Le questioni affrontate nel recente Consiglio comunale di Castelnovo né Monti, sono tutte degne di attenzione anche se risentono troppo del luogo istituzionale dove sono state discusse.
Gli interventi sono stati di alto livello e meritevoli di apprezzamento.
Va però rilevato un dato, solo, chi in modo libero ha offerto, rivolto alla platea, la sua opinione ha dato un valido ed efficace contributo ad una discussione, difficile e per certi versi ancora condizionata dai fatti gravi e tristi, avvenuti in zona.
La nostra montagna purtroppo non e nuova a questi eventi, merita ricordare l’omelia di un sacerdote tenuta a Nismozza in occasione del funerale di un giovane suicida del luogo, quando affermava che dinnanzi ad un cosi tragico fatto era necessario praticare il silenzio, per lasciare posto alla preghiera e alla riflessione sul senso della vita della morte.
Con questa attenzione e con altrettanta responsabilità per il ruolo che occupo negli organi istituzionali nella nostra montagna, ritengo di dover proporre, perchè considero il disagio sociale una caratteristica che non si limita al capoluogo della montagna sovrastato dalla Pietra di Bismantova, alcune riflessioni sulla nostra montagna reggiana.
Lo voglio fare iniziando a rispondere a due interrogativi intrecciati tra di loro che ogni pubblico amministratore, io credo, si dovrebbe porre; cosa sto facendo per la nostra montagna e cosa chiedo alla nostra montagna?
Sono interrogativi pesanti e non separabili nelle risposte da fornire, ma con coraggio e per la responsabilita che occupiamo dovremmo rispondere con onestà e trasparenza.
Ci sono momenti in cui bisogna avere il coraggio di compiere una seria riflessione che metta nel conto etica e politica, responsabilità istituzionale e coerenze personali.
Mi chiedo tante volte qual è il divario tra i problemi dei partiti e quelli della società e ne deduco che non solo c’è distanza ma anche divaricazione, si marcia in due direzioni spesso contrapposte.
Ho tante volte affrontato il tema delle criticità della nostra montagna, chiedendo a chi governa di agire con urgenza e coerenza sulle priorità che ora si stanno trasformando in crisi irreversibile (viabilità, malessere demografico, ambiente, lavoro, centralità della famiglia) e mi sono sentito rispondere, all’interno degli organismi istituzionali, “il solito disco rotto, venditore di pessimismo”.
Ora a fronte delle cose gravi che succedono resto della mia opinione, ed affermo che la montagna sta morendo, perché non c’è ricambio generazionale, muore perchè tra non molto anche l'unica viabilità che esiste sarà impercorribile, muore perché non c’è lavoro, muore perché mancano ragioni di speranza, muore perché siamo incapaci di far capire ai giovani che la politica è un modo per decidere assieme e per il futuro della montagna.
E' sbagliato pensare che il problema e il disagio giovanile a Cast. Monti e non accorgersi che esiste un problema più vasto di grave malessere sociale in tutta la montagna e che ciò che avviene nel capoluogo è solo la punta di un iceberg.
Alla fine si può affermare che Castelnovo è la risorsa vera della montagna ma ne è nel contempo anche il tumore che fagocita tutto ciò che di buono la montagna produce.
Chi ha teorizzato, due anni fa, il progetto montagna città diffusa deve riconoscerne il fallimento.
Abbiamo bisogno di un nuovo progetto per la montagna costruito a più mani e con tutti i soggetti presenti. Dobbiamo assieme ricostruire gli obbiettivi, le priorità, per uno sviluppo della società, dell'economia della cultura mettendo al centro di tutto l’uomo e la famiglia.
Dico questo perché ho provato sofferenza e disgusto e per questa ragione considero aberranti le affermazioni pronunciate da alcuni amministratori nel Consiglio comunale aperto secondo cui quello che avviene a Castelnovo avviene anche altrove e che bisogna tornare a ridefinire il rapporto con i figli con la logica dei no e delle privazioni.
Io credo che con i figli si debba essere esigenti tanto quanto lo si deve essere con se stessi e che a loro debba essere offerto un rapporto nuovo basato sulla auto-responsabilizzazione preceduta da un percorso fatto di esempi e di atti tali dove appare netta la distinzione tra bene e male. Mai i mali del disagio giovanile sono disgiunti dal malessere della società e questo vale anche per la nostra montagna.
Questo è il vero problema della montagna reggiana; si tratta un disagio sociale profondo che attraversa tutti gli strati della società tagliandola trasversalmente, che influisce su tutte le generazioni, sempre piu competitive e votate alla esclusione dei deboli, sempre più lontane perché prive di quell’elemento che consente alle diverse persone di età diversa di confrontarsi, di trasmette modelli etici ed esperienze buone, esperienze positive.
La mia esperienza amministrativa mi porta spesso ad affermare che essa avrà un senso se riuscirò nell’arco della sua durata a renderla accessibile ad altri, magari più giovani. Ma quando mi guardo attorno ne traggo conclusioni preoccupanti; non ho ancora trovato un giovane che partecipi alla vita amministrativa anche seguendo i consigli comunali, sempre deserti, e che mi abbia detto, voglio seguirti per capire come si può diventare amministratore pubblico e candidarmi alle prossime competizioni amministrative...
