Di fronte all’aggravarsi della situazione in Medio Oriente, Papa Benedetto XVI ha indetto una Giornata di preghiera e penitenza per domenica 23 luglio.
Forse qualcuno, anziché l’invito alla preghiera, avrebbe preferito parole di condanna drastica, casomai a senso unico.
Riascoltiamo il suo appello di domenica scorsa da Les Combes dopo l’Angelus: “Cari amici, in questi ultimi giorni le notizie dalla Terra Santa sono per tutti motivo di nuove gravi preoccupazioni, in particolare per l'estendersi di azioni belliche anche in Libano, e per le numerose vittime tra la popolazione civile. All'origine di tali spietate contrapposizioni vi sono purtroppo oggettive situazioni di violazione del diritto e della giustizia. Ma né gli atti terroristici né le rappresaglie, soprattutto quando vi sono tragiche conseguenze per la popolazione civile, possono giustificarsi. Su simili strade - come l'amara esperienza dimostra - non si arriva a risultati positivi”.
E subito il Papa ha invocato “Maria, Regina della Pace, perché impetri da Dio il fondamentale dono della concordia, riportando i responsabili politici sulla via della ragione ed aprendo nuove possibilità di dialogo e di intesa. In questa prospettiva invito – ha concluso il Papa - le Chiese locali ad elevare speciali preghiere per la pace in Terra Santa ed in tutto il Medio Oriente”.
La preghiera nasce dalla consapevolezza che non bastano le pur necessarie prese di posizione, soprattutto in una controversia così complessa e pericolosa.
Di qui l’invito a una Giornata di preghiera e di penitenza. Pregare è rivolgersi ad un Dio che ti interpella nei tuoi sentimenti più veri, nelle tue relazioni con gli altri, anche nei tuoi limiti e paure. È reagire al fatalismo e al determinismo del vivere. È combattere la rassegnazione e il cinismo secondo cui, se si va avanti così, la convivenza tra i popoli è impossibile. La preghiera ricorda a tutti che siamo giudicati dall’alto. Non è vero che la preghiera divide: oggi, venerdì, pregano i musulmani; domani, sabato, gli ebrei; domenica i cristiani, se la preghiera arriva direttamente a Dio. Sì Dio, quello reale, che esiste oltre tutti i suoi nomi, e chi altro ci ascolta mai?
L’appello del Papa a pregare per la pace parte da qui, dalla vera immagine di Dio che interpella l’uomo, i popoli e le nazioni. Benedetto XVI manda così, non a caso, un segnale preciso alle nostre comunità cristiane, alle organizzazioni caritative, e anche agli uomini con responsabilità politiche per la giustizia e la pace. Non c’è contrapposizione tra giustizia e carità, tra politica e preghiera.
Pregare non è starsene tranquilli in vacanza, ciascuno nella propria beata solitudine, magari con la coscienza di chi pensa che “se tutti fossero come me, il mondo girerebbe meglio”. Pregare è essere vivi, moralmente vigili, anche predisporsi alla azione concreta in un orizzonte politico. E farlo insieme, domenica 23 luglio, in un’azione corale, dando voce a chi più di ogni altro, di guerra, prima che di fame, soffre e muore. Insieme con il Papa Benedetto, il cui nome Egli ha scelto dal primo giorno proprio come nome e dono di pace.