Leana Pignedoli, felinese, ex sindaco di Castelnovo ne' Monti, ex presidente della Comunità montana, ora senatore dell'Ulivo, interviene sull'argomento probabilmente più "gettonato" del momento: la regolamentazione delle coppie di fatto.
Lo fa con un proprio scritto, che il mensile dell'Anpi reggiana, Notiziario Anpi, pubblica sul numero in uscita in questi giorni sotto il titolo "Uno stato laico e democratico garantisce i diritti a tutti i cittadini".
Questo l’incipit dell’articolo: “Avverto disagio anche nelle aule parlamentari – esordisce il senatore nel suo scritto – disagio e preoccupazione in una maggioranza che vede tra i suoi esponenti numerosi personaggi di stampo cattolico in merito alla proposta di legge sui Di.Co. Capisco perfettamente il dilemma morale e religioso che scelte di questo tipo possono dar vita nella testa di chi da un lato vuole riconoscere e tutelare al meglio i diritti dei cittadini ed in particolare delle minoranze; dall’altro, però, sente il dovere di rispettare l’etica e la morale religiosa di una Chiesa che da sempre è alla base della cultura occidentale”.
Per la Pignedoli il clamore suscitato dalla proposta di legge trova fondamento nel fatto che la questione attiene sia la politica che l’etica. Riconosce che la famiglia, nucleo domestico e centro degli affetti, “è alla base della nostra società, punto di partenza e rifugio per conoscere ed imparare a vivere all’interno della comunità”. Per cui “pensare di minarla o addirittura, come qualcuno sostiene, di smantellarla sarebbe rischioso e ingiustificato”.
Date queste premesse, l’ex sindaco castelnovese afferma che “la proposta di regolarizzare e riconoscere giuridicamente le coppie di fatto non è da intendersi come volontà di contrapporre alla famiglia un istituto giuridico alternativo, finalizzato alla sua sostituzione, ma come necessità dovuta ai mutamenti imposti da una società in continua evoluzione, che si vede influenzata non più dalla sola realtà nazionale ma anche e soprattutto dai cambiamenti in atto in tutto il pianeta”.
Uno Stato – sostiene la Pignedoli – deve difendere non solo i diritti di coppia, ma tutelare anche e soprattutto quelli dei singoli individui, delle persone più deboli ed emarginate. Deboli perché di orientamento sessuale diverso, emarginati perché separati o divorziati.
“Il matrimonio, se vogliamo osservare con sguardo neutro la realtà, sta attraversando un periodo di crisi continua. Difficile stabilirne le cause precise, che certamente sono molteplici, sociali, economiche, religiose”. “Fino a qualche anno fa erano soprattutto i giovani a rifiutarlo; ora la questione si è allargata a persone di età più matura, che sempre di più scelgono la strada di un’unione di fatto”.
Insomma, si chiede il senatore: che facciamo di tutte queste persone? “Obbligarle o costringerle a scegliere la via del matrimonio sarebbe un assurdo, che lederebbe i diritti fondamentali dell’individuo. Continuiamo ad ignorare un fenomeno sociale di tali dimensioni?”.
La Pignedoli si dice infine “rammaricata per alcune dichiarazioni che la Chiesa ha portato all’orecchio dell’opinione pubblica. Frasi e considerazioni a volte molto dure. La frattura che si sta alimentando tra cattolici e laici in Italia è spesso frutto di dichiarazioni a tutela più di una certa categoria sociale che della collettività. Riconoscere il diritto di ognuno di noi a professare la propria fede religiosa o a rinunciare a qualsiasi fede passa attraverso la politica dello Stato e non attraverso la dottrina religiosa”.
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E i nostri lettori che ne pensano? Se volete lasciare la vostra impressione potete farlo, come di consueto, con un commento a questo pezzo.
Riflettere sulla realtà
Premetto che conosco poco la proposta di legge, ma conosco meglio il deficit presente.
Le “copie di fatto” sono oggi soggette ad una mancanza di diritti piuttosto grave, che molte volte rende, appunto, le parti deboli a pagare (termine forse inadeguato) le conseguenze. È per cui dovere dello stato rimediare prontamente a questa inadeguatezza legislativa tutelando i diritti della parti più deboli (legislazione ampiamente interpretata in mera relazione del fine: hanno tutti i diritti adeguati se non si vuole procedere; non li hanno se si vuole modificare – ma alla fine le coppie di fatto pagano sempre conseguenze di questa situazione, e di loro si ci cura poco perché è più sereno non vedere e riferire loro colpe innate).
Ancora oggi il figlio nato al di fuori del matrimonio (esempio) non è equiparato correttamente (pur i giusti miglioramenti già apportati) al figlio nato all’interno del matrimonio. Ma le colpe dei padri ricadranno sui figli, diceva il vecchio testamento. E sembra questa l’ottica dei non riformisti (anche se è giusto aggiungere che viviamo in un sistema adulto-centrico che fatica a vedere adeguatamente i diritti dei più piccoli).
