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I nuovi bisogni, nuovi stili di vita e di consumo. Lo stato dei Servizi

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Ospitiamo l’estratto di un intervento di Umberto Nizzoli, direttore del PASM dell’AUSL di Reggio Emilia e Presidente Onorario di ERIT, presentato al Convegno di Erit-Italia – Società Italiana Algologia, a Venezia il 11.6.2007.
Il fenomeno del consumo di sostanze stupefacenti rappresenta oggi una forma preoccupante di disagio sociale con relazioni di causa/effetto non sempre chiare e ben delineate, come già evidenziato in precedenti articoli (“Droga, prevenzione e riflessioni”; “Diffusione e consumo delle sostanze stupefacenti in Italia”). Lo scopo è, con questa riflessione, di stimolarne ulteriori in tutta la società educante (genitori, insegnanti, educatori, medici, ecc.), sia nei singoli che nei gruppi, a cui spetta il compito (anche) di rivedere il proprio modo di pensare e di agire in rapporto alle problematiche del Disagio, in costante evoluzione.

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Il consumo di sostanze stupefacenti ha assunto nel tempo recente proporzioni vastissime e talmente differenziate (trasversali) rispetto alle tradizionali (vecchie) categorie di lettura della tossicodipendenza da richiedere un grande aggiornamento nei criteri di lettura ed interpretazione e, conseguentemente di intervento. Bisogna trovare il coraggio di rinnovare sorpassati vecchi stereotipi. Evitando da un lato le inutili drammatizzazioni e le, speculari perniciose, banalizzazioni. Probabilmente c’è molto meno sostegno sociale che nelle sociétà tradizionali, c’è più solitudine e più persone vivono isolate; uno studioso americano, Putnam, ha vissuto a Bologna ed ha analizzato il Welfare emiliano: i tradizionali luoghi di socializzazione, aggregazione e reciproco riconoscimento sono pressoché saltati.

Nel frattempo la scena del consumo di sostanze è cambiata e con essa sono cambiati i significati e la percezione del termine “comportamento a rischio”. Lo dicono diverse fonti: non tanto i Sert o le Comunità che sono rimasti più legati alla marginalità ed alle gravi compromissione da uso problematico di sostanze, ma i dati dei sequestri delle polizie, la ricerca, i servizi a Bassa Soglia, i NOT delle Prefetture, i Pronto soccorso ospedalieri, i Diagnosi e Cura psichiatrici, il Carcere, i servizi dei Comuni, i Servizi di prossimità.

La scena del consumo è radicalmente diversa da quella della tossicodipendenza (pochi usano droghe per sofferenza, un po’ di più lo fa per disagio, ma la stragrande maggioranza lo fa o per essere più prestante o per divertirsi, cioè o per potere o per godere): il consumo di sostanze non è percepito come antisociale, ma addirittura come socializzante o anche come marker di successo.
E’ possibile intuire che ci si sta incamminando verso la chimica delle emozioni modulata sulla variabilità e vulnerabilità dei desideri, dei sogni e delle paure individuali. Le droghe sono sostitutivi dei legami umani. Questa è una minaccia grave alla coesione sociale. Per questo il contrasto ai consumi non può più essere delegato ai servizi ma è una questione culturale e sociale, quindi politica. Inoltre è un grave peggioramento delle determinanti di salute: le giovani generazioni vivranno meno e peggio a causa dei consumi. E’ un grave peggioramento della qualità della vita con enormi costi sociali e sanitari.
E’ possibile intuire che dall’altra parte della barricata del contrasto c’è chi costruisce brand di identità da “vendere” per ragioni economiche e di potere.
Si diffondono le condotte di dipendenza (addiction) con sostanze: alcol, droghe, tabacco cibo o senza sostanze: gioco patologico, dipendenza da internet, dal sesso, dalla borsa, dallo sport; e..tante altre verranno.
In comune hanno molti meccanismi: incapacità ad astenersi, la pulsione irrefrenabile (craving), il sentimento intimo di perdita di libertà, la paura della sofferenza psichica in caso di stop. Ciò è in corrispondenza col crescere dell’aggressività che spaventa la società come scarica della sofferenza a volte difficile da comunicare (di tanti adolescenti…delle famiglie), degli stati di frustrazione e di rabbia, dei vari stati di depressione, delle condotte anti-sociali. Infatti nell’epoca attuale vi è un proliferare dei Disturbi del comportamento (e delle condotte a rischio). Essi sono la grande sfida alla medicina (che spesso riceve una delega sbagliata dal “politico”), alla psichiatria e alla psicoterapie (che si concentrano sul pensare mentre qui è in causa l’agire). Il Governo ha annunciato di volere fare il Piano d'azione nazionale! Molto bene. Ma sarà sulle droghe o sulle dipendenze? In tutti i casi sono due gli Obiettivi strategici: A: sviluppare la capacità di resistere alle pressioni del consumo (resilienza) B: far sì che ogni persona in stato di dipendenza riceva cure appropriate.
Perché il Piano di Azione non rischi però di vanificarsi (secondo il Titolo V° della Costituzione il Servizio Sanitario Nazionale è orientato dal governo, ma programmato e gestito dalle Regioni), va richiesto, a cascata il Piano di Azione di ogni Regione e locale attenendosi ad uno schema concordato. Serve quindi un grande Patto fra le Istituzioni di vario grado (fino ai Sindaci).

C’è però una crisi profonda del settore dei servizi (Sert e Comunità) centrati sulle situazioni multiproblematiche finiscono con l’essere a loro volta emarginati. In 15 anni le persone in cura ai servizi sono cresciute di oltre il 150%. Crescono i cocainomani in cura; eppure…..si sta perdendo contatto coi nuovi fenomeni.
E sì che l’Italia è tra i Paesi più dotati di servizi di contrasto della domanda di sostanze, (ma è anche quello con un rapporto medici/popolazione generale o ad esempio psichiatri/pazienti più intensi). La domanda da porsi però è: i servizi, così come sono, sono ancora adeguati a rispondere efficacemente ai problemi connessi con l’uso e l’abuso di sostanze legali ed illegali e alle dipendenze senza sostanze? La questione è riorientare il sistema dei servizi. I servizi hanno un’enorme varietà (ingiustizia) fra le regioni e anche fra le ASL. Quindi c’è una grande questione di governance.

Bisogna portare il tema del contrasto ai nuovi stili di consumo nelle comunità locali, sviluppando le attività di prossimità e riconoscendo il diritto alla libertà di scelta delle cure. Ma, come riconosce la Consulta del Ministero, c’è un problema di fondi. Perché non prelevare una quota dalla vendita di sigarette, alcol e giochi (proporzionale al rischio di induzione di dipendenza o di patologie correlate al loro consumo?). C’è un problema di formazione: manca una specializzazione universitaria di riferimento; e allora perché non inserire nei corsi di laurea per medici, psicologi, educatori, infermieri, assistenti sociali “Dipendenze” come materia obbligatoria?