Metti una sera a cena. È San Valentino, vi sentite veramente innamorati.
Afrodite veglia su di voi.
Siete due amanti felici:
Due amanti felici fanno un solo pane,
una sola goccia di luna nell'erba,
lascian camminando due ombre che s'uniscono,
lasciano un solo sole vuoto in un letto.
(...)
Due amanti felici non hanno fine né morte,
nascono e muoiono più volte vivendo,
hanno l'eternità della natura.
(Pablo Neruda)
Vi mettete a tavola, la candela è già accesa, l’orchestrina tzigana fa vibrare i violini. Se avete optato per qualcosa di più sobrio (in questo caso, vi risparmio il pianista dai lunghi capelli), facciamo che alla radio passano un classico, che ne so, la vocina di Jane Birkin che sussurra “Je t’aime...”. Sotto il portacandele trovate un messaggio. La carta è stropicciata:
Tutte le lettere d’amore sono
ridicole.
Non sarebbero lettere d’amore se non fossero
ridicole.
Anch’io ho scritto ai miei tempi lettere d’amore,
come le altre,
ridicole.
Le lettere d’amore, se c’è l’amore,
devono essere
ridicole.
Ma dopotutto
solo coloro che non hanno mai scritto
lettere d’amore
sono
ridicoli.
(Fernando Pessoa)
Sospirate. Sorridete guardandovi negli occhi. Trucco e gel presentano imperfezioni. La troppa cura spesso frega. Arriva il cameriere pinguino, camicia bianca e giacca nera, un buffo farfallino a pois. Non siamo nei murales del Bert tuttofare, e voi non siete Mary Poppins. Accontentatevi di un antipasto a base di ostriche e rucola: è afrodisiaco. Sarete indotti a complimenti che da tempo non pronunciavate, potreste sentirvi come Pablo Neruda, el macho latino dal sangue caliente:
Nuda sei semplice come una delle tue mani,
liscia, terrestre, minima, rotonda, trasparente,
hai linee di luna, strade di mela,
nuda sei sottile come il grano nudo.
Nuda sei azzurra come la notte a Cuba,
hai rampicanti e stelle nei tuoi capelli,
nuda sei enorme e gialla
come l'estate in una chiesa d'oro.
Nuda sei piccola come una delle tue unghie,
curva, sottile, rosea finché nasce il giorno
e t'addentri nel sotterraneo del mondo.
Coraggio, esagerate!
Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche,
tu rassomigli al mondo nel tuo atteggiamento d'abbandono.
(...)
Ma cade l'ora della vendetta, e ti amo.
Corpo di pelle, di muschio, di latte avido e fermo.
Ah le coppe del petto! Ah gli occhi dell'assenza!
Ah la rosa del pube! Ah la tua voce lenta e triste!
Corpo di donna mia, persisterò nella tua grazia.
La mia sete, la mia ansia senza limite, la mia strada indecisa!
A quanto pare, Neruda aveva davanti agli occhi donne bellissime, lui che era poeta e patriota, uomo di lettere e di fascino. Charles Bukowski ebbe una vita diversa, una poetica diversa, gusti diversi, ma non per questo meno raffinati:
Conosco una donna
che continua a comprare puzzle.
(...) ha i capelli bianchi
li pettina di rado
ha i denti storti
e indossa ampi copritutto
senza forme
su un corpo che molte
donne vorrebbero avere.
per anni mi ha irritato
con ciò che consideravo
le sue eccentricità -
come i gusci d'uovo a mollo
(per nutrire le piante
col calcio)
ma infine quando penso alla sua vita
e la paragono ad altre vite
più eccitanti, più belle
e originali
mi accorgo che lei ha ferito meno
gente di tutti quelli che conosco
(e per ferire intendo semplicemente ferire).
ha passato periodi tremendi,
(...) ma ne è uscita,
come ho detto
ha ferito meno gente di
tutti quelli che conosco,
e se guardi le cose così,
be',
ha creato un mondo migliore.
ha vinto.
Frances, è tua questa
poesia.
Non fossilizzatevi sull’apparenza, sul corpo, su quanto silicone ci vorrebbe nelle labbra e quanto sul seno. Prendetevi cura dell’anima, dichiarate il vostro amore invisibile. Questa poesia fa per voi, è un duetto tra grandi firme: la scrisse Saffo, la tradusse Ugo Foscolo.
