Ultima novità nella collana “Scuolafacendo”, per i tipi Carocci: “Con gli occhi dei bambini. Come affrontare stereotipi e pregiudizi a scuola” (p. 128, euro 10), di Adriana Di Rienzo e Federico Zannoni.
Cina e cinesi, Africa e africani, zingari. Con quali occhi i bambini osservano le persone che vengono da lontano? Come immaginano i loro paesi? Ma, anche, in che modo i bambini stranieri guardano l’Italia e gli italiani?
Sono questi gli interrogativi di fondo che hanno dato il via alla ricerca che sta alla base del libro.
Se è vero che l’attuale società della multiculturalità è anche la società del pregiudizio, risulta quantomeno improduttivo continuare a parlarne in astratto. Al contrario, stereotipi e pregiudizi assumono forme e identità precise, già a partire dai bambini. Tutti noi abbiamo stereotipi, così come tutti noi abbiamo conoscenze, e molto spesso risulta assai labile il confine tra le due dimensioni.
Stereotipate possono anche essere le interpretazioni che tendenzialmente affibbiamo al pensiero infantile. Veramente per i bambini tutti i cinesi hanno la pelle gialla? Veramente ritengono che gli zingari siano abili chiromanti, o che chi abita in Africa non potrà mai essere ricco?
Quali possibilità per uno sguardo interculturale lasciano aperte i nostri bambini?
Non c’è studioso che tenga, queste risposte possono darcele solo i diretti interessati: i bambini. Adriana Di Rienzo e Federico Zannoni hanno così pensato di rivolgersi direttamente a loro, coinvolgendoli in discussioni in piccolo gruppo. Discutendo in modo spesso animato, commentando immagini, barzellette e modi di dire, alcune decine di bambini provenienti da Paesi diversi, ma frequentanti le scuole della provincia di Reggio Emilia, hanno dato forma al loro modo di pensare, vivere e immaginare il mondo. Sono venuti a galla stereotipi e piccole verità, fantasie e competenze, retaggi del passato e nuove prospettive. Tutto questo grazie al dialogo, vero e proprio strumento di indagine e di educazione all’interculturalità.
Nel libro vengono riportati i momenti più significativi tra le oltre 20 ore di discussioni registrate, accompagnati da riflessioni di tipo socio-psico-educativo, da puntualizzazioni storiche e d’attualità, da suggestioni letterarie. Sulla base di questi, vengono proposte alcune attività di educazione all’interculturalità volte ad affrontare in modo efficace e scientificamente fondato gli stereotipi e i pregiudizi razziali. Si tratta di attività ludiche e divertenti, ma nello stesso tempo con obiettivi che puntano alla complessità esistenziale degli individui coinvolti, adatte e riadattabili per alunni della scuola materna, della scuola primaria e delle medie inferiori, nonché per gruppi educativi extrascolastici.
Questo di Adriana Di Rienzo e Federico Zannoni è un libro che parla agli adulti, soprattutto se sono insegnanti, educatori o psicologi, ma lo fa concedendo voce a coloro che per primi possono essere i promotori di un mondo più colorato, tollerante, contaminato. Un mondo che gli adulti possono immaginare e contribuire a realizzare, purché si pongano per una volta soltanto “con gli occhi dei bambini”.
L’ho letto in un fiato
Bravo, bravissimo Federico! Ho letto il libro d’un fiato e ho ritrovato la freschezza e l’entusiasmo di quel giovane studente che svolgeva il tirocinio nella mia classe, nel tempo pieno della scuola elementare della Pieve, a Castelnovo ne’ Monti. Un maestro maschio? I bambini erano affascinati da Federico, soprattutto lo era l’unico straniero, marocchino, che sgranava i suoi occhioni soddisfatto di avere, finalmente, una figura maschile in mezzo a tante maestre. E ho ritrovato la serietà, la competenza e l’intuito di Federico nel capire le situazioni e le persone.
Quindi complimenti: un libro da leggere, consigliato a tutti, non soltanto a chi opera nella scuola.
