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Antidepressivi a bambini e giovani: Mary Poppins sarebbe d’accordo?

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“I bambini sono dei malati fin troppo buoni, rassegnati e un po’ passivi sia per quanto riguarda le cure, sia per il dolore fisico.”

Marcel Rufo, Le bugie vere. Per imparare a dialogare con i propri figli

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Il problema della somministrazione di farmaci psicoattivi a bambini e giovani è spesso motivo di dibattiti e controversie. Proviamo, allora, a chiederci che cosa ci scandalizza di più di fronte alla domanda “Daresti uno psicofarmaco a tuo figlio?”. Rispondere "sì" significa prendere alla leggera il problema e scaricarsi così la coscienza? Rispondere "no" significa negare una possibilità di miglioramento e guarigione a nostro figlio? Forse può essere utile fermarsi a riflettere sulle psicopatologie che possono colpire bambini e adolescenti: il nostro no potrebbe nascondere un rifiuto da parte dei genitori e della società nel riconoscere che i nostri figli hanno un problema serio, che non va sottovalutato.
Vediamo, allora, di fare un po’ di chiarezza trovando qualche certezza nell’anarchia informativa che, purtroppo, ci bombarda quotidianamente. Il bambino non è in grado di decidere da solo ed è importante che i genitori e gli adulti a lui vicini agiscano in coscienza e, soprattutto, muniti delle giuste informazioni in merito.

I disturbi depressivi sembrano manifestarsi sempre più precocemente nei giovani e anche nei bambini, forse per l’eccessivo carico di aspettative ed impegni dei quali gli adulti li ricoprono.
Il primo vero problema risiede nel fare una corretta diagnosi della patologia. Il mondo dei bambini è ancora troppo sconosciuto e, forse, ci è difficile pensare che un bimbo possa soffrire di disturbi dell’umore. E invece, sembra che già al di sotto dei 10 anni di età si possa manifestare una prima sindrome depressiva. Vista la scarsa esperienza comunicativa del suo stato d’animo, spesso il bambino manifesta il suo disagio sotto forma di dolore fisico, o di aggressività ed opposizione, o ancora di mutismo ed isolamento dal resto del gruppo: è importante che i familiari e gli insegnanti non sottovalutino questi segnali e si rivolgano, se hanno dei timori e dubbi, ad uno psichiatra infantile per una diagnosi corretta.
Poter dare una stima di quanti bambini soffrano di depressione e di quali siano le fasce d’età più colpite risulta piuttosto difficile, non per la mancanza di dati, ma per la discordanza dei dati diffusi. Mediando le informazioni più attendibili sembra che in Italia la percentuale di bambini colpiti si aggiri attorno al 2% in età scolare ed aumenti nell’adolescenza (4%), colpendo in prevalenza le ragazze. Le cause, probabilmente, risiedono in un insieme di fattori genetici ed ambientali. Sottovalutare o non riconoscere i disturbi depressivi nell’età evolutiva può portare a pesanti conseguenze nello sviluppo cognitivo, affettivo e sociale del giovane (sviluppo di psicosi, abuso di sostanze), motivo per il quale una corretta gestione clinica della patologia è sempre necessaria.

