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Psicofarmaci: antidoti o veleni?

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Macbeth: Come va la vostra paziente, dottore?
Dottore: Non male, mio Signore; ma essa è turbata da pensieri angosciosi che le tolgono il sonno.
Macbeth: Curala di questo. Non sei tu in grado di guarire una mente malata, di cancellare dalla memoria tormentosi ricordi, di distruggere l’angoscia impressa nel cervello e con un dolce antidoto alleviare l’affanno che grava sul cuore?
Dottore: In questa situazione la paziente deve provvedere da sè.

William Shakespeare, Macbeth

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Per psicofarmaci si intendono tutti i farmaci in grado di influenzare in qualche modo la psiche. In base al loro effetto possono essere suddivisi in 3 categorie generali: neurolettici, antidepressivi e stabilizzanti dell’umore, ansiolitici.
I neurolettici o antipsicotici (fenotiazine, butirrofenoni, tioxanteni) vengono utilizzati per trattare le psicosi ed agiscono riducendo o antagonizzando le allucinazioni e delusioni, l’eccitazione psicomotoria e facilitando la socializzazione dei soggetti trattati per azione sul sistema dopaminergico.
Gli stabilizzanti dell’umore o timolettici (ammine tricicliche inibitori della MAO, sali di litio, anticonvulsivanti) agiscono, invece, sul sistema noradrenergico e serotoninergico.
Gli ansiolitici (benzodiazepine, carbamati) trovano impiego nella sedazione dell’ansia associata a condizioni psicosomatiche e psiconevrotiche agendo a livello del sistema limbico gabaergico.
Questa è solo una classificazione sommaria, che cerca di schematizzare un mondo, in realtà, molto più complesso e difficile da ridurre in semplici categorie, sia per la molteplicità degli impieghi di queste molecole sia per l’infinità di effeti che queste sostanze provocano.

I neurolettici sono stati scoperti ed utilizzati in terapia sin dalla fine del 1800 a scopi completamente diversi da quello antipsicotico. Solo nel 1950, quindi quasi un secolo più tardi, ci si rese conto degli effetti che una di queste molecole aveva nel conciliare il sonno ed indurre indifferenza verso l’ambiente circostante. Nella storia della psichiatria mai un farmaco prima aveva portato ad un rinnovamento così netto nella terapia e nella vita dei pazienti schizofrenici e di quelli che fino a quel momento erano stati rinchiusi nelle case di cura. Da quel momento, numerose sperimentazioni sono state condotte per cercare di capire meglio il funzionamento di queste molecole e, soprattutto, cercare di sintetizzare dei composti più selettivi e con minori effetti collaterali dei precedenti.
Alcuni studi hanno permesso di comprendere come i disturbi mentali curabili con questo tipo di farmaci siano legati a lesioni fisiche, alterazioni biochimiche e mutazioni genetiche a livello centrale. In questi casi, senza l’uso degli psicofarmaci, la cura di molte persone non sarebbe stata possibile.
Purtroppo, in Italia, molti operatori di settore, convinti della non efficacia dell’approccio farmacologico nella cura dei disturbi mentali, hanno dedicato poco tempo e poca attenzione alla ricerca in questo settore. Dall’altra parte, alcuni hanno creduto forse troppo nel potere di queste molecole, credendo che queste potessero sostituire tutto il resto della terapia e potessero essere sufficienti a curare il paziente.
Quello che è doveroso fare, invece, a mio parere, è cercare di dare il giusto peso alla cura farmacologica, utilizzandola come affiancamento al resto della terapia. Per poter fare questo è necessario che gli operatori di settore dedichino tempo ed interesse alla conoscenza profonda della categoria farmacologica degli psicofarmaci, che più di tutte le altre categorie di farmaci, forse, richiede una preparazione ed una attenzione elevata prima, durante e dopo la terapia. Verificare che i dosaggi dei farmaci siano corretti è molto importante per l’ottenimento di un buon risultato, così come è importante fare molta attenzione agli effetti collaterali che possono insorgere, per evitare che a lungo termine i risvolti negativi superino i benefici temporanei. Se questo non si verifica la colpa potrebbe non essere dei farmaci, quanto di un errato approccio nel loro utilizzo. Criticare apertamente uno “strumento” può non essere la cosa migliore da fare. Utile e doveroso da parte di tutti sarebbe, invece, prendere coscenza di quello che si sta verificando con l’abuso di alcuni psicofarmaci per chiederci se li stiamo utilizzando correttamente e se stiamo dando loro la giusta attenzione. Valutare il percorso del paziente nel tempo e stabilire correttamente assieme ad esso la riduzione e l’interruzione della terapia, poi, è altrettanto importante per evitare che i fenomeni di dipendenza che alcuni di questi composti possono generare non prendano il sopravvento.
Nel nostro Paese questa categoria di farmaci risulta reperibile solamente con ricetta medica (escludendo internet, come fonte di acquisto, ed altre tipologie di mercato): questo può significare che l’abuso che, in certi casi, viene fatto da parte dei pazienti è correlabile a delle prescrizioni (a volte) troppo leggere e superficiali.

