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Myanmar: ancora proteste da parte dei monaci

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A scatenare le proteste era stato, in agosto, il rincaro del 500% della benzina e del gas per cucinare: beni essenziali per un popolo sfinito dalla miseria, colpito dall'inflazione ed oppresso dalla dittatura militare.
Le prime manifestazioni di dissenso sono state soffocate con la consueta brutalità.

Ma da alcune settimane, a guidare i cortei nelle principali città, con la benedizione del Dalai Lama, sono i monaci buddisti: l'unica forza di opposizione che il regime teme.
Scalzi, avvolti dalle tuniche color zafferano, silenziosi, escono ogni giorno dal tempio e sfilano sotto gli occhi dei soldati, davanti alla casa della donna premio Nobel per la pace, leader della Lega Nazionale per la Democrazia e simbolo della resistenza ai generali, costretta per dodici degli ultimi diciott'anni agli arresti domiciliari.

Mi ricordano la forza, l'energia, la resistenza pacifica di Gandhi.
Un popolo di uomini, in Myanmar, si compatta ed è pronto ad offrire la vita.
Hanno saputo trasformare la loro passione in mobilitazione; hanno risvegliato le coscienze.
Nelle mani dei monaci le ciotole delle offerte sono capovolte, a significare il rifiuto fisico e morale del regime.

Un gesto che equivale ad una scomunica.
La Birmania vive sotto dittatura da 45 anni.
L'ultimo governo democratico è stato abbattuto nel 1962.
Sono state nazionalizzate le industrie, sono stati soppressi i partiti politici, è stato proibito il libero scambio: tutte scelte che hanno portato all'isolamento dal resto del mondo.

Dopo le rivolte studentesche del 1988, il sogno di libere elezioni fu abbattuto dalle fucilate della nuova giunta militare.
Il governo, tuttora, dispone della vita e della morte dei cittadini.
Nel 1989 la Birmania è diventata Myanmar; la capitale Rangoon è stata ribattezzata Yangon.

Uno degli snodi cruciali è comunque il fatto che la parte del leone, nei rapporti commerciali, la fa il vicino più influente: la Cina.
Pechino non si è mai dimostrato insofferente nei confronti dei generali birmanici e l'area non è priva di interesse dal punto di vista delle risorse, a cominciare dalle riserve energetiche, acqua, petrolio, gas.
Bush, il presidente degli Stati Uniti, ha affermato recentemente che il governo del Myanmar non deve ostacolare le aspirazioni del suo popolo alla libertà e che la violenza contro le proteste pacifiche va fermata subito.

L'ex Birmania è diventato l'ultimo fronte per la democrazia.
I militari birmani, infatti, reprimono nel sangue la pacifica protesta della gente e uccidono i giornalisti che raccontano ciò che sta accadendo; hanno imposto la loro legge del terrore, disattivando anche la rete Internet, l'unico canale, dopo quello diplomatico, dal quale possono giungere notizie dal Paese.
E', secondo me, una vera e propria sfida alla democrazia.
Ma le lunghe processioni sono diventate una straordinaria iniezione di energia per tutta l'ex Birmania, che ora chiede riforme subito, libertà e l'apertura di un parlamento democraticamente eletto.
I generali hanno due alternative: concedere le aperture che la gente chiede o ripetere un massacro.
Forse, questa volta, l'uragano dei monaci riuscirà a cambiare qualcosa.

Sono queste persone coraggiose, ma pacifiche, che mi danno speranza, che sollevano il mio spirito e mi consentono di immaginare un domani diverso.
Nel mondo non saremo mai uguali, le nostre idee raramente saranno in perfetta sintonia... è, però, importante ricordare che il mondo siamo tutti noi.
Troppo spesso stiamo fermi, con il futuro ancora da costruire, con in mano gli sbagli del passato.
Troppo spesso abbiamo ancora pregiudizi e stiamo a guardarci il colore della pelle e non quello dei pensieri.
Barriere di lingua, di razza e di sesso... eppure il duemila ci è già caduto addosso.
Vedendo le file di monaci, che hanno il coraggio di gridare dove non si può, che hanno ancora voglia di lottare per le loro idee, ho pensato che non tutto è perduto.

Forse si può davvero sperare in un mondo migliore, con gli occhi aperti, ma senza frontiere.
Ed anche noi, nel nostro piccolo, possiamo fare qualcosa.
Forse anche noi possiamo lasciare un'impronta su questo mondo di polvere, sperando che, quando il vento l'avrà cancellata, persone coraggiose ed altruiste abbiano ancora voglia di imprimerla nuovamente, più grande e profonda di prima.