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L’omelia del Vescovo Adriano Caprioli per San Prospero patrono della città e della Diocesi

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Il Vescovo in occasione della ricorrenza annuale del Patrono della città e della Diocesi San Prospero è solito cogliere l'occasione per un discorso che affronta i temi di attualità e le rpoblematiche della comunità reggiano-guastallese.
Di seguito quello di quest'anno 2007.


VANGELO, LAVORO E RESPONSABILITÀ

Messaggio del Vescovo per la festa di S. Prospero 2007

Ritorna anche quest’anno la festa del nostro Patrono S. Prospero, ricca di tradizioni popolari del passato, come quelle che vediamo sotto i nostri occhi già entrando in piazza, ma insieme carica di preoccupazioni e di attese per i cambiamenti che ogni anno la città e il territorio vivono.

Il vescovo e la sua città

Come ci ha richiamato la breve lettura agiografica all’inizio di questa celebrazione, quelli del vescovo Prospero non erano tempi facili, se mai esistono tempi facili per un vescovo! Erano già quelli, tempi di cambiamento sia per la vita della città e del suo territorio, provata dalla invasioni di eserciti barbarici, sia per la stessa vita della Chiesa alle prese con divisioni interne che mettevano a rischio la comunione.

Ci voleva un miracolo per risollevare le sorti di una città provata dalle calamità belliche. E il miracolo c’è stato: non tanto quello leggendario della nebbia provvidenzialmente calata sulla strada dell’esercito invasore, depistandone altrove propositi di messa a fuoco e ferro della città; quanto invece quello ben più credibile della presa d’atto del SANTO della situazione della città e dell’assunzione di responsabilità da parte del VESCOVO.

Sì, il miracolo per la Chiesa del suo tempo è stata la figura e l’azione stessa del Santo vescovo, purtroppo non documentata dalle fonti storiche andate perse a causa dell’incendio prima del IX secolo, quando compaiono le prime memorie dei “Miracoli di S. Prospero” nelle omelie della festa. Il Card. Giovanni Mercati, di cui ricorre quest’anno il 50° della morte, ritiene che a ispirare la figura e l’azione del santo vescovo fosse proprio il Vangelo che ci è stato oggi proclamato: “Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il suo sapore, con che cosa lo si potrà rendere salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini” (cf. Mt 5,13-16).

Gesù dice ai suoi discepoli, presenti e futuri, e quindi si rivolge anche a noi: “Voi siete il sale della terra”. Gesù si riferisce qui alla comunità, e non soltanto ai singoli discepoli. Potremmo dire che è proprio questo nostro essere comunità cristiana il sale della terra, la manciata di speranza che il Signore Gesù ha lanciato nel terreno della storia, a dare sapore alla società in cui viviamo, a sciogliere le durezze delle relazioni tra le persone, a dissodare le coscienze assopite.

Il vescovo, come l’apostolo Paolo ci testimonia nella seconda lettura (1Cor 9,16-23), non è per vanto che predica il Vangelo; è un dovere per lui; guai, se non predicasse il Vangelo! Il vescovo, in prima persona, è chiamato a farsi servo del Vangelo e di tutti. Dove e come esercitare il mio ministero di servizio, oggi, a Reggio, in mezzo a voi? Come S. Prospero, vorrei servire il Vangelo e la città. Le difficoltà sono pane quotidiano nella vita, ma le emergenze chiedono impegno, prossimità e, se possibile, soluzioni. Penso in particolare al mondo del lavoro.

Lavoro, famiglia e giovani

Le preoccupazioni non mancano. Ci preoccupa la situazione economica della gente con indebitamenti che faticano a onorare. Il mercato del lavoro col problema di salari e contratti, fa discutere e preoccupa tante famiglie. Ci preoccupa l’emergere nel mondo del lavoro di aspetti di precarietà: aspetti finora poco avvertiti, che mettono in difficoltà molte persone, i loro ritmi, le loro aspirazioni e il loro futuro. Anche se mi rendo conto che certi cambiamenti sono inevitabili, strutturali, questi non sono mai indolori.

So di non potere intervenire con suggerimenti né a livello economico né a livello politico. Il mio intervento è di profilo etico, come già in altre occasioni. Mi stanno a cuore le vicende delle persone e delle famiglie, la loro serenità e il loro domani. Anche noi ci troviamo di fronte a situazioni che mettono in forte difficoltà le condizioni dei lavoratori, soprattutto per quanto riguarda la tutela della stabilità. È perciò urgente impostare in modo coerente il rapporto tra lavoro, progresso e persona.

