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Le storie di Angela

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Storie nere. Storie vere. Sono quelle contenute nell’ultima fatica letteraria della castelnovese Angela Pietranera, professoressa e nota scrittrice e appassionata di storia locale. Un libro un po’ diverso dai suoi soliti, che ci raccontano in genere di persone e paesi, di tracciati e immagini della nostra montagna visti però con occhi generalmente di studiosa.

Stavolta, pur senza rinunciare a questa sua consueta inclinazione nell’intendere la scrittura, l’opera vira sul racconto, sul narrare. Le storie sono nient’altro che episodi di cronaca dei nostri posti, tornati alla luce grazie alle testimonianze di persone e dalle ricerche in archivi e biblioteche, in un’utile integrazione: sempre dunque puntualmente e con rigore documentate.

Le tre composizioni narrative, più un raccontino breve in appendice (“Storia di Natale”; ma è tutt’altro che una favoletta gentile ed edificante adatta al periodo), si distendono in un arco temporale che va dal 1880 circa agli anni intorno all’ultimo conflitto mondiale. Spazialmente sono collocate nell’area comunale castelnovese, definite con quella “vaga precisione” (si passi l’espressione contraddittoria), probabilmente vagliata e dosata, che concorre a individuare il quanto basta senza che si cada nel trattato topografico. Stessa cosa per l’identità delle persone coinvolte: i cognomi vengono siglati. Convenientemente, perché i fatti sono ancora relativamente vicini e i discendenti probabilmente viventi ed in mezzo a noi.

E i fatti, i fatti narrati – in un certo senso puliti dalla polvere del tempo e quasi attualizzati – affrontati con piglio quasi da cronista, non sono bazzecole.

Soprattutto il primo racconto, intitolato “L’uomo fatto a pezzi”. Vediamo l’assassinio di Carlone G. da parte della moglie Giuseppina V., stanca di soprusi e di una vita misera e in solitudine, quasi da bestia, condotta sulle rive del fiume Secchia; ella, commesso l’omicidio, non contenta, fa poi addirittura a brandelli il cadavere, seppellendone i “tranci” (capo, busto, gambe) in luoghi diversi. Siamo nel 1935. Sui giornali non si parla volentieri di queste cose, volendo sempre fornire (il regime al potere) un’immagine il più specchiata possibile del Paese. Partono le indagini, i depistaggi, le false testimonianze. Poi il processo, la condanna a una quindicina d’anni di carcere da scontare al vecchio S. Tomaso. Ma arriva anche l’amnistia, dato che subito dopo le elezioni della Costituente, nel giugno 1946, uno dei primi atti del nuovo corso repubblicano fu appunto questo. Era stata fortunata, dunque, Giuseppina. Ma, si sa, il pelo perde il pelo… Si trasferirà a Genova, si risposerà. Il suo derelitto successivo marito farà anch’esso una brutta fine: non ucciso, ma, dietro le minacce di lei (che ormai sappiamo bene non campate in aria!!), suicidatosi.

Il racconto – come accade anche per gli altri – è intervallato, con brevi paragrafi, da ricordi personali e accenni a fatti contemporanei locali e nazionali; che, se spesso realizzano un’apprezzabile sorta di “tratto d’unione” per contestualizzare le vicende narrate nella storia e nei costumi dell’epoca, talvolta invece – piccolo appunto – paiono invece un po’ spezzare il ritmo.

Col secondo racconto, “I cacciatori inghiottiti dalla montagna”, valichiamo la guerra e ci situiamo al 1947. Erano tempi, in Italia, di aule giudiziarie e processi ai responsabili di vari crimini di guerra nazisti (Kesserling, Kappler… ), come annota diligentemente la Pietranera negli “interstizi” della narrazione. Esso tratta della misteriosa scomparsa di due fratelli che, scampata la guerra (avevano fatto servizio militare e non erano finiti nel gorgo di coloro che le famiglie dovranno piangere), riuniti ai loro cari, avevano ripreso con fiducia nell’avvenire la loro vita: ma di lì a poco li aspettava il destino: durante una battuta di caccia erano inopinatamente finiti sotto una frana.

Tutta particolare – senza morti ma ugualmente drammatica – è la invece storia di Adele B. Già uscita in pubblico, sia pure in termini parziali e riassunti e su riviste piuttosto settoriali, tocca un aspetto delicatissimo dell’esperienza umana: il contatto con l’aldilà. Si tratta in sostanza del caso della presunta apparizione della Madonna avvenuta nella zona di Burano nel maggio del 1886. La storia narrata riprende in mano le carte depositate che si trovano presso diversi enti, proprio perché la vicenda veniva a toccare aspetti diversi: non si trattava cioè solo di affare religioso. Dobbiamo pensare ai vari contesti – politico, sociale, culturale, medico – in cui la vicenda veniva a porsi. L’autrice segue il filo delle vicende umane della protagonista, una dodicenne del luogo, che si trova all’improvviso catapultata all’attenzione di prefetti, sindaci, pretori, professori… Forse ancora tutta da definire nei suoi reali termini, questa vicenda, soprattutto se osservata con occhi diciamo non prevenuti, di fede. Intitolando appropriatamente “Storia dell’allucinata o del ginepro miracoloso”, la stessa Pietranera – a nostro modesto avviso con correttezza di lettura del fenomeno – chiude la sua descrizione lasciando aperta precisamente questa finestra: una donna (morta ancor giovane, nel 1920) se ne va e nel suo cuore porta il mistero di un’esistenza. Siamo sicuri, noi, coi miseri strumenti d’indagine di cui disponiamo, di aver interpretato bene l’avvenimento?

Insieme al dubbio, vi lasciamo alla lettura. Brava Angela.

* * *

A. Pietranera, Storie nere, 2007, pp. 94, € 10,00.