Pubblichiamo un intervento di Alberto Corsi, ex amministratore pubblico a Villa Minozzo, che tratta della Rocca di Minozzo, con piglio affettivo(e di questo non possiamo che rallegrarci: la passione è una molla fortissima in qualunque campo si operi), svariando tra storia, archeologia, architettura… e politica.
Questo mio intervento non è un atto nè un gesto per tentare di elemosinare qualcosa, bensì una critica doverosa all’attuale Amministrazione comunale di Villa Minozzo. Il soggetto è sempre lo stesso, posso risultare ripetitivo, pesante, stancante, ma credo che il buon senso, la logica il senso di appartenenza ad un luogo in cui vivo, e in cui voglio continuare a vivere, l’importanza e la memoria storica del mio paese, le tradizioni, tutto ciò per il quale mi sono impegnato nella mia esperienza amministrativa, debba essere valorizzato oppure arrivare ad un punto di svolta o meglio di risposta certa sul futuro del progetto relativo al recupero dell’antica Rocca di Minozzo.
Dell’antichissima "Rocca", chiamata del “Melocio”, si ha notizia già nel 980 quando un diploma dell'imperatore Ottone II assegna la “Corte di Minozzo” alla Chiesa di Reggio. Le prime tracce certe dell’ esistenza della “Rocca” si hanno intorno all’ anno 1000 e nei secoli successivi.
Decisamente si può escludere che si tratti di un’opera militare del tardo impero romano vista la relativa distanza dalle principali vie romane. Dalle ricostruzioni fatte da mons. Milani si può ricavare che sicuramente si trattava di un opera importante, visto doveva avere un altezza tra i 20 e 30 metri , protetta da due torri di guardia: una ubicata in località “Castellino” e una in località “Triglia” e protetta alle spalle dal “monte Prampa”.
Un sistema difensivo ubicato su una roccia di “diabase porfirica” che, sul lato che guarda Bismantova, si innalza dai 20/40mt, su cui si innalzava un ulteriore torrione di 25/30 mt, per cui possiamo stimare che da Bismantova si vedesse un’opera innalzarsi dai 50/70 metri (sicuramente qualcosa di maestoso e impressionante per quell’epoca).
Nel 2003 e nel 2005 si sono effettuati due interventi d’indagine archeologica che hanno evidenziato un patrimonio di straordinario interesse storico ed architettonico. “Non solo quattro muri come qualcuno pensava ma un sistema articolato in ambienti, torri, cisterne; la Rocca è costituita da un corpo principale delimitato da una muratura a forma ottagonale che racchiude al suo interno alcuni ambienti per una superficie di circa 400 metri quadri. Numerosi sono i materiali recuperati: vari frammenti del vasellame pregiato da mensa, in ceramica graffita e dipinta, con tipologie ben documentate nel corso del 1600, oltre ad esemplari in ceramica da cucina che testimoniano le ultime fasi di vita della Rocca, collocabili ancora nel XVIII secolo”. Dalla campagna di scavi archeologici emerge che la suddivisione dello spazio si basava su una serie di ambienti, connessi tra loro tramite portali e scale che mettevano in comunicazione con vani inferiori.
Se l’indagine archeologica necessita di ulteriore impegno – di particolare importanza saranno i lavori relativi al lato nord–ovest, che dovrebbero mettere in evidenza uno degli accessi al piano sotterraneo (carceri, cantine ed altri ambienti) - parimenti impegnativa è l’opera di consolidamento strutturale e di restauro dei fronti murari ancora da realizzare. Complessivamente nel periodo compreso tra il 1993 ed il 2006 sono stati attuati sei stralci di intervento, che hanno permesso di consolidare circa la metà dell’intero apparato architettonico monumentale nei fronti est e nord.
Rimangono ancora da restaurare i fronti ovest e sud : quest’ultimo è particolarmente impegnativo poiché le murature sono state realizzate su di una parete rocciosa alta parecchi metri che strapiomba direttamente sui caseggiati sottostanti imponendo l’attuazione di alti ponteggi particolarmente costosi. Anche in questo fronte lo scavo archeologico permetterà di avere interessanti risultati in quanto sembra di riconoscere in questo punto la presenza di almeno altri due ambienti sepolti.
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In un Comune ricco di storia e cultura come quello di Villa Minozzo, sembra di assistere ormai da tanto tempo ad una sorta di “settorialismo“ della cultura e, nell’ambito di questo stesso atteggiamento, a comportamenti non proprio lineari. Villa Minozzo non è solamente la tradizione del Maggio, qualche percorso naturalistico, la “prepotenza turistica” di Febbio e Civago. Esistono anche altre realtà che possono offrire un turismo “alternativo culturale”. Sarebbe il caso di Minozzo, se venisse finalmente recuperata l’antica Rocca.
L’attuale Giunta con a capo il sindaco Fiocchi, il quale non mi sembra assolutamente interessato all’oggetto in questione, così come altri amministratori di Villa Minozzo ed di enti diversi della nostra Provincia, sembra non si vogliano accorgere dell’enorme potenzialità che potrebbe trarre il nostro Comune con la valorizzazione del monumento più antico del nostro Appennino.
Ci potranno essere problemi più importanti di questo, ma la cultura, la riscoperta e la conoscenza del passato sono azioni da compiersi; soprattutto devono adoperarsi coloro che, in questo momento, pilotano un comune e il futuro dei cittadini.
