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Un padre che diventa madre

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“Dobbiamo amare il nostro tempo e non demonizzarlo”. Questo ha detto in premessa Laura Artioli, relatrice del primo dei sei incontri dedicati al problema educativo organizzati da Agire, associazione genitori indipendenti Reggio Emilia. Sala consiliare di Castelnovo piena; platea composta soprattutto di giovani genitori.

“Quello del padre è un ruolo di derivazione – ha spiegato la Artioli – fondamentale certamente, ma fragile. La patria potestà non esiste più (non solo a livello giuridico, si direbbe), in luogo della responsabilità condivisa. Tale figura (il padre) è un punto cruciale ma controverso. Se non c’è più il padre autoritario, bisogna anche dire che è venuto a mancare un punto di riferimento”.

Questo fenomeno è stato accompagnato da un altro fenomeno: quello di un ruolo della madre che, al contrario, si è andato svincolando dalla secolare subordinazione. Quindi, è implicito, si tratta di fare una somma di cambiamenti che hanno prodotto una situazione nuova.

“Da ricerche che abbiamo compiuto, risulta che a scuola i bambini, che parlano in genere poco dei loro genitori, praticamente non parlano per niente del padre ma, quando capita, solo della madre. Sulla sessualità: se le ragazze fanno riferimento alle madri, i ragazzi si rapportano invece con gli amici (non coi padri, cioè)”.

In genere gli “psico” (psicologi, psichiatri, … ) fanno molta fatica a lavorare coi giovani genitori: “perché mancanti del codice paterno. L’antica autorevolezza, da cui promanava la promozione di autostima, responsabilità e autonomia nel figlio, s’è persa: attualmente s’assiste allo sbriciolamento di questa immagine”. E ricorda qui un testo importante che tratta di questi aspetti: Il gesto di Ettore, di Luigi Zoja (reperibile anche presso la biblioteca comunale di Castelnovo ne' Monti).

“Le nostre famiglie non sono ovviamente più quelle di una volta”. E aggiunge: “Per fortuna”. Ma ugualmente sottolinea che certe evoluzioni si sono tradotte in carenze e che occorrerà trovare nuovi equilibri. E ricorda le funzioni che dovrebbe assicurare la figura paterna: staccare gradualmente il figlio dalla madre (per la crescita dell’identità personale); lanciare un ponte tra figlio e realtà esterna (per la sua nascita sociale); verticalizzare (il pensiero va alla genealogia: questa linea di continuità che unisce passato-presente-futuro; fa l’esempio di Enea).

Ora – è il parere della relatrice – viviamo in un mondo orizzontale, a rete, materno. Secondo la Artioli “il padre è retrocesso a papà: prima i padri volevano rispetto, ora amore”.

La scuola (erano presenti in sala alcuni suoi autorevoli rappresentanti locali: Claudio Becchetti, preside dell'istituto comprensivo, e Sergio Tamagnini, direttore didattico): se prima era luogo dove si insegnavano in generale le norme (dello stare al mondo) ora è passata a luogo dove si impartiscono le norme possibili.

Poi viene rilevato quello che viene identificato come paradosso dei nostri tempi. E cioè queste nostre famiglie iperprotettive che in realtà non proteggono e non promuovono l’autonomia (“quanto mai necessaria”) dei figli.

E quindi, tirando le somme: com’è possibile reinventare questa figura paterna, dato per scontato che comunque indietro non si torna? “Non ho una risposta da offrirvi – dice l’esperta – ma suggerisco di essere lucidi il più possibile per cercare di interpretare i segni che provengono dai figli”.

“Quando sbagliano, i ragazzi, in fondo si aspettano una sanzione: sono infatti attentissimi ai segnali di incoerenza”.

Seguono esempi sulle bande di ragazzini che fanno la malora: “spia dello sbiadire della figura del padre paterna e di una ricerca di esso quasi disperata… “, afferma. “Sono convinta che un equilibrio lo ritroveremo – conclude con una nota d’ottimismo – in fondo, il vero errore è l’accidia, il non fare, non dire, il tirare a campare, lo ‘sperare bene che… ‘”.

Ma c'è anche un avvertimento finale: “Dio ci guardi dalle famiglie perfette”.