Questo problema chiama tutti coloro che sono impegnati nelle istituzioni ad un obiettivo, quello di avanzare una proposta concreta ai giovani perché si impegnino in politica. Se questa è la strada perchè non iniziare a chiedere quali sono le priorità per lo sviluppo sociale ed economico della montagna? Considero importante in questo processo il ruolo della Chiesa reggiana che ha saputo con il convegno sulla montagna riproporre i veri problemi del nostro crinale...
Ma dobbiamo chiederci con quanta coerenza le cose dette e scritte vengono realizzate dai cattolici impegnati nel politico e nel sociale. La coerenza la si misura non per le cose che si dicono ma per ciò che si fa e qua i cattolici dobbiamo dire che hanno saputo dire tanto e fare pochissimo. Sono rimasto affascinato dall’intervento in consiglio di un sacerdote perchè ha saputo dialogare con i giovani e nel contempo anche con il resto della società.
Serve però maggior chiarezza e l’azione della Chiesa non si deve esaurire nel trasformare il luogo del male nel luogo del bene e magari della convivialità.
Dobbiamo guardare in alto e nel passato; la Pietra di Bismantova era luogo dove si respiravano spiritualità e preghiera: lì avvenivano pellegrinaggi, lì si festeggiava ringraziando il buon Dio dei beni dei campi, lì si recavano tante persone che avevano ricevuto grazie o che attendevano di riceverne, lì ci si recava per unirsi in matrimonio e per onorare la vita.
Oggi la Pietra è luogo di incontro dove si fanno manifestazioni notturne, dove gli artisti pensano di parlare alla montagna o forse alla luna, dove si compiono riti di dispersioni di ceneri funerarie; oggi la Pietra e diventata luogo di morte.
Francamente avrei preferito una maggior attenzione a questo aspetto e a proposte relative in questa se è vero come è vero che a volte la realtà ci impone di smettere di sognare.
Se vogliamo far diventare la Pietra luogo di vita dobbiamo farlo pensando a come era in passato e quali erano gli elementi che la caratterizzavano.
Io considero la scuola, anche nella nostra montagna, il luogo dove si formano le nuove generazioni, ma questo avviene? La scuola si pone il problema del tutelare i deboli o esalta i forti in onore dei risultati da presentare a fine anno? Idem per lo sport: è ancora un prezioso bene da utilizzare per far crescere e rendere forti i deboli o e uno strumento che esalta i forti? Se osserviamo quanto avviene nei tornei estivi dovremmo dire che si sta percorrendo una china che non coniuga o afferma il concetto sport uguale scuola di vita.
Ma io credo si debba andare oltre e mi riferisco al tema scuola formazione e lavoro. Voglio pensare che un giorno in tutte le scuole del nostro crinale si studi educazione ambientale e che agli alunni all‘ultimo anno delle superiori vengono offerti percorsi di educazione ambientale e lavoro certo e pagato.
I giovani potrebbero almeno per un mese all’anno nel nostro crinale in campeggi attrezzati vivere in mezzo alla natura e con il loro lavoro ripulire i nostri boschi, attivare produzioni per l’autoconsumo, sperimentare la cooperazione, l’autogestione, costruire strutture turistiche innovative e fare simulazioni di impresa.
Voglio pensare, a differenza di quanto si sta scimmiottando ora, che l’università si occupi con una presenza stabile dell’ambiente e del territorio del nostro Appennino iniziando a costruire sinergie operative con il Parco nazionale.
Nell’incontro si è parlato del ruolo della famiglia, ma ci siamo mai chiesti quante saranno le famiglie che potranno formarsi nei prossimi dieci anni nel nostro territorio?
Io non credo come molti sostengono che il problema sia la mancanza di strutture sociali, perchè se questo fosse vero ci dovremmo interrogare in quale società negli anni '70 vivevano coloro che si sposavano a 25 anni e con un solo reddito famigliare provvedevano anche al mantenimento del figlio in tenera età.
Noi amministratori dobbiamo dire con forza ai giovani della montagna che la costruzione della famiglia, quella vera, è la condizione primaria per vincere la sfida contro la morte generazionale della società.
Le istituzioni che governano la montagna reggiana non sono solo responsabili di quanto avviene in montagna. Da un lato assistono inermi al fallimento di un disegno e di un progetto elettorale della società; dall’altro hanno perso la bussola del buon senso, non sanno nè correggersi nè tantomeno costruire con urgenza un progetto alternativo.
Ritengo che l’unica strada per uscire da questa situazione fatta di cose tristi e di mediocrità sia quella di considerare la nostra montagna un qualcosa di unitario che cambierà in meglio solo se tutte le forze istituzionali nelle diverse responsabilità sapranno uscire dal loro decadentismo politico e dalle loro certezze che si sbriciolano, che si annientano perché inutili e sapranno altresì scegliere la strada del far valere la propria ragione assieme alla capacità di ascolto delle ragioni degli altri.
Se questo avverrà avremo fatto un passo in avanti tutti e inizierà una nuova stagione che metterà nel conto la voglia di ricercare nuove forme di intesa istituzionale come un fatto obbligato. Dobbiamo “pensare ed agire pensando alla prossima generazione ed esser pronti ad andarcene ogni giorno, senza paura e senza preoccupazione: questo è l’atteggiamento che ci è proposto. Non è facile da conseguire, ma pur tuttavia è necessario mantenerlo coraggiosamente“.
(Marino Friggeri)