Poi ci troviamo di fronte al grande nocciolo: l’equiparazione di coppie di fatto eterosessuali a quelle omosessuali (ops… questo non si doveva dire?). Alzi la mano chi non è ancora di vecchio stampo e non vede l’omosessualità come una colpa e un comportamento pari alla tossicodipendenza che va corretto (1, 2, 3, 4 con me… ma non c’è nessun altro che ha alzato la mano?).
Inutile ricordare che l’omosessualità non ha nulla a che vedere con malattie mentali, ma solo con il bell’apparire di una società evolutasi su dogmi bigotti ed ipocriti.
Potremmo andare avanti ancora molto, moltissimo, ma il succo su cui riflettere è la realtà (mancanza di diritti per persone che ne meritano il riconoscimento: tutela) e quanto desideriamo restare sulle fantasie di una società basata sul matrimonio che vede in crisi il concetto di famiglia stesso. È quindi impossibile, e scorretto, equiparare le coppie di fatto al matrimonio, ma è giusto dare una REALE tutela dei diritti del cittadino, qualunque sia, nel rispetto della legge e delle altre persone, la sua scelta di vita (matrimonio, convivenza ecc. – se di SCELTA si può parlare..).
Sarebbe bello ricostruire la sicurezza famigliare promulgata anche dal mondo cattolico, ma è corretto comprendere che essa è in crisi e che vincolando i soggetti non si fa altro che peggiorarne lo status (economico, emotivo ecc.). Per cui credo opportuno riflettere sulla realtà e fantasticare (soltanto) sulle utopie, cercando di migliorare la condizione sociale.
Inoltre, come sottolinea la nostra senatrice, il mondo si evolve e con esso anche il concetto di famiglia, e non evolverci anche noi sarebbe un errore ed un fallimento (in questo caso dei vertici cui sono in mano i nostri presenti e futuri).
Termino ricordando solamente una frase illuminante di una mia insegnante di legislazione penale minorile: “Il divorzio è un lusso solamente per ricchi” (come biasimare chi non se la sente di sottoscrivere il contratto matrimoniale?).
(Agostino G.)
Avete visto Santoro?
Condivido la tesi del commento precedente riguardo al non vedere l’omosessualità come una colpa: il rispetto del “DIVERSO” deve essere alla base di uno Stato di diritto.
Anche perchè, ognuno di noi, a suo modo è DIVERSO, in quanto unico.
Ciò premesso ritengo però inaccettabile che, nel corso di una trasmissione, venga sbeffeggiato (“Madre Mastella di Calcutta”) un Ministro della Repubblica che la pensa DIVERSAMENTE. In quel contesto il DIVERSO era lui: dov’è il rispetto per le sue opinioni DIFFERENTI? Già, il RISPETTO… molto facile richiederlo, molto più difficile accordarlo agli altri.
(u.g.)
Sen. Pignedoli, altre sono le priorita del Paese e della nostra montagna
Invito la senatrice ad un viaggio dentro ai paesi del nostro Appennino e si convicerà che la vera emergenza non sono le coppie di fatto ma la necessità di promuovere le vere famiglie, sì, quelle tradizionali, fatte di marito e moglie e di tanti figli.
Circa le priorità sul piano generale io credo si debbano ricercare le vere emergenze.
Venga a Reggio Emilia più spesso e si guardi attorno, si sente sicura? Il sindaco di Milano ha lanciato un grido d’allarme ripreso in modi diversi anche dal cardinale di Bologna e da Cofferati.
C’è il tempo per ridere, c’è il tempo per piangere, c’è il tempo per chiudere gli occhi, c’è il tempo per aprirli.
Grazie.
(Marino Friggeri, Udc Comunità Montana)
Dobbiamo seguire la società in ogni suo risvolto?
Leggendo l’intervento della senatrice Pignedoli sulla questione “DI.CO” emerge una considerazione centrale: la legislazione deve seguire la trasformazione della società in ogni suo risvolto. A questa impostazione consegue una allocuzione fondamentale: il bene di una persona consisterebbe nel seguire le tendenze maggiormente presenti nella società. Questa non è un modo di “osservare con sguardo neutro la società”, ma è solo un modo furbesco per rifuggire da una considerazione più ampia sull’uomo.