Sottolineo un punto. Una persona ha bisogno di riferimenti e di stabilità per costruire il proprio futuro. Se c’è un avanzamento nella modernità del lavoro, questo si misura nella tutela che la società riesce ad offrire ad ogni lavoratore, ivi compresi quelli che sono costretti a prendere il primo lavoro che capita. Penso anzitutto ai giovani, ma anche alle donne, alle persone che non hanno in sé sufficienti capacità per stare sul mercato, e agli stessi immigrati o nuovi arrivati.

Inquieta, in particolare, la situazione dei GIOVANI davanti ad un futuro molto incerto. Mentre noi, come comunità cristiana, ci preoccupiamo di esortare i giovani a costituire una famiglia, superando le comodità troppo facili della vita in casa dei genitori, incoraggiando una forte azione educativa e sostenendo la fedeltà alle scelte compiute, la trasmissione di questi e di altri valori richiede di per sé prospettive, anche lavorative, in qualche modo di lunga durata. Scrive Papa Benedetto XVI nella sua lettera ai convegnisti per la recente “Settimana sociale dei cattolici italiani”: “Quando la precarietà del lavoro non permette ai giovani di costruire una loro famiglia, lo sviluppo autentico e completo della società risulta seriamente compromesso”.

Nel frattempo, si registra la difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro per alcune categorie di persone: gli ultraquarantenni, le donne, le persone meno qualificate. E, nello stesso tempo, si assiste all’aumento del lavoro straordinario. Penso anche ai riflessi che i nuovi modi di lavorare hanno sulla VITA DI FAMIGLIA per quanto riguarda i tempi di lavoro e di famiglia.

Sono messi in forse i giorni festivi, e ancor più i rapporti familiari: in termini di stabilità abitativa, per la de-localizzazione delle imprese; in termini affettivi, per prolungate lontananze degli sposi; in termini educativi, per la fatica a seguire personalmente i figli; e fortunati quelli che hanno i nonni a disposizione! Non c’è festa o domenica che tenga, dimenticando che l’uomo è di più del suo lavoro: “Non l’uomo per il sabato, ma il sabato per l’uomo”.

Penso in particolare ai lavoratori immigrati, stranieri, in cerca di CASA. La reperibilità della casa, spesso, è più facile nel settore agricolo che in altri settori per il patrimonio immobiliare delle aziende che offrono la casa. Preoccupa invece la qualità stessa della sistemazione che, in molti casi, non rispetta le norme della più elementare abitabilità. Si tratta di alloggi aziendali fuori dal mercato ordinario degli affitti, e quindi fuori da ogni regola e controllo, con il rischio di far sorgere chiusure, separazioni, ghetti a discapito della ricerca di integrazione così necessaria per la convivenza pacifica di culture diverse.

La precarietà del rapporto di lavoro preoccupa anche alla luce della situazione in cui vengono a trovarsi questi lavoratori che si vedono trasformare il “permesso di soggiorno” in contratto di soggiorno, la cui durata è strettamente legata al contratto di lavoro. Per questi lavoratori sono bloccati di fatto i ricongiungimenti familiari che vengono concessi solo a chi gode di lavoro indeterminato, determinando una situazione inumana e socialmente pericolosa.

La domanda che viene spontanea è allora: quale modello di società si vuole proporre? Da tempo stiamo ragionando sulla globalizzazione. Ma, se la conclusione a cui arriviamo si misura in precarietà, diffidenza e individualismo senza prospettive, allora la costruzione di questo nuovo modello di società ha in sé qualcosa di sbagliato.

Non esiste vero progresso senza “benessere” della persona, della famiglia, della vita nella sua totalità. La nostra società ha bisogno di grande progettualità e di grandi interventi, e so che nella nostra realtà molti sono attenti e capaci di affrontare nuove prospettive, senza cedere al pessimismo e alla rassegnazione. È però necessario che si uniscano le forze per trovare soluzioni all’altezza dei tempi.
Come?

La solidarietà come virtù

Mi ha colpito, in occasione della recente “Settimana sociale dei cattolici italiani” a Pistoia-Pisa, il richiamo che Papa Benedetto XVI ha fatto in tema di bene comune. Parlare di bene comune vuol dire interdipendenza tra le varie componenti della società: economica, culturale, politica e religiosa. E aggiunge: “Quando l’interdipendenza viene così riconosciuta, la correlativa risposta, come atteggiamento morale e sociale, come virtù, è la solidarietà”. In questo senso, la solidarietà non è un optional, un sentimento di vaga compassione per i mali di tante persone, ma la virtù morale e sociale necessaria a promuovere il bene di tutti e di ciascuno.

