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Queen – QUEEN II

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Tracklist:

(lato BIANCO)
1 – Procession (May)
2 – Father To Son (May)
3 – White Queen (As It Began) (May)
4 – Some Day One Day (May)
5 – The Loser In The End (Taylor)
(lato NERO)
6 – Ogre Battle (Mercury)
7 – The Fairy Feller’s Master-Stroke (Mercury)
8 – Nevermore (Mercury)
9 – The March Of The Black Queen (Mercury)
10 – Funny How Love Is (Mercury)
11 – Seven Seas Of Rhye (Mercury)

In rosso sono indicati i brani già ascoltati durante puntate di WAH WAH.

Vi ha suonato:
FREDDIE MERCURY – Voce, piano, harpsichord
BRIAN MAY – Chitarre, voci, campane
JOHN DEACON – Basso, chitarra acustica
ROGER MEDDOWS-TAYLOR – Percussioni, voci.
Prodotto da ROY THOMAS BAKER e i QUEEN, tranne Nevermore e Funny how love is prodotte da ROBIN G. CABLE e i QUEEN.
Editore: Feldman & Co. Ltd.

La storia ci ha insegnato che il gruppo di Brian May e Freddie Mercury ha sempre dato i risultati migliori quando era il momento di confermarsi o competere. L’esempio più magnifico di genio e sregolatezza da rodeo e orgoglio altezzoso è il secondo album dei Queen, QUEEN II. Le registrazioni iniziarono subito dopo l’uscita del primo disco, nell’agosto 1973, partendo da idee maturate durante le incisioni, se non addirittura da frammenti scartati. La frustrazione dei Queen per non sentire rappresentativo e attuale il loro debutto (definito dalla stampa proto-metal e muzak da supermercato), alimenta in loro l’egocentrico bisogno di rivalsa e di confermarsi stilisti-guida del movimento art e glam, posizione che sentono loro di diritto. Questo è il disco della loro ambizione, della conferma a rockstar di primo piano in Gran Bretagna, dove QUEEN II raggiungerà il 5# posto in classifica e verrà estratto il loro primo singolo da top ten, Seven Seas Of Rhye. Sono forse i Queen più distanti dal periodo commerciale degli anni ’80, e per questo sono proprio oggi da riscoprire e apprezzare. Inserire QUEEN II nella Guida Agli Acquisti di WAH WAH è il mio tributo al disco più fantasioso, enigmatico e imprevedibile della band inglese. Le varie anime di un gruppo in ascesa, fatto di giovani uomini ambiziosi e maledettamente sicuri di sé, trovano l’Eden in questo meraviglioso concept tra bianco e nero, luce e tenebra, sentimento e potenza devastatrice. La foto di copertina di Mick Rock (idea ripresa successivamente per il video di Bohemian Rhapsody e ispirata a una leggendaria foto dell’attrice Marlene Dietrich) ci dona bene l’essenza di un disco anni luce dal suo predecessore e primo serio traguardo di una band imprescindibile per il rock inglese. I Queen affineranno ulteriormente il loro sound negli anni a venire, ma QUEEN II rimane una importante prova di grandiosità e classicismo melodrammatico in ambito rock, come questi Queen degli inizi hanno così bene incarnato.
Come già accennato il disco è diviso in un lato bianco e uno nero. Il primo è firmato da Brian May con canzoni positive, emotive, che bene detteranno i canoni del futuro white metal. Il secondo è il vero “salto nel buio”, un eccentrico e indecifrabile set a firma Freddie Mercury, dove si passa con libertà dall’hard rock più contorto a tenui ballads sconsolate.
Procession apre il lato A. Un breve instrumentale dall’incedere solenne, dove due chitarre effettate ci nobilitano le casse dello stereo, una a sinistra e una a destra, sorrette da un ritmo cardiaco. L’ultima nota lascia l’intermittenza che introduce Father To Son, tra le più belle canzoni dei Queen, forse per i più finita nel dimenticatoio causa una struttura coraggiosa ed elaborata, dove le varie chitarre presenti passano da arpeggi intrecciati a penetranti fendenti heavy. Il lavoro di batteria di Taylor è preciso e incalzante. A 1 minuto e 43 inizia la stupenda parte centrale che confluisce in uno dei più convincenti momenti hard del classic rock. Ma la canzone continua a impressionare fino alla fine con la coda corale dove un feedback in crescendo costruisce un atmosfera da giardini regali al chiaro di luna, col pensiero all’amata del caso, una triste ed eterea Regina Bianca. Questa White Queen (As It Began) è un brano decisivo, almeno fino al 1976 nella scaletta dei concerti, e abbiamo avuto modo di ascoltarlo nella prima puntata di WAH WAH. Il racconto fantasy del testo si snoda su di una spessa trama chitarristica connotata da