L’invito che faccio agli operatori di settore è di ricordare che un farmaco può essere un antidoto utile ed efficace nell’aiutarli nel loro lavoro, ma è pur sempre un veleno, ed è con questa consapevolezza che va utilizzato e prescritto.
Ai pazienti vorrei ricordare l’importanza di utilizzare i farmaci prescritti in modo corretto, chiedendo in ogni momento maggiori informazioni se i dosaggi e le modalità di assunzione non sembrano chiari, e di avvisare sempre il medico di eventuali effetti collaterali correlati al farmaco assunto, in modo da permettere alla comunità scientifica di acquisire quante più informazioni sono possibili per approfondire la conoscenza di questo settore del mondo farmaceutico.

2 COMMENTS

  1. Ma psichiatria, psicologia sono scienze?
    Caro Direttore,
    esprimendo la mia opinione sul dilagare di farmaci e di psicofarmaci negli adulti e nei bambini in particolare, capita a volte, anche da parte di personaggi istituzionali, che mi si rivolga la fatidica domanda: “Ma lei è medico?”.
    No, non sono medico, ma con amarezza, è forse proprio per questo che ho qualcosa da dire in merito.

    Infatti se da una parte non mi sfiora l’idea di criticare i costruttori di computers, né sollevo obiezioni alla legge di Ohm o al II principio della termodinamica, 10 milioni di bambini statunitensi cui son prescritti psicofarmaci, mere droghe legali, mi lasciano perplesso, tenuto conto che quelle stesse lobby del farmaco han cominciato a suonare la loro canzone di morte in Italia e in Europa.

    Come diceva un amico: un esperto è colui che ottiene risultati regolarmente. Per un vero professionista questi parlano per lui. E qualora, per ignoranza, pregiudizio o interesse, insorgano critiche, prima o poi cedono di fronte all’evidenza. Questo è stato il cammino delle scienze negli ultimi secoli, prima che divenissero parte di quello status quo che avevano combattuto alle origini.

    Nel campo della psicologia e della psichiatria i risultati sono pochi, discutibili e casuali. Per loro stessa ammissione non conoscono le cause di quei comportamenti detti malattie mentali, che ormai coprono qualsiasi situazione umana; avanzano ipotesi, mai dimostrate, spacciadole per clamorose scoperte; catalogano sintomi definendoli malattie oltre il limite del ridicolo senza alcuna prova oggettiva di laboratorio, fanno diagnosi basandosi su test soggettivi; i rimedi proposti sono più utili in operazioni illegali e alle dittature che alla cura del “paziente”, che in primis non è tale.

    Ben lungi dall’essere scienze, psichiatria e psicologia sono un pasticcio semantico. Colui che dice: “ma lei è un medico?” dunque non sta ponendo un problema di competenza, ma una questione di potere, cioè un problema politico.

    Si vuole zittire l’avversario per difendere un sistema di casta che produce enormi fatturati.
    Le case farmaceutiche stanziano ingenti somme nella ricerca di nuovi prodotti e vogliono giustamente un ritorno. Purtroppo spesso qui s’innesca un meccanismo corrotto. Per avere il benestare alla vendita, devono produrre una letteratura “scientifica” a sostegno della bontà del ritrovato.

    Perché tante vittime allora a causa degli effetti dannosi dei medesimi? Perché gli “esperti” che firmano questi studi e in particolare gli estensori del DSM, manuale di “malattie” psichiatriche, sono sul libro paga delle stesse case farmaceutiche. Inoltre di norma sono anche esponenti di quel mondo accademico che riproduce altri “esperti”, esercitando un controllo sugli studenti, che passano l’esame solo ripetendo quello che il prof. vuole.

