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Vetto, appello del nipote di Pietro Azzolini: “Ora vi chiedo: chi sa parli”

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E’ tarda sera quanto in redazione arriva un commento di Pietro Azzolini, nipote del medico omonimo barbaramente ucciso nel 1944. E lancia il suo ‘chi sa parli’, uno sfogo atteso forse per sessanta anni. A Vetto, dell’omicidio del medico condotto in tempo di guerra, fino ad oggi non si accennava quasi mai pubblicamente, anche se ci si trovata di fronte a un delitto impunito.

Morini: “Azzolini si fermò a casa nostra: era sconvolto per la strage di Val d’Asta. Ed evitò altre rappresaglie”

Dopo così tanto tempo, con la posa della croce sul luogo del ritrovamento del cadavere, finalmente un velo pare essersi scoperto su questo triste episodio.
Proprio nei giorni scorsi, Danilo Morini aveva proposto sul quotidiano L’Informazione di Reggio Emilia la sua testimonianza che aggiungeva nuovi particolari alla vicenda.
“Pietro Azzolini era quasi coetaneo di mio padre, egli pure medico condotto, entrambi di origine montanara”.
“Entrambi – ha proseguito lo storico - consideravano il professor Pasquale Marconi un fratello maggiore, sia per età che per autorevolezza professionale e morale e la netta opposizione sia al fascismo che al nazismo, e si trattava di un'opposizione da sempre e non dell’ultima ora dopo il 25 luglio del 1943. Marconi, pur sapendo che questi suoi due più giovani colleghi medici non condividevano il suo antifascismo, li considerava validi professionisti e soprattutto amici sinceri sui quali contare nel momento del bisogno. Fu infatti Pietro Azzolini ad adoperarsi fattivamente per restituire la libertà a Pasquale Marconi quando fu incarcerato per decisione delle autorità fasciste repubblichine di Reggio”. Lo stesso Marconi non disdegnò di curare i repubblichini, ricorda Danilo. “Il 20 marzo 1944 Pietro Azzolini, capitano medico della G.N.R, era presente in Val d’Asta allorché i soldati tedeschi della Divisione Hermann Goring, agli ordini del Capitano Von Loeben, attuarono la loro feroce rappresaglia uccidendo il Parroco Don Pigozzi e altri 21 suoi inermi parrocchiani che non avevano alcun ruolo nella guerra partigiana. Sulla strada del rientro si fermò in tarda serata a casa nostra nel centro di Villa Minozzo; Azzolini era letteralmente sconvolto da quello che aveva visto, essendosi ben reso conto che la feroce rappresaglia tedesca aveva riguardato non partigiani combattenti ma bensì civili inermi ed innocenti. Monsignor Milani, nella sua biografia di Marconi, attribuisce ad Azzolini il merito di aver evitato la rappresaglia su Cerrè Sologno che il Colonnello Onofaro aveva deciso alla pari di Cervarolo; e Giovanni Fantozzi, nel suo recente libro su Monchio, scrive che salvò la borgata di Riparotonda dalla rappresaglia della gendarmeria tedesca. Sicuramente l’aver constatato di persona la ferocia nazista lo indusse ad avvicinarsi ancor più all’operato di Pasquale Marconi ben rendendosi conto dell’assoluta inutilità e della mancanza di autorità e di autorevolezza del fascismo repubblichino, la cui resurrezione ad opera di Hitler, dopo la ingloriosa fine del 25 luglio 1943, decretato dagli stessi fascisti, è stata l’unica vera causa della guerra tra italiani che tanti lutti ha arrecato nel 1944/1945. Tra questi lutti va scritta anche l’uccisione ingiustificata del dottor Azzolini, giustamente ricordata a Volpaia di Costaborga con il segno cristiano della Croce”.

Il nipote: “Ecco come venne barbaramente ucciso con una zappa e prelevato a tradimento”

“Racconto io un po’ di cose – ha scritto in un primo commento il nipote Pietro Azzolini a Redacon - sperando che chi le legge si senta istigato ad uscire allo scoperto e a raccontare un po’ di quella storia che a Vetto, ormai, tutti conoscono”.
La memoria corre al 1944, quando a Vetto “vennero in tre quella sera del 22 giugno e dissero a ‘Peder’ che c'era un partigiano ferito da curare. Era arrivato nel pomeriggio un messo della famiglia Ferrari di Castelnovo a dire di scappare che avevano prelevato l'amico Ostiglio e avevano sentito dire che sarebbero passati anche da lui, ma, perbacco, un malato si cura, e poi, disse, ‘male non fare paura non avere’; e andò”.
“Gli dissero di prendere scarpe pesanti – prosegue il nipote - che c'era da camminare un po’ e partirono. Arrivati a Costaborga gli spararono, lo misero appena in terra e se ne andarono. Ma non era morto e si lamentava; allora qualche d'uno prese la zappa della Nicola e lo picchiò sulla testa finché non tacque,e la sera dopo a cena, a scrocco come al solito, per rallegrare gli ospiti raccontarono ‘Al vriva mia murir’ e la Nicola disse ‘ho trovato la zappa tutta sporca di sangue’”.