interventi di octaver e di uno splendido sitar, fino all’epicità dell’assolo a 3:27, con più chitarre ben amministrate in multitraccia (la specialità di Brian May). Il missaggio è il migliore del disco, tanto di cappello a Roy Thomas Baker. Some Day One Day è la prima canzone cantata da Brian May su un album dei Queen e si distingue per solare emotività e una certa ricercatezza nell’impianto melodico. Ancora tante chitarre sovraincise e bei tocchi di basso ad opera del certosino John Deacon. La traccia seguente, The Loser In The End, chiude il primo lato (bianco), un fantastico steady rock di Roger Taylor che come consuetudine assume anche il ruolo di voce solista. Forse il migliore intro dell’album, con il serrato ritmo di batteria e i rintocchi di campane (di Brian May), per un brano che tra le sferzate hard blues della chitarra ci ricorda il ruolo importante delle madri per i figli, tema originalissimo nel rock (“Trattala male e la perderai come amica, lei è la mamma su cui potrai sempre contare”). Per Roger negli anni 70 questa canzone è inferiore solo a I’m In Love With My Car.
Il lato nero si apre deciso con il capolavoro hard rock Ogre Battle. Già il primo minuto è da brividi con chitarroni pachidermici e cori manipolati, il tutto per buttarci sul campo di battaglia di una violentissima guerra tra orchi (tema di chiara derivazione Tolkien). “Emette un grido potentissimo, può inghiottire tutto l’oceano…la mano di grandezza incommensurabile, un solo enorme occhio a fuoco nella tua direzione, la battaglia è iniziata, vieni stanotte, vieni al cospetto dell’Orco…”.
The Fairy-Feller’s Master-Stroke è puro progressive d’alta classe, descrizione dell’omonimo quadro del pittore Richard Dadd, esposto alla Tate Gallery. Freddie è alle prese con un harpsichord, antenato del pianoforte dal suono pungente e metallico; ma tutto il gruppo dà sfoggio di una certa tecnica (vedi John Deacon, specialmente da 2:10). Nel finale si raggiunge il climax e si atterra con dolcezza sulla ballata per il solo pianoforte, Nevermore. Vera gemma preziosa del disco, questa va goduta nota per nota nel suo minuto e 18 secondi (si colga qualche analogia con Guide Me Home, dall’album di Freddie con Montserrat Caballè del 1988, BARCELONA).
Manifesto e summa del lato nero, la traccia 09 è The March Of The Black Queen, un apocalittico ensemble dei mille stili della band. La canzone può apparire al primo ascolto assolutamente priva di senso e quando è stato chiesto a Freddie un parere a riguardo, rispose maliziosamente: “Ogni ascoltatore può dargli il significato che ritiene più opportuno.” L’inizio è un riff pianistico “a morto” che riecheggia campale seguito da domande misteriose. Dopo una strofa a dir poco eccentrica arriva il ritornello: “Ecco la Regina Nera, che fruga nel mucchio, attenti alla Regina Nera, marciate in fila indiana”. Poi la batteria tiene il ritmo della marcia e il testo si contorce ulteriormente: “Sbattili in cantina con i ragazzi cattivi…nero sulle unghie delle mani e dei piedi, siamo solo all’inizio…”. Il pandemonio cresce, arriva al suo culmine e a 3:00 si interrompe bruscamente in una sezione per piano e cori più conciliativa e quasi crepuscolo di bontà e redenzione, dove un Freddie androgino muta da demone in angelo e messaggero (da cui il riferimento al suo cognome d’arte Mercury, il messaggero delle antiche divinità greche). Un ulteriore bizzarro passaggio corale-strumentale a lanciare l’atto solista hard rock della Regina Nera (“Regno con la mano sinistra, domino con la destra, sono la Signora dell’Oscurità, sono la Regina della Notte, ho il Potere, adesso fate la marcia della Regina Nera…”). A 5:30 raggiungiamo la pace strumentale che verrà meglio ridefinita da Bohemian Rhapsody e la coda finale fa sbocciare la canzone seguente, Funny How Love Is, brano atipico e autonomo rispetto al resto di QUEEN II. Il suono è anch’esso distante dai brani precedente (prodotto non da Baker ma da Robin G.Cable) e lo stile old-fashioned ricorda il loro provino del 1972 con lo pseudonimo Larry Laurex, sempre con Cable. L’ultima e undicesima canzone del disco è Seven Seas Of Rhye, forse unica canzone veramente famosa del disco e singolo del 5 Marzo 1974. La musica è la versione estesa dell’epilogo di QUEEN (il primo album); il testo è l’ennesimo indecifrabile racconto fantasy. Inusuale la chiusura con un coro a intonare una canzone da comitiva in spiaggia.