Ha combattuto contro l’assolutismo stalinista del regime sovietico, ed ora si trova a testimoniare un irrigidimento negativo della democrazia in Russia. Andrey Mironov è stato incarcerato, come prigioniero politico, agli sgoccioli degli anni '80, quando Gorbaciov avviava la perestroika e fondava le basi della fine della dittatura comunista. Nonostante le apparenze, Andrey Mironov sostiene che nulla sia cambiato a Mosca, anzi, la situazione è andata peggiorando nel corso del tempo, sino a Putin.
Giornalista, producer, ma soprattutto volontario dell’organizzazione per i diritti umani Memorial, nata in memoria delle vittime di Stalin, Andrey Mironov si è dedicato in particolare alla situazione della Cecenia. Ha parlato a Reggio Emilia il 3 giugno, nel corso dell’inaugurazione della mostra sul Caucaso del fotoreporter milanese Livio Senigalliesi. La mostra sta per fare tappa a Scandiano e presto arriverà anche in montagna, sempre organizzata all’interno dell’iniziativa “A scuola di pace – Economie arcobaleno contro la guerra” dalla rete Lilliput di Reggio Emilia.
La sua riflessione parte dalla constatazione che la mentalità politica in Russia si sia fermata in un passato molto remoto. “Chi l’ha detto che la Russia sia nel 2006? – si chiede – Da molti punti di vista si registra un’arretratezza democratica, anche a causa della scarsità del dibattito e della mancanza di impegno e sensibilità attiva della società civile, e un costante sviluppo della verticalità del potere”. Per Andrey Mironov, l’establishment russo è nelle mani dei dirigenti di quella che era la polizia segreta del regime, il Kgb, tra cui, su tutti, il presidente Vladimir Putin. In questo ambito, l’analisi della guerra cecena e della polveriera caucasica assume sfumature inattese. “La guerra serve al potere, come se si verificasse un calcolato terrorismo di stato – commenta Mironov – per contrastare la democrazia e declinarla secondo un modello verticistico, che lede i diritti di rappresentanza dei cittadini”.
All’interno di questo contesto, si staglia la tragedia e la deriva umanitaria della Cecenia, che Andrey Mironov racconta nei minimi dettagli. Il piccolo territorio caucasico venne conquistato per la prima volta nel 1860. I ceceni vennero sterminati e deportati in Siberia su ordine dello zar. L’esercito che li condannò si calcolava fosse ben maggiore di quello che aveva sconfitto Napoleone cinquant’anni prima. Nella volontà del popolo ceceno è sempre rimasto acceso il desiderio di indipendenza. Andrey Mironov ricorda come lo stato del conflitto russo-ceceno assomigli a quello tra Francia e Algeria, risolto con l’allontanamento dei francesi dal Nord Africa dopo un epilogo bellico, e come non sempre nella storia si sia arrivati all’uso delle armi per raggiungere un accordo, come nel caso dell’invasione e del ritiro svedese dalla Norvegia.
E intanto le violenze imperversano. I morti non sono quantificabili, mentre Grozny, a quanto si registra, ha subito bombardamenti che per portata e potenza sono equiparabili alla deflagrazione atomica di Hiroshima: ma la capitale cecena appare molto più distrutta. “Per uscire da una simile impasse – precisa Mironov – bisogna considerare come si esce da un conflitto di stampo coloniale: con la decolonizzazione”. Nel tentativo di trovare una mediazione diplomatica tra le ali moderate della Duma, il Parlamento russo, e i rappresentati in esilio dell’indipendentismo ceceno, Andrey Mironov ha predisposto tempo fa un incontro in Germania, ma non tutto è andato secondo i piani: avvelenato, si è salvato dopo una degenza in ospedale, mentre un deputato russo di un partito all’opposizione è rimasto ucciso. “Nulla è cambiato”.
L’esercito russo, per Mironov, dovrebbe andarsene, ma sembra una soluzione che non si prospetta all’orizzonte. “Per questo è necessario e urgente l’intervento della comunità internazionale – si augura Mironov – prima che la crisi si acuisca ulteriormente e tracimi oltre confine, come è successo per l’Afghanistan con Bin Laden: la lotta al terrorismo è una contraddizione in termini, poiché il terrorismo è il risultato prodotto dalla guerra”. “La Cecenia – conclude – non rappresenta quindi un problema esclusivamente interno alla Russia, ma ha una sua influenza a livello internazionale”.