Altro punto in cui la senatrice è recalcitrante è quello dei diritti: c’è differenza tra i diritti individuali, che non comportano il favor per un modello a-familiare, e quelli della coppia, che invece sottolineerebbero il placet dello Stato per forme che non sono familiari. I diritti che vorrebbero essere concessi ai componenti delle coppie di fatto, infatti, sono già garantiti da tempo ai protagonisti di libere convivenze. Basterebbe citare l’aspetto relativo all’assistenza sanitaria: già oggi nessuna legge impedisce di visitare o accudire il convivente in caso di malattia o ricovero. È il paziente che decide da chi farsi assistere. Altro esempio: il convivente, come il coniuge, ha diritto a un permesso retribuito di tre giorni lavorativi all’anno in caso di decesso o documentata grave infermità del partner (L. 53/00). Se tutti i diritti sono già sanciti a cosa servono allora i cosiddetti “DI.CO”? Essi sono essenzialmente una prima forma di equiparazione tra le coppie eterosessuali e quelle omosessuali.
E qui arriviamo al punto politico: come può la Margherita non vedere questo? Come fa l’on. Castagnetti ancora a sostenere che la questione dei “DI.CO” è solamente politica e non anche etica, soprattutto dopo il feroce attacco di Santoro al ministro Mastella e la manifestazione di sabato a Roma? Come fanno i nostri amici cattolici, impegnati nei consigli comunali, nelle redazioni televisive e radiofoniche, a non capire che è in gioco un “valore non negoziabile”?
(on. Emerenzio Barbieri, Udc)
Fingiamo di non vedere…
Ritengo, anche io, che il problema più sensibile sia esattamente l’equiparazione tra coppie eterosessuale e coppie omosessuali. Ma così mi trovo immerso nei dubbi; e mi domando (e Vi domando) come fa a farsi onore una società basata su diritti non discriminatori e, soprattutto, sull’uguaglianza come principio costituzionale quando prosegue in una “non accettazione” di categorie (di persone umane con sentimenti e forse diritti) che per condizione di nascita sono “diverse” (da chi poi? Da chi non li accetta.. )?
Mi viene in mente la situazione americana (da film), dove nel bar non si entra se sei un cane o sei di “colore/nero” (quale colore poi? Quello diverso dalla maggioranza.. ); fortunatamente con legislazioni adeguate si sono fatti enormi passi avanti contro quelle forme di razzismo.
Ma su quelle attuali che si fa?
(chi non accetta la diversità non può che essere ipocrita quando si dice promotore dell’uguaglianza, sia essa religiosa o politica).
Termino inoltre sul principio conservatore del non cambiare: restiamo fermi, il mondo si evolve (fortunatamente), ma noi stiamo fermi e fingiamo di non vedere. Chissà che questa logica (tattica) funzioni davvero..
(Agostino G.)
Coppie e non singoli
Caro Agostino, tutte le persone sono uguali (anche secondo l’art. 3 della Costituzione). Ciò che oggi è in discussione non è il diritto individuale ma quello della coppia: sono uguali una coppia eterossesuale ed una omosessuale? No, perchè la seconda è in se stessa non aperta alla procreazione. E poichè si parla di discriminazione quando due cose uguali vengono trattate diversamente, qui non c’è nessuna discriminazione; solo un’idea di bene della società che diverge.
Saluti.
(Giovanni Galli)
Rispondo ma concludo qui
Grazie della puntualizzazione, Giovanni, che mi semplifica la comprensione del Vostro punto di vista, che mi pare però più religioso che laico. Ed a quanto ne so io, da Costituzione siamo uno stato laico.
Dici anche del vero affermando che si tratta di divergenze di idee. La Costituzione per di più, in questi argomenti, è ben interpretabile (a beneficio o discapito dell’argomento) e utile al fine o alle convinzioni soggettive (alle volte non collettive, o non corrette in termini di morale).
Ma sul differenziare il diritto dei singoli da quello delle coppie, ritenendo che le coppie, omosessuali e quelle eterosessuali, non possono essere uguali (e quindi non discriminate per mancanza di logica) in via della non procreazione mi trovi totalmente contrario. La costituzione si fonda, si, su un concetto di matrimonio, ma non su un esplicito riferimento alla procreazione (diverso l’argomento religioso, dove fu detto “andate e moltiplicatevi”). Altrimenti osserveremo in errore anche i coniugi che decidono di non avere figli (o quelli che sfortunatamente non possono averne); infatti, se si riflette su meri concetti di procreazione, la logica porterebbe a ritenere opportuno ridurre diritti a chi non vuole procreare (ma fortunatamente la nostra logica non è questa, non essendo animali da allevamento..).
Per cui capisco ma non condivido il vostro punto di vista; affermo anzi la mia convinzione che questa disparità di diritti è paragonabile a un concetto razziale arbitrario (se si può dire così..), che manifesta lacune nel concetto stesso di parità ed uguaglianza. In quanto persone in grado di intendere e di volere, ed egualmente comprensivi di emozioni (per cui esseri umani), io stesso come persona (religiosa e realista), non riesco ad accettare che sia loro negato il diritto alla famiglia, seppure in termini ben differenti da quelli canonici.
(Agostino G.)