Eyes. Questo è il titolo della nuova mostra personale di Carla Bedini che negli storici locali della "Galleria 13" di Reggio Emilia aprirà al pubblico nel giorno della festa dell´Immacolata.
Saranno esposti nuovi lavori inediti di Carla; grandi volti ed evanescenti figure che con i loro grandi occhi interrogano ed inquietano lo spettatore. Carla Bedini, nonostante la breve carriera, ha già raggiunto importanti consensi, partecipando a numerose e prestigiose mostre personali e collettive.
Scrive Francesca Baboni, curatrice della mostra: "Quell´inquietudine che appena si avvertiva dietro all´eccessiva e maniacale perfezione, quella solitudine che si celava dietro agli abiti da scolaretta modello e ai cagnolini portati in braccio, ai visi emaciati, agli interni desolati dai pavimenti a scacchi, ora esce allo scoperto, facendosi pressante ed esplosiva. L´apparente ed ansiogena quiete viene ora spezzata e lascia il posto alla violenza epifanica e corposa del rosso e del nero che cancellano la neutralità degli sfondi. La crudeltà latente si manifesta ora in modo palese e aggressivo come un manifesto personale firmato col sangue. I sogni delle fate lasciano ora il posto agli incubi più segreti, mentre le brutali icone femminili si trasformano in reminiscenze dell´inconscio, entità ancestrali che compaiono dall´oscurità e mostrano tutta la loro carica primitiva di sofferenza interiore, si intrappolano tra i fili di un dolore sommerso, imprigionate dai loro stessi lacci come principesse inquiete chiuse in un castello, anime in pena, streghe contemporanee destinate al rogo in attesa di una imminente liberazione".
La mostra sarà completata dal catalogo con testo critico della curatrice e un racconto di Emanuele Ferrari.
Inaugurazione: sabato 8 dicembre alle ore 17,00.
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Carla Bedini - eyes
Orari : dalle 10 alle 12,45 e dalle 16 alle 19,30. Nel mese di gennaio dal lunedì al venerdì con gli stessi orari.
Info: Galleria 13, via Roma, 14/b, Reggio Emilia, tel. 0522 453857, mail: [email protected].
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IL POTERE DELLO SGUARDO
La visione arriva da molto lontano. Prende inizio in primo luogo dal quadro, dai soggetti e dalla stretta iconografia. Ma non si ferma lì. Poiché non si può parlare di una semplice e pura figurazione, oramai non basta più. Il discorso è molto più complesso e segue di pari passo un’evoluzione stilistica e formale. Sancita da un sottotesto di fatto già presente all’interno dell’opera.
Si tratta di un percorso che Carla Bedini ha seguito scrupolosamente, senza cadute, partendo in sordina qualche anno fa per arrivare al climax, ad un punto se vogliamo di “non ritorno”, con questa nuova serie di opere inedite che segnalano un cambiamento effettivo di rotta oltre che una precisa e sorprendente maturità. Potrebbe essere un episodio isolato, un’esigenza impellente del momento. Oppure al contrario l’inizio di una nuova ricerca visiva e poetica.
Quel che è certo è che il filo rosso non s’interrompe. Anche se non ci sono interni di case, questa volta. Non ci sono stanze vuote dai muri sbrecciati in cui rinchiudersi, giocare a nascondino o scappare dal mondo. Non ci sono dolci da assaporare tra i mutamenti metamorfici ed obbliganti di un’adolescenza difficile. Ci sono solo loro, le figure femminili, con la loro presenza ambigua e bastano incredibilmente a loro stesse. Si ergono al centro della scena come dee altere di una tragedia greca pronte a consumare il loro rito crudele e a mostrarsi al mondo. Rivelando finalmente ciò che prima era soltanto intuibile. Scoprendo il mistero che si nascondeva dietro al filtro di una perfezione artefatta, in realtà sottilmente e volutamente imperfetta. Una sorta di operazione catartica e di svelamento identitario dunque.