    Si crea così un sistema autoreferenziato di falsa scienza, in cui giudice e indagato hanno gli stessi interessi.
    È quasi del tutto inutile aspettarsi dai membri di questa casta una visione critica delle cose. Le idee autogiustificative assimilate ne offuscano la capacità di giudizio e ne risulta minacciata la loro posizione sociale. Da qui gli attacchi di costoro e dei mass media, spesso celati e indiretti, a chi dissente.

    Il cittadino essendone spesso una vittima, non solo può ma deve denunciare l’ arbitrio e sensibilizzare gli organi istituzionali perché facciano chiarezza tramite studi indipendenti sulla reale bontà delle teorie e cure proposte.

    Vorrei ricordare qui alcuni articoli della nostra Costituzione, che si commentano da soli:

    Art 1:” . la sovranità appartiene al popolo.”
    Art 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale.”
    Art 21: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.”
    Art 9: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.”
    Art 33: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.”
    Art 23: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo.”
    Art 44: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.”

    (Carlo Cantalupi, cittadino)

  2. Risponde l’autrice
    Comprendo che il problema della prescrizione degli psicofarmaci ad un numero così elevato di bambini la possa lasciare perplesso, ma questa notizia non deve indurla a pensare che lo psicofarmaco sia semplicemente una droga data con leggerezza a persone con malattie non ben definite, perchè questo sarebbe dare una visione troppo semplicistica di un problema ben più complesso e profondo.

    Vi sono anche bambini ed adulti che, grazie agli psicofarmaci, raggiungono una qualità della vita superiore a quella cui sarebbero condannati non assumendoli. Vi sono persone che senza l’aiuto di psichiatri e psicofarmaci non riuscirebbero a mangiare, a dormire, a relazionarsi con il mondo, ad esprimere le proprie emozioni.

    Crede veramente che tutti gli scienziati che per secoli si sono dedicati allo studio della comprensione dei meccanismi fisiologici che stanno dietro e dentro la psiche umana lo abbiano fatto semplicemente per aumentare il profitto delle case farmaceutiche?

    Psichiatria, psicologia e medicina in generale nascono, e ne sono consapevoli, come scienze empiriche, non come scienze esatte. Non si arrogano il diritto di avere una risposta pronta e certa ad ogni quesito, ma si pongono in modo empirico e flessibile di fronte ad un problema ricercandone una soluzione e una spiegazione.

    Concordo con lei nel vedere qualche limite in un certo tipo di formazione dei giovani ricercatori, che possono essere “guidati” in una direzione piuttosto che in un’altra, ma le ricordo che ricerca scientifica non significa solamente case farmaceutiche, significa anche impegno, dedizione e amore per la ricerca della verità e della vera conoscenza, significa sacrificio di giovani a volte condannati a un precariato pur di perseguire la strada che ritengono giusta, significa volontariato e fondi di finanziamento che arrivano dalla gente comune, che mette a disposizione tempo e denaro pur di permettere a taluni progetti di prendere corpo e di svilupparsi.

    Proprio in questa direzione era volto il mio messaggio: una volta messo in luce il problema, ritengo sia cosa doverosa invitare sempre più le persone coinvolte (operatori e pazienti) affinchè tutte le informazioni possibili riguardo gli effetti di questi principi attivi vengano sempre comunicate a chi di dovere per permettere alla comunità scientifica di arrichirsi di informazioni libere, che rappresentano una popolazione certamente più ampia e variegata di quanto si possa fare prima dell’immissione in commercio di un farmaco.

    Vorrei ricordare che mediamente intercorrono circa 10 anni da quando una molecola inizia a mostrarsi potenzialmente efficace a quando viene immessa nel mercato come farmaco. Subisce tre fasi di studi sperimentali prima di essere immessa nel mercato, e una quarta fase – che negli ultimi anni ha assunto sempre più importanza – dopo l’immissione in commercio, cioè la farmacovigilanza. E’ grazie a questa fase della ricerca che possiamo capire veramente tutte le sfaccettature d’azione delle molecole, ed è per questo che il contributo di tutti in questo senso è indispensabile al progredire delle conoscenze in questo settore.

    (Chiara Roni)