A questo proposito non fa spicco certamente in tutto questo scenario il grado di crescita culturale che negli anni 2000 ancora a Villa Minozzo non è avvenuta perché soprattutto non è stata inculcata. Per questo motivo può essere in modo inopportuno sottovalutata la richiesta di recuperare un patrimonio storico; è stato richiesto da persone più importanti del sottoscritto che dovrebbero avere a questo punto buona memoria.
(Alberto Corsi)
La fine o l’inizio?
Si sente parlare nelle sedi comunali di un possibile referendum relativo alla continuazione o meno dei lavori di restauro della Rocca di Minozzo. Mi auguro non sia VERAMENTE così… D’altronde non si può pretendere niente da un sindaco e una giunta così, che si permettono di giudicare la minoranza “superficiale”, risposte culturali positive. L’obiettivo del Comune è semplicemente quello di continuare a spendere soldi per il centro d’associazionismo che non servirà a nulla.
(Commento firmato)
Su Minozzo dico che…
Non sono d’accordo che da Minozzo non passasse nessuna strada importante, visto che ancora tra la fine del 1700 e inizi del 1800 Ludovico Ricci nella sua opera “Corografia dei territori di Modena, Reggio e degli altri stati appartenenti alla casa d’Este (1788), Modena, Soliani, 1806”, ci dice che:
Da Fellina.
1) Qui vi trova un ramo di strada al Mezzodì, che passando la Secchia alla Gatta corre per Menozzo e Ligonchio a Sillano, e cala in Garfagnana.
2) Da questo stretto ramo se ne stacca un altro, che volgendosi anche più a mattina stendesi per Quara, Gova, Romanoro, Pietravolta, S. Pellegrino, e scende pure a Castelnuovo di Garfagnana.
Al punto (1) evidentemente il Ricci ci dice che la strada che porta al passo di Pradarena passava per Minozzo visto che tra Ligonchio e Sillano c’è solo il passo di Pradarena.
Mentre al punto (2) il Ricci intende riferirsi a un ramo di strada che si andava a congiungere con il percorso matildico che da Carpineti/Toano portava in Garfagnana attraverso o il passo della Radici o il passo della Forbici. (vedi ospitale di San Pellegrino od ospitale di S. Leonardo di Civago).
Ora, sia il passo di “Pradarena, Radici e Forbici” sono passi molto antichi, come sostenuto da:
1) BORGHI M., “Pellegrini fra Pradarena ed Ospedalaccio diretti a Bismantova”, Reggio Emilia, Cooperbanca, 1991.
2) MEDICI D., “Longobardi e pellegrini sulle strade del territorio tra Secchia e Dolo, In: Toano.” Natura storia arte. Atti del convegno del 16 ottobre 1983. Toano, Reggio Emilia.
3) TINCANI A., “Viandanti e pellegrini lungo i cammini medievali di crinale, In: Alto appennino reggiano”, Reggio Emilia.
E inoltre, secondo lo storico R. Andreotti, “L’Itinerarium Antonini” quando dice “Item a Perme-Laca M.P.C.I” intende indicare una strada romana che univa Parma con Lucca, usciva dalla porta orientale di Parma e tagliando obliquamente le maglie centuriali, puntava verso la valle dell’Enza per passare poi in quella del Secchia. Valicato così l’Appennino reggiano per il passo di Pradarena, la strada scendeva in Garfagnana e correndo sulla destra del Serchio e arrivava finalmente a Lucca.
Da R. ANDREOTTI, Le comunicazioni antiche di Parma col Tirreno, in «Bullettino Commissione Archeologica Comunale», LV, 1928, pp. 241-242.
A sostegno della tesi dell’Andreotti interviene anche Tito Livio ricordandoci che il console Marco Emilio Lepido, inseguendo i Liguri tra valli e monti, giunse fino ai monti Ballistam (Valestra), Suismontiumque (Pietra di Bismantova) poi passò gli Appennini verso l’Etruria (cis)
probabilmente verso la Garfagnana,
visto che la colonia romana di Luni nel 187 A.c. non era ancora stata fondata (177 A.c.)
E guarda il caso, sia Felina che la Gatta si trovano molto vicine alla Pietra di Bismantova e ritorniamo al tracciato indicato da Ludovico Ricci.
Va anche ricordato che in località Gatta/San Bortolomeo sono state ritrovate delle tombe romane.
Va infine ricordato che sull’ipotetico tracciato indicato dall’Andreotti si trovava la città romana di Luceria o Nuceria tra Ciano e S. Polo d’Enza.
Che sempre in su questo ipotetico tracciato in epoca medioevale sorsero i castelli matildici di Rossena, Canossa, Sarzano (Casina), abbazia di Marola, Felina, Minozzo, Piolo, Ligonchio, Dalli da Sillano e il resto della valle del Serchio.
(Paolo Rossi)
Ps – Posso aggiungere anche altre considerazioni.
Racconto sulla festa della Pippa
Cari amici della redazione, sto scrivendo un racconto su alcune delle signore che hanno partecipato alla festa della Pippa e mi piacerebbe poter utilizzare alcune delle vostre foto. Sarebbe possibile? Ovviamente citando la fonte.
(Valentina Bertani)
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@CNaturalmente.
(red)#C