La patologia ha un’evoluzione difficilmente prevedibile e, proprio per questo, l’approccio terapeutico può variare da caso a caso. Nei casi più lievi una psicoterapia può essere sufficiente (terapia cognitivo-comportamentale e interpersonale sembrano essere le più accreditate). Nei casi più gravi il ricorso a farmaci specifici, sempre in affiancamento alla psicoterapia, permette di ottenere buoni risultati non ottenibili con la sola psicoterapia.
Le ricerche rivelano che tra gli antidepressivi disponibili quelli triciclici di vecchia generazione (imipramina, amitriptilina) non risultano efficaci su bambini e adolescenti, mentre alcuni inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (fluoxetina, sertralina), detti SSRI, si sono dimostrati efficaci.
Il dibattito, però, sull’utilizzo degli SSRI nei bambini e nei giovani rimane aperto nella comunità scientifica, dato che, al momento, non esistono ancora ricerche cliniche specifiche che diano dati a lungo termine sul profilo di tollerabilità e sicurezza di queste molecole per i bambini. Purtroppo, non esistono ancora degli psicofarmaci studiati appositamente per i bambini, con dosaggi appropriati e studi clinici specifici correlati, e la terapia deve avvalersi dei farmaci attualmente in commercio per gli adulti, apportando i dovuti adattamenti di dosaggio per i bambini (utilizzo off-label, cioè al di fuori delle indicazioni riconosciute e previste della specialità medicinale). Dal 2001 al 2005 le prescrizioni di antidepressivi e antipsicotici in pediatria sono diminuite del 55%. In particolare si è passati dallo 0.171% di bambini trattati allo 0.095%, analizzando le prescrizioni per bambini e giovani fino ai 14 anni (dati relativi al progetto “Arno”, CINECA e Istituto Mario Negri). Questi numeri ci danno un’idea delle dimensioni del problema e dell’approccio terapeutico effettuato dagli specialisti.

In Italia, l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) ha dato recentemente delle indicazioni specifiche per la prescrizione della fluoxetina nei bambini dagli 8 anni di età colpiti da disturbi depressivi da moderati a severi (prescrizione possibile in Europa dall’agosto 2006): tale prescrizione è limitata a neuropsichiatri infantili o psichiatri su presentazione di un piano terapeutico specifico (solo dopo 4-6 sessioni di psicoterapia rilevatesi inefficaci si può, se ritenuto opportuno, valutare la somministrazione del farmaco). Questa limitazione precisa, unita alle raccomandazioni e a tutte le cautele per l’utilizzo di questa molecola non basta però a placare la discussione e l’allarmismo sollevato. Quello che maggiormente spaventa tra gli effetti collaterali della molecola, è la possibilità che questa aumenti il rischio suicidario nei bambini e nei giovani. L’FDA (Food & Drug Administration) ha condotto un’analisi rigorosa in merito, raccogliendo i dati di 29 studi clinici. Analizzando i risultati si è riscontrato un 1.77% di eventi avversi legati a tentativi di suicidio, nessuno dei quali è stato portato a termine. L’interpretazione di questi dati va fatta, però, con estrema cautela, soprattutto da parte dei non addetti ai lavori, poiché questi 29 studi clinici non erano stati condotti per individuare in modo specifico questo rischio: la statistica, in questi casi, mostra, congiuntamente alla sua utilità, anche tutti i suoi limiti. Studi più approfonditi verranno condotti nel prossimo futuro per poter avere una valutazione complessiva e più a lungo termine della tollerabilità di questa molecola nei bambini e nei giovani, e per permettere agli specialisti di settore di avere gli strumenti adeguati per una corretta valutazione del delicato rapporto rischio/beneficio legato all’utilizzo di questa molecola.
Il farmaco è e deve essere uno strumento aggiuntivo, che permette allo specialista di svolgere al meglio il proprio lavoro terapeutico, senza sostituirsi alla psicoterapia, e così è inteso da chi ne giustifica l’utilizzo. Forse, il riconoscimento di un utilizzo pediatrico permetterà alla comunità scientifica di avere uno strumento in più con il quale lavorare, e permetterà anche di poter seguire, in modo più preciso e controllato di quanto si possa fare con un utilizzo off-label, la tollerabilità e il rischio cui va in contro il piccolo paziente.

Il ruolo della famiglia e degli educatori è essenziale nell’accompagnare il giovane colpito da questo tipo di patologia. I disturbi depressivi nei più giovani manifestano un disagio che nasce spesso nell’ambiente familiare, ed è compito dei genitori valutare con attenzione eventuali campanelli d’allarme. Forse Mary Poppins si sarebbe sentita in colpa se con un poco di zucchero avesse fatto prendere a Jane e Michael una pillola psicoattiva, ma forse lo sarebbe stata altrettanto se avesse sottovalutato il loro disagio. Seguiamo, quindi, con attenzione i piccoli e i loro bisogni, ed affidiamoci a chi di competenza per farci aiutare al meglio.