Pubblichiamo integralmente il messaggio per il Natale 2007 dal Pastore della diocesi reggiano-guastallese, mons. Adriano Caprioli.
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È noto come nel dibattito attuale certe domande siano rimosse dalla opinione pubblica, e demandate piuttosto alla coscienza privata, come: il senso del nascere e del morire, il senso del piacere e del dovere, il senso dell'innocenza e della colpa, della sofferenza e della malattia, del lavoro e della festa.
Di fatto registriamo una fitta presenza di “profeti” che dicono a non finire a proposito della situazione del Paese, tacciono invece ostinatamente a proposito del cuore dell'uomo, cioè a proposito di quel che accade nel tempio del cuore dell'uomo.
Dunque pastori e teologi dovranno sempre e solo tacere, quando siano interrogati a proposito di quelle questioni della vita quotidiana che i loro fratelli non si stancano di proporre loro? No. È vero, stiamo aumentando come popolazione, ma non è solo un problema di numeri.
C'è un interrogativo che da sempre ha inquietato la coscienza degli uomini: che cosa sono io? Che cosa valgo? Che cosa conto, se penso alla folla incalcolabile di uomini che mi hanno preceduto, che ora vivono, che verranno dopo di me? Problema angoscioso quello della difesa della propria identità, che viene vissuta oggi in forme quasi nevrotiche, per lo più con un individualismo esasperato.
Il pericolo è talmente sentito che c'è una ricerca, da parte di molti, di piccole aggregazioni dove uno possa ritrovare la propria identità perché riconosciuto, considerato, circondato da un'attenzione partecipe e affettuosa. Si spiega così il fiorire dei gruppi, dei piccoli gruppi anche religiosi. Essi promettono quel calore di rapporti umani e quell'esperienza di amicizia che le grandi religioni istituzionali non sembrano in grado di dare.
Ho pensato a questa nostra situazione leggendo un passo del Vangelo di Luca che ascolterò tra poco, a Natale. “L'imperatore Augusto emanò in quel tempo un editto che ordinava il censimento di tutta la terra”. All'imperatore interessavano solo i termini quantitativi della sua potenza. “Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe andò per farsi registrare con Maria sua sposa”.
Così Giuseppe era un numero. Maria era un numero. Gesù era un numero. Pensate, Gesù un piccolo segno sulla scheda. Già allora erano i numeri a trionfare sull'irrepetibile originalità di ogni persona. Ma c'è stato il miracolo del Natale. C'è stato il miracolo di un Dio che ha fatto capire di non amare i grandi numeri, ma il volto di ciascuno, il nome personale, ogni cuore con i suoi segreti.
“Lo chiamerai Gesù”, disse l'angelo a Maria. Secondo la tradizione ebraica, l'imposizione del nome assumeva una rilevanza religiosa e culturale assai significativa.
Ricevere il nome vuol dire ricevere con il nome la stessa esistenza. È il segno della nostra povertà di creature. Ed è bene non dimenticarlo quando siamo tentati o di esaltarci per altri nomi o titoli che noi stessi ci siamo procurati, oppure abbatterci per qualche insuccesso che ci dovesse capitare. Ecco chi sei, al di là dei successi e insuccessi: un nome, un “tuffo nell'esistenza”, un'invocazione di aiuto, un appello alla responsabilità di un padre e di una madre.
A Natale ciascuno di noi prende coscienza — stupenda coscienza — di non essere un numero o una funzione o una pratica burocratica, ma un volto, un nome, una passione per il nostro Dio. Verrà un giorno in cui si pregherà su di te, di me, di ciascuno di noi: “Non togliere, Signore, il suo nome dal libro della vita”.
BUON NATALE!
+ Adriano VESCOVO