More la voce, mentre ch'io ti miro,
su la mia lingua nelle fauci stretto
geme il sorriso.
Serpe la fiamma entro il mio sangue, ed ardo:
un indistinto tintinnio m'ingombra
gli orecchi, e sogno: mi s'innalza al gaurdo
torbida l'ombra.
E tutta molle d'un sudor di gelo,
e smorta in viso come erba che langue,
tremo e fremo di brividi, ed anelo
tacito, esangue.
E’ il momento del primo, garganelli al caviale o risotto allo zafferano. La candela fa poca luce, avete gli occhi stanchi. Vi versate da bere, vino rosso o acqua con gas, e cominciate a ricordare i tempi che furono. Il momento in cui vi siete incontrati. Sarà stato un colpo di fulmine, modello Pieraccioni quando incontra la mediterranea di turno, oppure indifferenza, addirittura odio, come Tom Hanks e Meg Ryan in “C’è posta per te”. Guido Cavalcanti benedice quell’attimo, lo racconta con tenerezza:
In un boschetto trova' pasturella
più che la stella - bella, al mi' parere.
Cavelli avea biondetti e ricciutelli,
e gli occhi pien' d'amor, cera rosata;
con sua verghetta pasturav' agnelli;
[di]scalza, di rugiada era bagnata;
cantava come fosse 'namorata:
er' adornata - di tutto piacere.
D'amor la saluta' imantenente
e domandai s'avesse compagnia;
ed ella mi rispose dolzemente
che sola sola per lo bosco gia,
e disse: "Sacci, quando l'augel pia,
allor disia - 'l me' cor drudo avere".
Po' che mi disse di sua condizione
e per lo bosco augelli audìo cantare,
fra me stesso diss' i': "Or è stagione
di questa pasturella gio' pigliare".
Merzé le chiesi sol che di basciare
ed abracciar, se le fosse'n volere.
Per man mi prese, d'amorosa voglia,
e disse che donato m'avea 'l core;
menòmmi sott' una freschetta foglia,
là dov'i' vidi fior' d'ogni colore;
e tanto vi sentìo gioia e dolzore,
che 'l die d'amore - mi pàrea vedere.
Nel frattempo, avete terminato il primo, furtivamente avete raccolto il sugo a mò di scarpetta, vi siete sciacquati la bocca nel calice e avete asciugato le labbra col tovagliolo, riponendolo poi con cura sulle vostre ginocchia. Un ricordo potrebbe condurvi al bacio di metà pasto:
Le grandi notti d' estate
che nulla muove oltre il chiaro
filtro dei baci, il tuo volto
un sogno nelle mie mani.
Lontana come i tuoi occhi
tu sei venuta dal mare
dal vento che pare l' anima.
E baci perdutamente
sino a che l' arida bocca
come la notte è dischiusa
portata via dal suo soffio.
Tu vivi allora, tu vivi
il sogno ch' esisti è vero.
Da quanto t' ho cercata.
Ti stringo per dirti che i sogni
son belli come il tuo volto,
lontani come i tuoi occhi.
E il bacio che cerco è l' anima.
(Alfonso Gatto)
Applausi. Il violinista s’è prodotto in un assolo viennese. Oppure Sting ha esalato il suo “Every breath you take”. Le note vi conducono altrove, lungo fughe d’amore in terre inesplorate. Non lascerete alcuna traccia, sarete fantasmini che si stringono facendosi beffe di tutti:
Io e te partiremo
su un aereo di carta
in tre ore per passare il mare
dove il vento ci porta
un aereo di carta di giornale
che porta la notizia che
io e te siamo partiti
e non si sa dove siamo finiti
(Stefano Benni)
Le parole chiamano i sogni, i sogni chiamano le parole. La bottiglia a centro tavola è vuota, il secondo tarda ad arrivare (scrutate il cameriere pinguino con poco amore). Avete voglia di palarvi, ma il troppo parlare potrebbe stancarvi. Uno di voi due chiede un break, solo un attimo di silenzio per poi ricominciare. Lo chiede con amore:
Mi piaci quando taci perché sei come assente,
e mi ascolti da lontano, e la mia voce non ti tocca.