L’immaginario rimane simile al passato, le protagoniste sono le stesse, ma ora le sembianze di giovani donne acerbe e perverse si perdono nel colore che sgocciola e lascia la sua impronta sanguigna ed epidemica. L’egemonia del rosso incombe sulla raffigurazione lasciando la sua traccia sanguinante sulla ruvidità della garza onnipresente, ferita da un’espressività segnica ossessiva. Carla Bedini cambia strada ma rimane sempre fedele a se stessa. Non rinnega, anzi arriva, se così si può dire, al limite, dove mai si è spinta prima.
Sperimenta una modalità nuova di linguaggio e si mostra audace e senza tentennamenti nella scelta. Toglie tutti gli orpelli, squarcia il velo di Maya, isola completamente le sue creature - i suoi simbolici e fedeli alter ego - lasciandole nude in una situazione ambientale cruda, per far fuoriuscire quel pathos che si sposa con la forza distruttiva di thanatos. Libera quel lato oscuro, ermeticamente folle e profondamente dark che si percepiva anche in passato, pur in forma ancora latente e allusiva, non del tutto riconosciuta. Quell’inquietudine che appena si avvertiva dietro all’eccessiva e maniacale perfezione, quella solitudine che si celava dietro agli abiti da scolaretta modello e ai cagnolini portati in braccio, ai visi emaciati, agli interni desolati dai pavimenti a scacchi, ora esce allo scoperto, facendosi pressante ed esplosiva. L’apparente ed ansiogena quiete viene ora spezzata e lascia il posto alla violenza epifanica e corposa del rosso e del nero che cancellano la neutralità degli sfondi. La crudeltà latente si manifesta ora in modo palese e aggressivo come un manifesto personale firmato col sangue. I sogni delle fate lasciano ora il posto agli incubi più segreti, mentre le brutali icone femminili si trasformano in reminiscenze dell’inconscio, entità ancestrali che compaiono dall’oscurità e mostrano tutta la loro carica primitiva di sofferenza interiore, si intrappolano tra i fili di un dolore sommerso, imprigionate dai loro stessi lacci come principesse inquiete chiuse in un castello, anime in pena, streghe contemporanee destinate al rogo in attesa di una imminente liberazione.
Il morbo infetto che le divorava dall’interno ora si manifesta esternamente con una carica talmente visionaria e inquieta che va a sfaldare con una gestualità pittorica violenta e senza sconti i giovani corpi filiformi, inermi e succubi. Le adolescenti misteriose di Carla, pur nella dissoluzione del corpo, non perdono però la loro grazia quasi fiabesca e quella raffinata compostezza enigmatica che le avvicina alla perfezione calibrata dei ritratti rinascimentali e fiamminghi, punti di riferimento della poetica della pittrice.
Carla Bedini si discosta e si distacca nettamente, con un’impronta originale, dalla figurazione leggera e patinata imperante all’interno del panorama italiano, esplicitando la problematicità esistenziale di un’archetipica tribolazione dei sensi, un tormento interiore attanagliante tipicamente nordico e decisamente mitteleuropeo. Sonda con acutezza la psicologia femminile, marchiata dalle nevrosi contemporanee, trasfigurando con il patimento e l’afflizione un forte dolore interiore, con un’atmosfera quasi metafisica che rimane sospesa e una situazione di disagio appena visibile attraverso una visione dell’innocenza mai troppo edulcorata anche se dal gusto fiabesco.
La stessa modalità estetica si manifesta nei volti scarni dai grandi occhi ipnotici. Lì il corpo scompare per lasciare il posto soltanto al volto. Ora ci sono soltanto le fanciulle dolenti, i loro capelli e i loro occhi. Niente di più. E non a caso. Perché negli occhi di Carla c’è tutto il suo mondo interiore. La sofferenza, il disagio di una condizione esistenziale adolescenziale, i sogni interrotti. Carla Bedini pone una sfida. Sfida lo spettatore con lo sguardo. Sguardo che parla attraverso quello dei suoi individui pre- adolescenziali, rappresentazioni simboliche che hanno la notte dentro ai grandi occhi e volti che dirigono le danze, inseguono e non lasciano tranquilli. Le ragazze senza nome di Carla ci guardano e pongono i loro interrogativi. Con gli occhi taglienti come lame tenuti accesi dal loro buio. Che in un solo istante hanno il potere di spazzare via la nostra fittizia tranquillità.
(Francesca Baboni)