe poter guardare quel fluire con distacco e indifferenza, come dall’esterno, più che cercare di annullarlo completamente. Tutto ciò per dire che il distacco che si operò in passato tra Oriente e Occidente, l’uno speculativo e attivo e l’altro contemplativo e passivo, dovrebbe essere sanato attraverso una sintesi (sintesi, non sincretismo!) che includa entrambi gli aspetti e non attraverso uno spostamento verso l’una o l’altra sponda.

    (R.S.)

  9. Esempi
    Credo che nessuno qui sostenga che il linguaggio non sia utile. Solamente che ha un suo contesto ed al di fuori di esso non è utile. Un esempio riduttivo: se parlo a livello di neurobiologia, posso identificare gli stati di estasi come una situazione chimico-fisica del corpo e del cervello. Nulla potrò dire sulla esistenza o NON esistenza di altre realtà. Dovrò semplicemente tacere a riguardo. D’altra parte la neurobiologia ed il suo linguaggio sono utili ed hanno molte altre applicazioni. Neppure credo che qui qualcuno sostenga che il pensiero non sia utile o necessario. È quando degenera che deve essere guardato. Un altro esempio riduttivo: sto facendo una passeggiata in montagna in un posto meraviglioso, tutto è perfetto. Ad un certo punto la mente mi ripresenta quello sgarbo che mi è stato fatto 1 anno fa. Comincio a rivivere per l’ennesima volta la situazione, sto male e quanto meno per la prossima mezz’ora non “vedo” più assolutamente nulla del paesaggio (quasi quasi tanto valeva anestetizzarsi davanti alla TV). Qui siamo ancora ai blocchi di partenza. Semplici tecniche di meditazione, ampiamente e giustamente comunicate già da altri, possono aiutare ad evitare di cadere in queste trappole.
    E per finire un esempio di sintesi culturale: è noto che inventori, scienziati ed artisti che meditano (nel senso più ampio del termine) sono più creativi e fecondi.

    (Ugo – “Stormclouds”)

  10. Anch’io…
    Brava Ameya! Hai lanciato un messaggio e, piano piano, molti accolgono lo spunto per riflettere… anch’io. Ritengo che per compiere appieno il proprio percorso di vita occorra, prima o poi, entrare in possesso di sè, imparando ad osservarsi con lo sguardo interiore ma anche oggettivandosi, come dall’esterno. Penso che vi si possa giungere da tanti sentieri: colti, mistico-religiosi, ma anche attraverso la sofferenza, la frequentazione della natura, per mezzo di un panteismo che ci permette di cogliere, con grande consapevolezza, il senso della Vita, la quale è unica sorgente a cui si abbeverano tutte le forme di vita, o, semplicemente, per il corretto e sano senso della vita. Può darsi che qualcuno abbia bisogno di essere guidato, ed allora ben venga il qualcuno che lo sa condurre verso l’incontro con se stesso. Fatta l’esperienza del ‘sè’, non vi si può più rinunciare. Il ‘sè’ nasce con noi e se ne va con noi, è il “solo” che divide con ciascuno la parabola faticosa o meno faticosa, ma comunque irripetibile, della vita di ognuno. Mi è capitato, per fortuna in pochissimi casi, di conoscere persone che se ne sono andate senza avere avuto il bisogno o il coraggio di fermarsi con se stessi; la loro mi è apparsa una vita incompleta benché conclusa. Io ho un figlio che soffre per una disabilità fisica, è giovane, molto giovane; questa mancanza di normalità l’ha condotto all’introspezione e ad una conoscenza approfondita di sè, all’accettazione di sè, anche se diverso nelle possibilità e nell’aspetto dai suoi coetanei. Nonostante il ‘mondo’ in cui viviamo, trionfo dell’immagine bella, forte, sana, anche lui, mio figlio, attraverso la scoperta di se stesso, ha imparato a stare bene con se stesso. Ti ringrazio, Am, per avermi invitato al tuo banchetto.

    (Commento firmato)

  11. Grazie
    Con questo intervento ho avuto la conferma di come lo studio, l’approfondimento, la ricerca siano per Ameya punti fermi della sua esperienza come donna, madre e professionista sempre in ascolto degli altri, ma soprattutto di se stessa. Buone indicazioni per chi, come me, è lontano dalla meditazione ma che a volta ha la voglia di avvicinarsi con umiltà e rispetto.

    (Waller)