(Normanna Albertini)
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Per quanto riguarda gli stereotipi, riporto, qui sotto, i dati della Caritas sui “nostri” stereotipi nei confronti degli stranieri.
@C“Secondo la stima del Dossier Statistico Immigrazione di Caritas/Migrantes, i minori stranieri presenti in Italia all’inizio del 2005 sono 491.000.
Tra questi, figurano:
– 29.000 nuovi ingressi di minori per motivi familiari;
– e altri 48.000 bambini stranieri nuovi nati in Italia.
I minori stranieri rappresentano il 17,6% della popolazione straniera complessiva. Si tratta di un’incidenza superiore di due punti percentuali rispetto a quella (15,6%) ottenuta, attraverso stime analoghe, per il 2003, quando si era calcolato che i minori stranieri fossero circa
404.000.
Tutte le regioni del Nord ovest (ad eccezione della Liguria) e tutte quelle del Nord est (ad
eccezione del Friuli Venezia Giulia) presentano incidenze superiori alla media nazionale:
– quasi sempre intorno al 19%,
– con punte del 22% in Veneto
– e di quasi il 20% in Emilia Romagna).
Nel Centro Italia:
– appartiene alla regione Lazio uno dei valori più bassi d’Italia (10,6%, cioè è minorenne appena un immigrato su 10);
– mentre sono elevati i valori delle Marche (oltre il 21%, secondo valore più elevato in
Italia dopo il Veneto);
– se si escludono l’Abruzzo, la Puglia e la Sicilia, tutti i contesti regionali del Meridione
presentano quote inferiori alla media nazionale.
Proprio a partire dai dati presentati in questo rapporto “Uscire dall’invisibilità: bambini e
adolescenti di origine straniera in Italia” cerchiamo di sfatare alcuni luoghi comuni, alcuni
stereotipi, nell’ottica dell’individuazione di interventi culturali, relazionali, legislativi ed educativi appropriati e innovativi in ambito ecclesiale e civile, che considerino l’infanzia
straniera e italiana in modo costante, integrato e organico.
1° stereotipo: I bambini stranieri non “nascono già malati” e non costituiscono un pericolo per la salute dei bambini italiani; il rischio di contrarre dopo la nascita “malattie causate da
situazioni di povertà” è comunque più elevato rispetto ai coetanei italiani.
Dai dati disponibili, si rileva una condizione di salute alla nascita poco negativa rispetto a
quella degli italiani. Non sembra più rilevabile il forte gap di salute alla nascita, registrabile
fino a pochi anni fa. Da studi condotti in 33 punti nascita di 25 città italiane si apprende che:
– i nati pretermine (prima della 37ma settimana di gravidanza) sono stati il 14,8% dei neonati extracomunitari e l’11,9% degli italiani;
– la percentuale di bambini con basso peso alla nascita è stata del 9,7% tra i neonati extracomunitari e del 6,8% tra gli italiani;
– i tassi di natimortalità (nati morti) e di mortalità neonatale precoce (immediatamente dopo il parto) sono risultati più elevati tra i figli degli extracomunitari:
– il 3,7 nati morti per 1.000 neonati da genitori extracomunitari rispetto al 2,7
tra i neonati da genitori italiani
– e il 7,9 bambini morti nella prima settimana di vita per 1.000 nati vivi tra i neonati extracomunitari e l’1,9 tra gli italiani.
Sembra quindi permanere una situazione differenziata di salute alla nascita, anche se con
valori più bassi rispetto a quelli del passato. Tuttavia, alcuni studi locali evidenziano ancora la presenza di difficoltà nei mesi successivi alla nascita, legate a:
– condizioni di vita difficile;
– scarsa esposizione ai raggi solari;
– allattamento da mamme, a loro volta, poco esposte ai raggi solari.
2° stereotipo: Non è vero che i bambini stranieri non vanno dal pediatra di base perché
“sono tutti irregolari” ma perché “pagano” le abitudini culturali della famiglia di origine.