Colgo qui nelle parole del Papa un appello a tutti. E, in primo luogo, alla COMUNITÀ CRISTIANA. Tocca a noi, come comunità cristiana, accettare di misurarci con questi problemi, cercando soluzioni che possono competere con i disagi. Come richiamava Papa Benedetto XVI lo scorso anno al Convegno ecclesiale di Verona, tocca ai FEDELI LAICI impegnarsi per la costruzione di un ordine giusto nella società italiana. Agire in ambito politico non è compito immediato della Chiesa in quanto tale, ma dei fedeli laici, illuminati dalla fede e dal magistero della Chiesa.

Mi rivolgo ai responsabili delle ISTITUZIONI PUBBLICHE: nella flessibilità ormai diffusa, l’invito è alle tutele, alle previdenze di tutti i lavoratori atipici, che si stanno moltiplicando; l’invito ad una legislazione che valorizzi la flessibilità, quando è di reciproco aiuto tra imprenditore e lavoratore. Vanno previsti dispositivi di reinserimento, forte impegno per la formazione professionale, strumenti di approfondimento che permettano itinerari con sbocchi aperti verso una maggiore progettualità. Servono regole e non liberismo selvaggio per trovare un equilibrio tra le diverse esigenze delle parti.

Invito gli IMPRENDITORI ad affrontare questo tempo, con l’intelligenza e la creatività di persone competenti. Voi sapete, quando volete, inventare soluzioni e prospettive stabili che diano dignità e fiducia alle persone che lavorano. Certamente non è possibile questo cambiamento senza la collaborazione e senza l’apporto responsabile dei LAVORATORI, con cui, insieme, costruire proposte e soluzioni nuove, tenendo conto delle esigenze di qualità che il mercato continuamente richiede.

L’invito al MONDO SINDACALE è di mantenere alto il proprio impegno. Come ha mantenuto fede, nei tempi passati, alla garanzia dei diritti della persona, pur nelle difficoltà, ritrovi forza e unità per cercare e sostenere forme di stabilità, che non demoralizzino il mondo del lavoro, e non si chiuda in una mera attività di difesa ad oltranza di diritti o contratti, ripensando una solidarietà “più sociale” e meno corporativa.

Alle COOPERATIVE, così radicate e sviluppate nel nostro territorio, rivolgo l’invito ad essere continuamente attente ai principi ispiratori di mutualità, di democrazia, di partecipazione e dignità dei soci lavoratori, diventando strumento per quella democrazia economica capace di immaginare un diverso modello di sviluppo, più attento alla responsabilità sociale dell’impresa.

Mi rivolgo, infine, al MONDO EDUCATIVO e al suo impegno nei confronti dei giovani. Incoraggiare alla scuola, prima di tutto; alla formazione professionale, a credere nella possibilità di diventare protagonisti anche nel lavoro, e quindi alla responsabilità verso sé stessi, gli altri, riconoscendo i propri doveri, non solo i diritti è un compito fondamentale, che ci dobbiamo assumere di fronte alla nuove generazioni. Dovremmo riflettere sulle difficoltà, per un giovane, di passare da un ambiente sostanzialmente permissivo ad un ambiente lavorativo fortemente gerarchico. Sarebbe importante che l’educazione alla responsabilità cominciasse molto presto.

Questa è una celebrazione: non è la sede né c’è il tempo per approfondire i vari aspetti del problema del lavoro. Sarà mia preoccupazione, come già negli anni scorsi, promuovere su questo tema il Forum di S. Lucia il prossimo 13 dicembre con particolare attenzione al mondo dei giovani.
L’Eucaristia che celebriamo nell’offerta del pane e del vino, frutti della terra e del lavoro umano, sia il segno del nostro ringraziamento al Signore per i suoi doni, ma assieme sia anche l’invito ad assumere il compito di fare di questa festa, il punto di partenza di un cammino di speranza per il futuro della comunità nel nostro territorio e nel paese. San Prospero sia per noi, come ha detto la lettura agiografica, la “lucerna sul candelabro” che illumina questo cammino.

+ Adriano VESCOVO

Reggio Emilia, 24 novembre 2007