Home Cronaca C’è posta per don Pier Luigi Ghirelli

C’è posta per don Pier Luigi Ghirelli

63
2

Camillo Prampolini e il suo "socialismo cristiano" (o “cristianesimo socialista”) al centro di una disputa tra sacerdoti. Sull’ultimo numero del sempre più seguito bollettino parrocchiale del crinale “Oltre la Sparavalle” viene pubblicata una lettera di don Augusto Gambarelli, nativo di Collagna, archivista della curia.

“Vi leggo sempre volentieri – scrive – perché mi portate notizie dei miei luoghi natali. Talvolta non condivido il taglio che date a certi articoli, soprattutto quelli di carattere politico e sociale, ma devo dire che quello che avete dedicato a Camillo Prampolini e alla sua ‘predica di Natale’ l’ho trovato veramente eccessivo”. Così l’incipit della missiva, che poi prosegue: “Prampolini fu senza dubbio uno dei peggiori nemici che la nostra Chiesa reggiana abbia incontrato sul suo cammino plurisecolare. Marxista, con la sua instancabile propaganda (in montagna dal suo luogo di villeggiatura, Felina) distrusse la fede cattolica di mezza provincia, svuotandola del suo autentico significato”. “E’ da lui e dai suoi discepoli – dice ancora don Gambarelli – che comincia quel distacco dalla nostra fede, che dura tutt’oggi”. Sulla giustizia sociale: “Si riduce Gesù a un sindacalista, mentre invece Egli è venuto per lottare contro il peccato e suo nemico è il diavolo e non i padroni”.
“Parlare di queste cose è giusto e ognuno è libero di darne il giudizio che vuole, ma che un giornalino vicariale dia di Prampolini e della sua opera un giudizio positivo, questo è il colmo”.

Ma a don Gambarelli non va giù neppure che l’organo delle parrocchie d’alta montagna abbia dato conto, a suo tempo, dei risultati delle primarie del centrosinistra: “Non è stata una manifestazione di parte? E allora perché darle importanza sul giornalino di tutti i cattolici?”. Chiusa: “Pur nella divergenza di opinioni, restiamo fratelli”.

Palla a parroco di Cervarezza, don Pier Luigi Ghirelli, che risponde diffusamente. Inizia ricordando come “tutto ciò che avviene sul territorio è importante, senza la pretesa che sia targato ‘cattolico’”. E quindi – non detto ma implicito – anche il resoconto delle primarie.

“La ‘predica di Natale’ è stata riportata nella rubrica della storia: è un testo interessante di un determinato periodo storico. Parecchie persone, credenti, anche non giovani, l’hanno letta e apprezzata e non hanno perso la fede. E’ un testo stimolante perché oggi stiamo scivolando verso una nuova concentrazione della ricchezza che lascia tanti in difficoltà”, scrive don Pier Luigi.
E aggiunge: “Prampolini è ateo e combatte la chiesa, ma è uomo con tanta ‘sete e fame di giustizia’, educatore di una generazione che ha nell’’onestà’ il senso della vita. Non sempre e non tutti i cristiani hanno una tale ‘fame e sete’, ma fanno i ‘furboni’ (…) Prampolini è morto solo e povero, merita un po’ di compassione”.

Sempre circa il fatto che il socialista reggiano abbia tolto la fede a tanti, così argomenta ancora don Ghirelli: “A Felina, nel 1915, il parroco mise sulla strada una famiglia di donne e bambini; gli uomini erano tutti al fronte. La carità di don Anastasio Corsi e di don Artemio Zanni, dal 1922 al 1990, non è stata sufficiente per cancellare l’episodio, ancora vivo nella memoria e nei racconti. Più delle prediche e dei libri è la vita delle persone che fa fiorire o morire la fede”.

Parole nette e taglienti: “Che poi a Gesù non importasse tanto la giustizia… è grossa! Diciamo che ti è scappata. Qui neanche il buon Ratzinger ti può sostenere”. E ancora: “Il catechismo chiaro e lineare che esponi mi ha ricordato la catechesi dei vecchi missionari in Brasile rivolta agli schiavi neri: ‘Fortunati voi che ora soffrite, ma poi avrete il Paradiso!'”.

Termina così la lettera al confratello il parroco di Cervarezza: “Anche da un nemico si può imparare qualcosa. Mi auguro che tu possa avere in positivo per la fede, nelle tue meritate vacanze, l’entusiasmo missionario che Prampolini aveva in negativo nella villeggiatura di Felina”.