Per quanto riguarda l’assistenza sanitaria, i bambini stranieri non frequentano in modo
soddisfacente il pediatra di libera scelta. Secondo i dati Ismu (Istituto per gli Studi sulla
Multietnicità di Milano):
– solo il 41% degli immigrati regolari con figli al seguito si rivolge al pediatra di base;
– nel caso degli immigrati irregolari la percentuale di fruizione si abbassa all’1,1% nel
caso dei padri e al 9,7% nel caso delle madri intervistate;
– il valore medio di fruizione per ambo i sessi è pari al 5,6%.
A questo riguardo, i bambini stranieri pagano le abitudini culturali dei genitori:
– molti immigrati sono abituati a rivolgersi ai servizi sanitari solo in caso di emergenza e
non conoscono il concetto di prevenzione sanitaria;
– per molte culture, non ha senso recarsi dal medico se non si accusano sintomi particolari;
– mentre nel nostro paese è diffuso e interiorizzato il concetto di medicina preventiva,
che può spingere un soggetto a rivolgersi dal medico a tappe regolari, per controllare
periodicamente il proprio stato di salute.
3° stereotipo: Non è vero che le “corsie agevolate” di accesso hanno determinato un afflusso privilegiato di bambini stranieri agli asili-nido comunali e statali: la lista di attesa, la
rigidità degli orari, le modalità di iscrizione e le difficoltà lavorative e burocratiche di molte
famiglie straniere determinano comunque difficoltà nell’iscrizione all’asilo-nido, con tutti i problemi di accudimento facilmente immaginabili.
Il trattamento riservato alle seconde generazioni di immigrati dipende da diversi fattori, tra
cui:
– le consuetudini educative della cultura di provenienza;
– i progetti migratori delle famiglie;
– la qualità dell’offerta di servizi locali di accudimento e assistenza alla donna e alla
prima infanzia, ecc.
Purtroppo il sistema statistico nazionale non è in grado di documentare il ricorso agli asili nido e ad altre strutture di accudimento, in quanto la grande maggioranza di tali servizi
dipende dagli enti locali e sono inscritte all’interno di capitoli e voci di spesa più complessive.
Per molte famiglie straniere, i problemi di accudimento nella fascia di età tra 0-3 anni, difficili da affrontare per gli stessi italiani, sono spesso insormontabili:
– molti immigrati vivono in quartieri periferici, privi di servizi educativi e di trasporto
pubblico e, non disponendo di un mezzo di trasporto proprio, hanno difficoltà ad accompagnare i bambini;
– non c’è la rete familiare del paese di origine e gli episodi di solidarietà tra famiglie italiane e straniere sono ancora sporadici e ostacolati da elementi psicologici, culturali, economici, ecc.;
– inoltre, il lavoro domestico di molte donne straniere non si concilia con le esigenze della maternità.
Anche dopo i tre anni, quando i problemi di accesso dovrebbero essere superati, non tutte le
famiglie straniere riescono a mandare i bambini alla scuola dell’infanzia. Tuttavia l’incidenza dei bambini stranieri nelle scuole dell’infanzia è passata dall’1,26% del 1997/98 al 4,58% del 2004/05 per una media finale di un bambino straniero ogni 22 bambini iscritti in scuole
dell’infanzia statali o paritarie che equivale ad un bambino straniero in ogni sezione di scuola dell’infanzia. Una tendenza in linea con quella degli altri ordini di scuola:
– si avvicina infatti a 400.000 il numero di alunni stranieri presenti nella nostra scuola;
– provengono da 187 paesi del mondo;
– e rappresentano una percentuale che supera il 4% della popolazione scolastica complessiva.
4° stereotipo: Le difficoltà di incontro e scambio tra famiglie italiane e straniere non sono
sempre riconducibili alla presenza di barriere culturali: in molti casi, la situazione di disagio economico della famiglie straniere ostacola la frequentazione. Come ricambiare un regalo ricevuto o una festa di compleanno in casa di un compagno di classe italiano quando si vive
in un monolocale seminterrato?
In base a studi condotti in sede locale, la maggioranza delle famiglie straniere cerca al proprio interno le risorse in grado di fronteggiare eventuali emergenze, ma lo scarso peso
delle relazioni interetniche e tra famiglie determina spesso l’incapacità di risolvere alcuni
problemi pratici e urgenti.
