Per partire prendiamo spunto da Camminando, il settimanale dell’unità pastorale vettese. Su uno degli ultimi numeri, in merito alle analisi delle acque dell’Arno per valutare il consumo di cocaina nella città di Dante, ha lanciato il sasso nel fiume. “E se questi prelievi si facessero nell’Enza, quale sarebbe il consumo di questa vallata?”. Inquietante.
Una testimonianza da una discoteca in Appennino oltr’Enza: “Sono entrato e mi hanno chiesto più volte: vuoi un po’ di coca?”. Da denuncia. Peggio ancora: scoraggia entrare in alcuni luoghi di ritrovo della nostra montagna e sentire parlare giovani e meno giovani liberamente di cocaina. Circolano i nomi di fornitori e consumatori habitué. Di recente, pure, una retata – l’ennesima? - dei Nas di Parma.
Il problema, sicuramente, investe le forze dell’ordine. Ma non possiamo puntare l’indice su questo e su quello, a partire dagli esercenti, se prima non ci chiediamo: ma noi culturalmente come affrontiamo il problema? E’ questione di prevenzione.
1) Se siamo genitori, siamo consapevoli che nostro figlio (o nostra figlia) nello scorrazzare liberamente tra un bicchiere e l’altro può ricevere un’offerta di cocaina? Se sì, gli abbiamo fornito i mezzi adeguati (leggi educazione, leggi formazione, leggi spirito di sopravvivenza) per vagliare ciò che è buono da ciò che è pericolo?
2) Come adulti, come ci poniamo nei confronti dell’argomento “cocaina” quando lo affrontiamo, visto che ormai se ne parla liberamente ovunque? “Io non sniffo”, è una risposta sufficiente? Siamo consapevoli che stiamo parlando di una droga a tutti gli effetti?
3) Come giovane, mi sta bene che nei miei luoghi di divertimento ci sia questa montagna di neve? Mi sta bene dire “a me no grazie”?
Su Redacon, forti di un consenso di letture crescente, accoglieremo volentieri i vostri pareri.