2 COMMENTS

  1. Bene il pluralismo politico del clero
    Va apprezzato il fatto che anche nel clero esiste pluralismo politico e sociale. Conosco entrambi i sacerdoti e di entrambi apprezzo le qualità. Don Gambarelli ha posto un problema vero? Io credo di sì. E’ giunto il momento anche in montagna di capire il ruolo della Chiesa reggiana apparentemente schierata con la gente del luogo e con i problemi e le emergenze locali, ma nel contempo troppo lealista nei confronti del potere politico e istituzionale locale.
    Ritengo inoltre completamente fuori luogo i riferimenti costanti alla situazione dei paesi poveri del mondo fatta da alcuni sacerdoti se poi non si dà sostanza ad una azione vera per far sì che la nostra montagna, che vive del reddito da pensionati, continui a vivere ed aver una prospettiva di sviluppo.
    Piaccia o no le cose si risolvono iniziando a passare dalle parole ai fatti e a rivendicare anche con l’uso del pulpito domenicale alle istituzioni locali e nazionali la soluzione delle eemrgenze e criticità locali.
    Detto ciò forse merita una citazione anche Camillo Prampolini che, ne sono certo, mai e poi mai avrebbe accettato, da laico e socialista, che la montagna reggiana crollasse su se stessa.

    (Marino Friggeri, capogruppo Udc Comunità montana)

  2. Prampolini: cooperazione, non lotta di classe
    Si studia così poco e così male la storia recente che c’è solo da ringraziare chi ne ripropone i documenti, com’è nel caso del bollettino “Oltre la Sparavalle”.

    Non entro nel merito della discussione sulla figura di Prampolini come nemico della religione: sono convinta che, più che l’ateismo, ad uccidere Dio, a mettere in croce Cristo, ad allontanare la gente dalla Chiesa sia l’idolatria. Compresa quella del mercato. E che oggi, forse, Marx metterebbe non la religione, come oppio dei popoli, ma la televisione. Se c’è un errore in Prampolini, a mio avviso, è quello di pensare che basti risollevare la gente dalla miseria per renderla “buona”. Non è così, e il mondo odierno, il nostro relativo benessere condito di ingiustizie, indifferenza, neorazzismo, individualismo lo confermano.

    Mi pare, però, che Prampolini avesse rigettato l’odio di classe sul piano ideologico e che, più che una lotta di classe, predicasse la collettivizzazione. Le cooperative, insomma.

    Il 27 giugno 1885 Camillo Prampolini inviava al commendatore Ulderico Levi, esponente di rilievo degli ambienti moderati dominanti nella città di Reggio Emilia, una lettera. La lettera conteneva l’apprezzamento rivolto allo stesso Levi per avere fatto progettare e realizzare, per poi donarlo alla Città, il nuovo acquedotto. Ma è soprattutto significativo il passaggio in cui Prampolini si dice “convinto che la cooperazione sia l’unica via per la quale, se le classi dirigenti lo volessero, si potrebbe giungere pacificamente alla soluzione del problema economico della nostra epoca. Convinto che da nessuna parte, in nessun modo potrebbero venire al mio paese natio tanti benefici materiali e morali quanti può dargliene la cooperazione; convinto infine che, qualora noi potessimo riuscire ad attuare qui in Reggio il ‘programma cooperativista’ la nostra città, il nostro Comune sarebbero citati ad esempio non in Italia soltanto, ma in tutto il mondo, più assai che non lo sia ora la famosa Rochdale, per questo io vorrei, io sogno che Ella pure possa innamorarsi di questo nostro ideale”.

    Camillo Prampolini è stato il paladino del socialismo e della cooperazione, nella prima metà degli anni Ottanta del 1800. La visione che Prampolini ha della cooperazione è all’interno di un più ampio orizzonte del socialismo riformista reggiano del quale erano parte integrante, oltre alle sezioni e ai circoli politici socialisti, il movimento cooperativo, quello delle leghe di resistenza, tutti collegati alla Camera del Lavoro reggiana, coadiuvati dall’azione di propaganda della stampa “rossa”, ma soprattutto dal cosiddetto municipalismo socialista e dall’azione parlamentare in un circuito virtuoso che si era posto l’obiettivo generale dell’innalzamento economico e morale delle plebi.

    Dopo il tentativo di scalata alle banche dell’Unipol ci si dovrebbe chiedere, a sinistra come a destra, cosa penserebbe Prampolini di tutto ciò.
    A più di un secolo di distanza si può e si deve riproporre l’interrogativo se le cooperative hanno ancora un senso.
    O forse, a causa della globalizzazione, ci sarà sempre più bisogno dell’impresa cooperativa? È l’antico “sogno” di libertà dal bisogno e di giustizia sociale che riappare? O si ripropone in termini attuali l’elogio dell’impresa cooperativa quale “elogio della diversità” rispetto all’omologazione della globalizzazione liberista?

    Grazie al bollettino del vicariato del crinale, quindi, per essere non soltanto un elenco di attività parrocchiali letto solo dagli “addetti ai lavori”, ma un bel periodico, ricco e arricchente. In un periodo in cui nessuno legge (il numero di quotidiani venduti è lo stesso del primo dopoguerra) e in cui l’unica informazione in giro sembra limitata al pettegolezzo sulle star televisive, c’è solo da ringraziare chi ci dà possibilità alternative al nulla. Perchè “l’ignoranza fa paura ed il silenzio è uguale a morte”.
    Grazie “Oltre la Sparavalle” e continuate così!

    (Normanna Albertini)