Scarso il ricorso all’affidamento familiare per i minori stranieri, che in Italia non è mai veramente decollato:
– i minorenni di nazionalità non italiana rappresentavano nel 2000 l’11% degli affidamenti eterofamiliari (cioè a non parenti);
– e soltanto il 2,2% degli affidamenti intrafamiliari (cioè a nuclei di parenti).
5° stereotipo: Non tutti i bambini stranieri che nascono in Italia ci rimangono. Per i ragazzi
stranieri, l’Italia non è così accogliente come si potrebbe pensare: in molti casi, le difficoltà di accudimento e di inserimento possono spingere le famiglie ad inviare il figlio nel paese di origine, e non sempre per motivi di incompatibilità culturale con la società italiana.
Le difficoltà possono spingere le famiglie:
– a rinviare il bambino nel paese di origine, dove viene accudito dai nonni o altri membri della comunità parentale;
– in altri casi ancora, il bambino può essere affidato in via informale ad una struttura
assistenziale, spesso di natura religiosa;
– oppure attraverso un provvedimento formale viene affidato dai servizi sociali ad
un’altra famiglia o ad una comunità di accoglienza a dimensione familiare.
6° stereotipo: Non è assodato che l’Italia conoscerà gli stessi fenomeni di devianza delle
seconde generazioni di immigrati registrabili in altri paesi europei (vedi recenti episodi di
violenza nelle banlieues francesi).
Allo stato attuale, non sembra siano presenti in Italia segnali di conflittualità e devianza delle
seconde generazioni di adolescenti stranieri, come invece è accaduto in altri paesi europei:
– è infatti raro che i protagonisti di atti devianti siano giovani di origine straniera nati in Italia e cresciuti nel nostro paese, mentre è molto più frequente il coinvolgimento di ragazzi non accompagnati e di minori vittime di traffico, tra cui in modo
particolare i minori di origine rumena, già ragazzi di strada in Romania, e che giungono in Italia evidenziando gravi segnali di disadattamento psicologico e sociale;
– l’irrilevanza della devianza delle seconde generazioni di immigrati è anche dovuta al particolare modello di insediamento delle famiglie straniere in Italia, che a differenza di quanto è accaduto in Francia o Germania, non ha privilegiato i grandi centri urbani e industriali, ma la piccola dimensione provinciale, dove l’inserimento lavorativo e la
qualità dell’integrazione sociale è ritenuta migliore dalle stesse famiglie straniere;
– la scarsa incidenza di devianza tra gli adolescenti stranieri che vivono in famiglia è anche riconducibile alla relativa novità della presenza di famiglie immigrate con minori al seguito e il conseguente sottodimensionamento della componente adolescenziale: al Censimento Istat del 2001 l’incidenza complessiva dei minori è risultata pari al 21,3% della popolazione straniera censita, dei quali solo il 12,8% ha un’età compresa tra 15 e 18 anni.
A livello di intervento pubblico nel settore della giustizia minorile:
– è segnalabile una diffusa tendenza alla riduzione della presa in carico dei minorenni
extracomunitari. Tale fenomeno è riconducibile ad una serie di difficoltà oggettive, tra cui l’assenza di abitazione, di una famiglia e di una rete di riferimento stabile nel territorio, che rendono difficoltosa l’impostazione di un programma partecipato di
reinserimento sociale del minore;
– vanno inoltre segnalate difficoltà nel rapporto con le autorità consolari e le ambasciate dei rispettivi paesi di origine;
– senza dimenticare che in molti casi si registrano tentativi di fuga e scarsa collaborazione dei ragazzi di fronte all’intervento degli assistenti sociali e delle
strutture della giustizia minorile.
Dalla parte dei bambini senza retorica
Finalmente un libro non retorico che parla di un tema così delicato e importante ascoltando le vere voci dei bambini, il futuro della nostra società. Un libro illuminante per qualsiasi insegnante che lavora nella scuola italiana, ormai interetnica. Una lettura dinamica, coinvolgente, mai scontata che ci insegna quanto i bambini ci possono stupire e insegnare.
Beatrice (insegnante)