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“Italiani brava gente”: un detto da aggiornare

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Mi sono sentito molto imbarazzato a sentirmi italiano, travolto dalle vicende di questi giorni, dove la drammatica morte di un giovane, ucciso da un proiettile più o meno vagante, sparato da un altro giovane, padre di due bimbi, ha suscitato un’aggressività e violenza irragionevole, immotivata, un clamore e lutti cittadini, che mi hanno fatto meditare seriamente sul nostro essere “italiani brava gente”, popolo di eroi, di scrittori e di artisti, di cantanti e di poeti, di naviganti ed esploratori, che nel mondo dei poveri ha scritto pagine meravigliose attraverso i suoi volontari, missionari e laici.

Se la violenza è frutto dell’odio e dell’ignoranza, il diluvio di parole delle radio, dei giornali e Tv, più o meno locali, da dove nasce? La folla che ha telefonato alle varie emittenti radiofoniche di Roma per commentare “er fattaccio”, quella che nei vari stadi ha inveito contro le forze dell’ordine, che ha assaltato commissariati o bruciato macchine, incendiato cassonetti, da quali “maestri” è guidata?

Mi va bene chiudere gli stadi ma questi “figli della violenza” alla domenica dove li troveremo? E perché non si alza lo stesso clamore per i morti di droga, dentro e fuori dalle discoteche? Perché non si chiudono le industrie automobilistiche, che costruendo auto dalle folli velocità, sono causa di tante morti giovani? E i pub, i bar? Quanti giovani rovinati dall’alcolismo!

Reprimere, chiudere: sono queste le soluzioni? Italiani, brava gente, diamoci una mossa: ritroviamo equilibrio e se è giusto piangere per una vittima innocente, proviamo a commuoverci per i drammi delle nostre famiglie, in tempi di crisi econonomica, per le tragedie dello Zimbawe, del Darfur, dei bambini dell’Africa. Ma per loro non ne vale la pena: non sono iscritti al campionato!