Home Cronaca Dialogo interreligioso? “A Nevè Shalom / Wahat al Salam è possibile...

Dialogo interreligioso? “A Nevè Shalom / Wahat al Salam è possibile costruirsi tra diversi”

25
0

Nevè Shalom / Wahat al Salam è il faro nella nebbia che avvolge il dialogo tra diversi: è convincente Raffaello Zini quando ne parla alla comunità di Castelnovo ne’ Monti nel corso della serata del 23 aprile scorso per il ciclo “Genitori in cammino”.

Situato tra le colline di Tel Aviv e Gerusalemme ha due nomi - Nevè Shalom in ebraico, Wahat al Salam in arabo che significano “oasi di pace”. E’ abitato da famiglie di ebrei ed arabi in egual misura che convivono pacificamente producendo “educazione alla pace”.

Fondato alla fine degli anni settanta all’indomani della guerra dei sei giorni (1967) per volontà del frate domenicano Bruno Hussar come risposta alla domanda di dialogo “interreligioso”, diventa ben presto il laboratorio delle problematiche della convivenza bi-nazionale e bi-culturale.

E’ da questo “unicum” che da vari anni è fonte d’ispirazione per molte iniziative avviate in luoghi abitati da gruppi etnici in conflitto che Zini trae la forza per affermare che il dialogo tra diversi non è la ricerca spasmodica di punti da condividere bensì l’accettazione e l’accoglienza delle diversità. Detta quindi con precisione, le “precondizioni del dialogo” che si fondano sulla speranza: ognuno di noi è portatore di una speranza che va offerta con rispetto e porta con dolcezza.

La ricerca quindi dell’anima universale attraverso la creazione di fraternità universale dove il dialogo è la salvaguardia dell’identità per mezzo dell’offerta di valori da condividere e la corrispondente accoglienza di valori emergenti... e poi il dolore quale esigenza di affidarsi e aprirsi introduce il concetto di “stranierità del Cristo”: come la Galilea, la terra di Gesù, è la frontiera pellegrina e precaria così deve essere la terra dei cristiani.

Sentirsi stranieri, essere nomadi cercatori della verità, prendersi cura e custodire e non possedere. Stare nella terra, nella frontiera, portare con dolcezza la speranza, aprirsi al dolore e affidarsi agli altri, cercare e non possedere in un progetto di convivenza pacificante nel rispetto delle identità.

Ne segue un attento e puntuale dibattito che mette a fuoco dentro ognuno di noi l’urgenza di lavorare decisamente sulle precondizioni del vero dialogo cercando nella quotidianità delle relazioni quella empatia che ci farà stare nella frontiera sociale, economica, politica, religiosa che è nel diverso.

Termina così un’altra serata che ci consegna diversi elementi di approfondimento che vogliamo cogliere insieme.