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Bulimia Nervosa: una malattia di serie B?

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La bulimia nervosa è un disturbo del comportamento alimentare, alla pari dell’anoressia nervosa, anche se più sottaciuto rispetto all’anoressia, della quale molto ormai si parla e si scrive. In ambito scientifico, ad esempio, si trovano molti testi di letteratura che trattano dell’anoressia e non della bulimia, ma non avviene il contrario: è raro trovare studi specificamente dedicati alla bulimia che escludano la trattazione del disturbo anoressico.

Nel Trattato Completo degli Abusi e delle Dipendenze, a cura di Nizzoli e Pissacroia (2004, p. 918), leggiamo: “La bulimia, che letteralmente significa fame da bue o da cane, pur nota da lungo tempo viene citata poche volte nella letteratura medica. Negli scarsi lavori disponibili, anche se le conoscenze in materia vanno incrementando rapidamente, l’abbuffarsi e la successiva liberazione attraverso il vomito non vengono descritti così esaurientemente ed estesamente come lo sono la coercizione dell’appetito e l’anoressia mentale che spesso l’accompagna”.

Inoltre, operando nel Sistema DCA dell’Az. USL di Reggio Emilia (Servizio per la prevenzione, la diagnosi e il trattamento dei Disturbi del Comportamento Alimentare), ho avuto molte occasioni, insieme con i miei colleghi, di partecipare a conferenze, formazioni, supervisioni e, ovviamente, alla riunione d’équipe settimanale. È emersa, nel confronto tra noi, la consapevolezza che la bulimia, rispetto all’anoressia, tendenzialmente passa in secondo piano: nelle relazioni ai convegni, nella scelta dei casi da portare in supervisione e anche nell’ingaggio di noi operatori è più spesso l’anoressia che emerge come figura.
Qualcosa di molto simile accade anche nel contesto familiare e in ambito sociale: spesso le pazienti anoressiche giungono all’osservazione del medico di medicina generale, di un libero professionista o di un servizio specialistico trascinate di forza da genitori o partner allarmati e disperati per il vistoso calo ponderale e per l’abbrutimento della ragazza o della giovane donna. L’esordio anoressico è solitamente esplosivo e rapido o comunque, di norma, da un certo momento in avanti vi sono un’accelerazione del calo di peso e un aggravamento vistoso della condotta alimentare, delle condizioni fisiche, della chiusura rispetto alle relazioni e delle oscillazioni del tono dell’umore. Il contesto avverte un senso di preoccupazione e di impotenza; inizialmente nega, poi si arrabbia, quindi riconosce la propria impossibilità di risolvere autonomamente la situazione e contatta una qualche figura curante.

La persona bulimica, invece, spesso non è riconosciuta. Solitamente è normopeso, consuma in solitudine e assoluta segretezza i rituali dell’abbuffata e del vomito, al tempo stesso vergognandosene e difendendoli da qualsiasi ingerenza esterna. Spesso il contesto non sa della sua condotta alimentare, talvolta intuisce che qualcosa non va ma non immagina di che cosa si tratti. E’ frequente che intercorra molto tempo, anche molti anni -durante i quali le abbuffate e i metodi di compensazione sono avvenuti con regolarità, persistenza, compulsione - dal momento di esordio del disturbo al momento in cui la persona accede a un trattamento. Non sempre sono i familiari a promuovere il contatto con i servizi o con un professionista: può accadere, contrariamente all’anoressica che sia la stessa bulimica a chiedere aiuto, dopo snervanti tentativi infruttuosi di smettere o quantomeno di limitare il sintomo, divenuto col tempo invalidante e pervasivo. Se la paziente chiede un trattamento per una motivazione propria e non indotta da altri, è frequente che faccia esplicita richiesta ai curanti di intraprendere un percorso di terapia individuale senza il coinvolgimento dei familiari e, addirittura, senza che la famiglia ne sia informata.
Anche quando la famiglia è al corrente del disturbo bulimico, la preoccupazione è minore rispetto a quella che si attiva nella famiglia delle anoressiche; inoltre, quando una paziente anoressica vira sul versante bulimico e, da sottopeso e restrittiva che era, diviene normopeso ma con pratiche di riempimento e svuotamento frequenti, il contesto abbassa il livello di allarme e di vigilanza; talvolta, famiglie che nella fase di anoressia della figlia avevano collaborato al trattamento e magari si erano impegnate in una terapia familiare vera e propria, con la comparsa della bulimia (della quale sono informate), ritirano la loro disponibilità al trattamento. Eppure la bulimia nervosa non è affatto meno pericolosa dell’anoressia: pur mimetizzata da un peso spesso normale e da frequente compiacenza e adeguatezza della persona alle richieste del contesto, la bulimica rischia molto: aritmie cardiache, squilibri elettrolitici, lacerazioni esofagee, rottura gastrica, grave compromissione della dentatura.

Da notare, inoltre, che, nonostante i dati epidemiologici segnalino che la bulimia nervosa è molto più diffusa rispetto all’anoressia, le due patologie sono rappresentate circa nella stessa misura nei Servizi specialistici per i disturbi del comportamento alimentare o, addirittura, l’anoressia nervosa è maggiormente presente rispetto alla bulimia, il che significa che una percentuale ben superiore di bulimiche rispetto alle anoressiche non giunge all’osservazione diagnostica e al trattamento.

Queste osservazioni sottolineano nuovamente come la bulimia nervosa rimanga abitualmente sullo sfondo.
Unica eccezione in questo panorama sono gli studi di outcome dei trattamenti dei disturbi del comportamento alimentare. Le rare evidenze sull’efficacia dei trattamenti nei DCA (Disturbi del comportamento Alimentare) convergono quasi tutte sulla bulimia nervosa. Uno dei pochi dati di letteratura ormai acquisto è che la terapia cognitivo-comportamentale si dimostra efficace nel trattamento della bulimia nervosa (NICE, National Institute for Clinical Excellence – UK, 2004).

tratto dalla tesi di specializzazione in Psico-Terapia della Gestalt, "LA BULIMIA NERVOSA: LETTURA FENOMENOLOGICA E PROCESSO DIAGNOSTICO. UN CONTRIBUTO NELL'OTTICA DELLA PSICOTERAPIA DELLA GESTALT", specializzanda dr.ssa Chiara Covri, relatore dr.ssa Manuela Partinico