“Il parroco non volle venire a disseppellire il corpo. Sappiamo chi prelevò nostro zio e chi lo finì a colpi di zappa”

Ormai il vaso dei ricordi è del tutto scoperto. Ci facciamo vivi con il nipote di Azzolini, che porta il suo stesso nome.
“Abito in provincia di Reggio e sono nato il 12 gennaio del 1947 – spiega alla nostra agenzia Pietro - e quando nacqui mio padre, l’ingegner Athos fratello di Pietro, mi portò dalla nonna Vittoria e disse: ‘Ecco, mamma, Pietro’; purtroppo servì assai poco a lenire il dolore della perdita del primogenito di cui la nonna ci parlò ad ogni occasione”.
In casa sua si raccontava della barbara esecuzione?
“No. Ci parlò della vita di Pietro e non della morte, taciuta nel silenzio terrorizzato di chi ha subito le persecuzioni che la mia famiglia ha subito. Dopo il 22 giugno i partigiani si presentarono regolarmente per prelevare medicine e viveri e ogni altro genere di conforto; inviati dallo zio Pietro, dicevano. Ma il 2 ottobre si seppe finalmente la verità. Mia madre Antonietta andò a disseppellire il corpo assieme al garzone di casa Augusto e senza il prete don Santi che si rifiutò di venire”.
Sa quindi come venne ucciso suo zio?
“Non sono certo stato il primo a saperle, se ne parla ancora oggi a Vetto. Ne parlano le persone che all’epoca c’erano e anche i loro eredi, basta solo andare a chiedere”.
Lei sa chi prelevò vostro zio?
“Chi ha sparato non lo so; so chi erano i tre che lo hanno prelevato e chi lo ha finito a colpi di zappa e so anche chi portava il suo orologio;, e ancora una volta sono certo che a Vetto molti possono ancora rispondere a queste domande”.

“Ancora in vita uno dei tre che prelevarono nostro zio”

Queste persone sono ancora viventi?
“Delle tre persone le due degne di nota sono morte: uno svariati anni fa, un altro solo un paio di anni fa ed il terzo è ancora in vita anche perchè allora era un ragazzotto di giovane età, usato per fare numero. Vive nelle colline vicino a Vetto”.
“Delle due partigiane citate quella che portava l'orologio dello zio è morta. “La Nicola, la proprietaria della zappa, credo sia morta poco tempo fa, ma non sono sicuro”.

“Istoreco non ha trovato colpe su Pietro. Ha ripiegato su nostra zia, dove c’è il beneficio del dubbio. Ma non dice che fu violentata per 15 giorni”

Suo zio era medico solo dei fascisti?
“No, affatto. Curava tutti gli ammalati indistintamente dal loro ceto e posizione, e non solo li curava ma talvolta li nutriva. Anche per avere conferma di questo basta chiedere al primo che si incontra a Vetto, basta solo che abbia l'età giusta”.
Probabilmente vostro zio si macchiò di qualche cosa?
“Se Pietro Azzolini avesse avuto le benché minima colpa ci avrebbe pensato Istoreco a metterla in evidenza. Invece ha dovuto ripiegare sulla zia Marianna dove può almeno invocare il beneficio del dubbio e dichiarare le verità solo a metà”.
Perché?
“Perché Istoreco dimentica, per esempio, i 15 giorni della zia passati in mano ai partigiani e violentata di continuo”.
Intendete querelare l’Istituto presieduto da Storchi?
“Stiamo cercando tutte le carte d'appoggio alle nostre dichiarazioni, alcune conferme sono appunto in mano a Istoreco; vediamo se riusciamo ad accedere agli archivi poi faremo il necessario”.

Il nipote: “Credo nei valori della Resistenza, ma non intesi come diritto per regolare i conti per soppiantare un potere”.

Lei crede nei valori della Resistenza?
“Sì, io credo nei valori della Resistenza, in alcuni posti è stata essenziale per la liberazione. Ma non chiamo resistenza la guerra civile scatenata dai partigiani comunisti contro tutti, talvolta contro altri partigiani, al solo scopo di soppiantare i fascisti. Non sto cercando di fare lo storico, il mio mestiere è diverso: ma leggo e mi informo; solo da poco si è cominciato a parlare liberamente degli eccidi comunisti, delle foibe, del triangolo della morte e di altre cosucce che erano sfuggite. Tutto questo ci fa dire che i morti ammazzati dai comunisti sono vittime proprio come gli altri e va loro reso giustizia”.

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Pezzi correlati:
- Una croce per il dr. Pietro Azzolini, la camicia nera assassinata dai partigiani nel 1944 (30 novembre 2007)

1 COMMENT

  1. Solidarietà alla famiglia Azzolini
    E’ veramente difficile esprimersi su un tema così “forte”. Il racconto è crudo ma ha il potere di scuoterci. Vorrei esprimere solidarietà alla famiglia Azzolini. Immagino che i momenti di allora furono terribili, e non sarà stato certo più facile convivere ed incontrare per tanti anni gli autori dei fatti.
    Una lezione è da trarre. Le guerre civili non hanno mai il BENE ed il MALE nettamente schierato da una parte, magari anche quella che oggi ci pare “più giusta”, e nei primi anni la “storia” tende a rappresentare solo il positivo della parte vincente esorcizzandone le malefatte. A 60 anni di distanza è bene che emerga la verità, per senso di doverosa giustizia e quale monito ed insegnamento alle future generazioni.
    Grazie alla redazione per averci fatto riflettere su questi eventi che i nostri nonni o genitori vissero.

    (F.D.)