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Disturbi del Comportamento Alimentare e post modernità

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Ogni epoca ha i suoi disturbi e i suoi sintomi: la psicopatologia non è sconnessa dal contesto storico, culturale, economico nel quale si inserisce e certi sintomi sono particolarmente frequenti in alcuni contesti e praticamente assenti in altri.
I disturbi del comportamento alimentare sono emblematici rispetto a questo: essi sono diffusi nei Paesi industrializzati, dove la produzione e l’offerta di cibo travalicano abbondantemente le necessità delle popolazioni e dove, anzi, la sovrapproduzione e l’obesità stanno diventando dei gravi problemi economici e sanitari; sono invece pressoché assenti nei Paesi in via di sviluppo, che tuttora si trovano a dover fronteggiare la penuria di cibo. Tuttavia, le persone che emigrano da un Paese in via di sviluppo in Paesi industrializzati hanno la stessa probabilità di chi ha sempre vissuto in un Paese industrializzato di sviluppare un disturbo del comportamento alimentare (Saltini et al. 2004; Clerici et al., 1996).
Anoressia e bulimia nervosa hanno un’elevata prevalenza in nazioni che promuovono campagne di educazione alla salute finalizzate a ridurre l’incidenza del sovrappeso e dell’obesità nella popolazione, in Paesi che cercano soluzioni agli elevatissimi costi in termini di salute e di economia legati all’eccessiva ingestione di cibo. In questo tipo di ambiente, le anoressiche si aggirano per strada esibendo un sottopeso quasi incompatibile con la vita e le bulimiche fanno il doppio lavoro per potersi abbuffare di cibo che poi rigettano nel gabinetto. E l’ambiente reagisce scandalizzato, incredulo, quasi offeso: ragazze anoressiche che rischiano di morire di fame quando il resto della popolazione combatte con il sovrappeso e con l’eccesso di offerta di cibo; giovani donne bulimiche che praticano i loro rituali di abbuffate e di svuotamento in assoluta segretezza e autarchia, mentre il cibo è da sempre un canale di socializzazione e attualmente la dimensione sociale del pasto viene rinforzata da dietisti e alimentaristi, in quanto elemento contenitivo che può aiutare l’organismo a meglio regolarsi e a non eccedere nell’assunzione del cibo.
I disturbi del comportamento alimentare, e ancor più l’anoressia, spiccano in maniera rilevante in una società del benessere, caratterizzata dall’abbondanza di cibo. Viceversa, un tipo di sintomo simile rimarrebbe più sullo sfondo in un contesto dove la penuria di cibo costituisse un problema. E infatti in quei Paesi i disturbi del comportamento alimentare sono pressoché sconosciuti. Se il sintomo è un appello alla relazione (Sichera, 2001), questo appello in qualche modo deve essere udito e deve farsi sentire; in questo senso, i disturbi del comportamento alimentare sono appelli vissuti dall’ambiente come allarmanti, infastidenti e provocatori e il contesto può reagire anche negando il problema o bloccandosi di fronte ad esso, ma certo ne viene colpito. Spesso la prima reazione è: “Non è possibile, è una cosa incomprensibile”, o anche “Ma da dove nasce una cosa del genere?”.
In ogni caso, i disturbi alimentari sono un attentato al cuore di una delle certezze e dei punti di orgoglio delle società industrializzate: la sconfitta della fame e la libertà di concentrarsi su altri bisogni, ossia quelli affettivi, di appartenenza, di autoaffermazione e successo personale, perché la fame e il problema con il cibo dovrebbero essere spettri ormai lontani, relegati nel passato, all’epoca ormai finita della ricostruzione del dopoguerra. “Questo cibo non lo voglio” dice l’anoressica; “Questo cibo lo voglio tutto io, ma solo per potertelo vomitare contro e dirti quanto mi fa(i) schifo” dice la bulimica.
L’anoressica e la bulimica, per esprimere il loro disagio, scelgono un linguaggio che colpisce l’ambiente nel quale esse vivono, utilizzano il linguaggio del cibo in un ambiente che effettivamente ha, per ragioni opposte (l’obesità), molta attenzione sul cibo: in questo si esprime la polarità di “adattamento” del sintomo alimentare, perché non è così lontano dalle problematiche e dalla sensibilità del contesto da risultare del tutto incomprensibile e, quindi, inascoltato. Ma d’altra parte, esso risulta anche un po’ “incomprensibile” per l’ambiente, perché l’uso che l’anoressica e la bulimica fanno del cibo è del tutto anomalo, talvolta disgustoso, spesso inimmaginabile, sempre originale. E quando si parla di uso del cibo non si intende solo l’aspetto comportamentale, ossia che cosa concretamente la persona anoressica o bulimica fa con gli alimenti, ma anche e soprattutto quali significati attribuisce al cibo: salvifico, consolatorio, avvelenante, punitivo, pericoloso, erotico. In questo si esprime la polarità della creatività del sintomo alimentare, il cui significato è unico e irripetibile per ogni paziente anoressica o bulimica che si incontra.
La paziente, quindi, attraverso il sintomo alimentare, cerca di sopravvivere a carenze, traumi, esperienze protratte di privazione, disconferma, invasione e lo fa utilizzando il linguaggio e i mezzi del contesto, della società, del tempo in cui vive. A questo proposito, si sottolinea che anche la tecnologia è spesso utilizzata dalle pazienti con disturbi alimentari e diviene un mezzo per esplorare l’ambiente, trovare informazioni e sostegno a volte alla cura, a volte al mantenimento del sintomo. La diffusione dei forum di discussione in Internet sul tema dell’alimentazione e del corpo e il proliferare di siti pro ana testimoniano il tempo e l’energia impiegati da molti anoressici e bulimici nell’utilizzare spazi virtuali alla ricerca talvolta di compagnia e di confronto, a volte di sfide e di giochi di disvelamento e copertura di parti di sé e delle proprie esperienze. Dialogare in Internet è per queste pazienti un modo per incontrare qualcuno senza esporsi troppo, senza sentirsi invase, compromesse, obbligate. È a volte l’unico modo accettabile e sopportabile per entrare in contatto con l’altro: salva dalla solitudine, non richiede il prezzo e l’impegno di un incontro pieno, mette al riparo dalle delusioni, tutela dai rischi, permette l’intermittenza e la fuga senza lasciare traccia. Ma consente anche di acquisire informazioni, di esplorare un po’ il mondo fuori, di sapere che certi sentimenti ed esperienze vissuti a volte segretamente sono condivisibili. Un linguaggio in espansione, utilizzato da una patologia già molto espansa. Senza alcun giudizio di valore: non perdiamoli di vista, né il linguaggio Internet né il modo in cui le persone anoressiche e bulimiche lo utilizzano, perché l’obiettivo è creare nell’ambiente le condizioni perché quei sentimenti e quelle esperienze diventino condivisibili in rapporti vis à vis. Ciò che non è raccontabile all’altro resta nell’area dell’inconsapevolezza, dell’incontrollabile, dell’ingestibile. Il cambiamento, anche rispetto a un sintomo, avviene all’interno di una relazione, davanti allo sguardo dell’altro, nel vincolo reciproco del legame e delle reciproche responsabilità. La cura passa attraverso la relazione reale; le relazioni negli spazi virtuali possono favorire l’aggancio e l’uscita dall’isolamento, in prima battuta, ma vanno considerate il primo passo verso la costruzione di rapporti più impegnativi e potenzialmente mutativi delle modalità di relazionarsi con se stessi e con il mondo.

(Fonte: Risky-Re)