Il vescovo saluta la zona pastorale di Castelnovo ne’ Monti all’insegna della freschezza: dialogando coi giovani, nell’incontro svoltosi ieri pomeriggio all’oratorio della Pieve. Dopo una breve introduzione di don Giordano Goccini, che, tratteggiando la situazione giovanile montanara (nella sostanza rifacendosi al contenuto di un’indagine effettuata tre anni fa dal medesimo oratorio "Don Bosco" insieme a "Dar Voce"), ha sottolineato la difficoltà delle generazioni verdi di sognare un futuro nei luoghi di origine, l’Appennino appunto.
Mons. Adriano Caprioli ha preso subito la palla al balzo per affermare che “il cristiano non è né ottimista nè pessimista: è un realista, che però non perde la speranza”. Osservare le cose come sono e lavorare per migliorarle laddove occorra.
Di seguito qualche appunto in sintesi sui temi affrontati.
IMPARARE IL SERVIZIO
“Credo che ogni giovane montanaro – ha detto – dovrebbe interrogarsi presto, prima che gli anni passino, su come intenda progettare il proprio futuro nei propri posti. Magari anche dopo aver compiuto qualche sana esperienza fuori”. Ha citato la possibilità di fare esperienza di un anno, “o anche due”, prestando la propria opera di volontariato in luoghi di missione. Per imparare cosa significa servizio.
SUSCITARE DESIDERIO DI RICERCA INTERIORE
Nel mondo giovanile occorre suscitare domande: “Troppo spesso – ha detto il pastore reggiano – abbiamo solo da offrire risposte pronte, già fatte, conclusive, che non provocano alcun desiderio di ricerca”. Ed ha proposto l’esempio di Gesù stesso: “Gesù parlava poco; provocava piuttosto le domande degli altri, portandoli quindi alla riflessione”. Ergo: attenzione all’inutile verbosità senza costrutto. “Bisogna amare, per farsi ascoltare: è la ‘pedagogia’ del Signore, che vuole incrociare il cuore delle persone”. “Dobbiamo lasciarci amare da Lui fino in fondo!”, esorta il presule. Che aggiunge: “Anche se tanti non pensano come la Chiesa, i cristiani non devono mollare i contatti”.
VALORI PIU’ GETTONATI E MENO GETTONATI
Caprioli porta in discussione coi ragazzi, che naturalmente pongono intanto questioni ed interloquiscono, i risultati di una rilevazione tra i giovani, cui è stato domandato quali valori pongano in primo piano e quali a fondo classifica. I primi tre: famiglia, scuola, amicizia. All’inverso: volontariato, lettura dei giornali (“eccetto quelli sportivi”), teatro. E’ abbastanza curioso: sembra quasi che una cosa siano i sogni e decisamente altro la realtà. Ognuno più farsi in merito qualche appunto da solo. “Il volontariato può forse risultare poco attraente per la dedizione disinteressata che richiede o perchè vuole un atteggiamento responsabile". Poco attraente forse lo sarà – almeno stando alle risposte di questo campione citato – ma ciò non toglie che lo prestino in molti. Forse quest'impegno diviene quasi un surrogato di un impegno più specifico in campo sociale e politico. Forse così credendo di evitare possibili divisioni e/o etichettature. “Ma il carisma dell’impegno politico non spunta come i funghi – dice Caprioli – va coltivato, è una vocazione e pertanto non s'improvvisa. Credo si assecondino troppo le esperienze di volontariato e troppo poco quelle che introducono al politico. Siamo noi stessi in difetto”. Del resto, se la politica non viene vista come un valore (in questo senso i ragazzi sono stati piuttosto concordi nel rilevare che essa viene associata perlopiù a qualcosa di poco pulito) è chiaro che si tende a scansarla. “Ma senza una buona politica – scandisce il vescovo – noi andiamo in fumo, non ne saltiamo fuori… “. E ricorda la sua visita al cimitero del capoluogo montano fatta in mattinata, durante la quale ha fatto sosta, oltrechè ai sacerdoti castelnovesi, anche alla tomba dell’on. Pasquale Marconi. “Egli è arrivato all’impegno di politico dopo aver fatto ampia esperienza nel sociale: ha fatto il medico, ha fondato l’ospedale, ha fatto il partigiano… “. “Ha anche fondato la prima casa della carità… “, completa don Eusebio Bertolini, presente.
FAMIGLIA E FAMIGLIE
“Vanno moltiplicandosi i modelli di intendere la famiglia – asserisce il vescovo – quella ‘tradizionale’ ormai è una sfida”. Famiglie d’affetto (“pensiamo ai separati”), le coppie di fatto, le cosiddette “comuni” (“pensiamo al sessantotto”), i single (“che magari vivono con una bestiola, sulla quale riversano il loro desiderio di calore”). Gli è stato chiesto a cosa può “attaccarsi” chi vorrebbe farsi una famiglia cosiddetta tradizionale. “Io credo che un errore che si può facilmente commettere sia quello di considerare il matrimonio una ‘cosa chiusa’; mentre invece deve essere un credere di più: in se stessi, negli altri”. “Serve costanza d’amore, ma è importante che quest'ultimo non sia confuso per un sentimento che come viene può andare. Così correttamente inteso può allora davvero divenire una scintilla dell’amore di Dio. E allora in esso si può credere fino in fondo”. Un ragazzo osserva: “Ma i tanti fallimenti che osserviamo fanno pensare e possono dare insicurezza anche a chi avrebbe intenzione”. “Bisogna avere idee chiare e farsi conoscere subito. Se lo facciamo mettiamo nelle condizioni chi potenzialmente potrebbe essere interessato o chi potrebbe interessarci di capire quali prospettive si trova davanti. E su questa scia far crescere e maturare le cose”.
PERDONARE
Come si fa a perdonare quando le ferite fanno male? “Non come, ma perché”, corregge il vescovo. “Perché dobbiamo perdonare? Perché prima di tutto Dio ha perdonato noi; e noi, in quanto cristiani, dobbiamo porci l’imitazione di quel modello”. Del resto, lo diciamo sempre quando recitiamo il Padre nostro. Il come, poi, è evidentemente più legato alle situazioni contingenti.
Mons. Caprioli ha infine “svelato” ai giovani, prima di rientrare in città (“davvero molto arricchito”, ha commentato), il vero scopo della visita pastorale, che è quello di “piantare qualche seme”. Ci sarà riuscito?