Sembra che si siano dileguati i tuoi occhi
e che un bacio ti abbia chiuso la bocca.
(Pablo Neruda)
Finalmente altre pietanze: filetti di sogliola allo Champagne, asparagi al tartufo nero. Bravo pinguino! E complimenti al cuoco! Vi fingete buongustai.
Un liquorino al gelsomino per ammazzare il caffè (assicuratevi che sia morto per davvero: è anafrodisiaco!), infine un frutto: una banana, macedonia di fragole, lamponi.
Platone, il grande Platone, teorizzava una forma di amore non materiale, ma come frutto preferiva la mela:
Ti mando questa mela. Se mi ami,
prendila, e dammi in cambio la tua verginità.
Ma se non vuoi, prendila ugualmente,
e pensa come è breve la stagione bella.
La cena è finita, buon proseguimento di serata.
Forza, andatevene, dai! Il pinguino deve sparecchiare, accendere la lavastoviglie e contare l’incasso. Avrà un sonno breve ma felice, stanotte.
Si spengono le luci , la città è stranamente deserta, facciamo due passi.
Lassù, al quarto piano, qualcuno è al balcone. Pensoso guarda il cielo. È solo. Per fortuna, Bridget Jones non veglia su di lui, ma sta sul divano a fumare sigarette. Il nostro amico non chiede che una cosa: “La verità, vi prego, sull’amore”.
Dicono alcuni che amore è un bambino
e alcuni che è un uccello,
alcuni che manda avanti il mondo
e alcuni che è un'assurdità
e quando ho domandato al mio vicino,
che aveva tutta l'aria di sapere,
sua moglie si è seccata e ha detto che
non era il caso, no.
Assomiglia a una coppia di pigiami
o al salame dove non c'è da bere?
Per l'odore può ricordare i lama
o avrà un profumo consolante?
È pungente a toccarlo, come un prugno
o è lieve come morbido piumino?
È tagliente o ben lischio lungo gli orli?
La verità, vi prego, sull'amore.
I manuali di storia ce ne parlano
in qualche noticina misteriosa,
ma è un argomento assai comune
a bordo delle navi da crociera;
ho trovato che vi si accenna nelle
cronache dei suicidi
e l'ho visto persino scribacchiato
sul retro degli orari ferroviari.
(...)
Sa fare delle smorfie straordinarie?
Sull'altalena soffre di vertigini?
Passerà tutto il suo tempo alle corse
o strimpellando corde sbrindellate?
Avrà idee personali sul denaro?
È un buon patriota o mica tanto?
Ne racconta di allegre, anche se spinte?
La verità, vi prego, sull'amore.
Quando viene, verrà senza avvisare,
proprio mentre sto frugando il naso?
Busserà la mattina alla mia porta
o là sul bus mi pesterà un piede?
Accedrà come quando cambia il tempo?
Sarà cortese o spiccio il suo saluto?
Darà una svolta a tutta la mia vita?
La verità, vi prego, sull'amore
(Wystan Hugh Auden)
Dal chiuso della sua stanza, Emily Dickinson elabora ipotesi:
Che sia l'amore tutto ciò che esiste
È ciò che noi sappiamo dell'amore;
E può bastare che il suo peso sia
Uguale al solco che lascia nel cuore.
Inevitabilmente, prima o poi l’amore va dichiarato, ma tanta è la paura di sbagliare, di provare vergogna, di non trovare le parole. Di vedere cadere le proprie fantasticherie:
I' ho sì gran paura di fallare
verso la dolce gentil donna mia
ch'i' non l'ardisco la gioi' domandare,
che 'l mi' coraggio cotanto disia;
ma 'l cor mi dice pur d'assicurare
perché 'n lei sento tanta cortesia
ch'eo non potrei quel dicer né fare
ch'i' adirasse la sua segnoria.
Ma se la mia ventura mi consente
ch'ella mi degni di farmi quel dono,
sovr'ogn'amante viverò gaudente.
Or va', sonetto, e chielle perdono
s'io dico cosa che le sia spiacente:
ché s'io non l'ho, già mai lieto non sono.
(Cecco Angiolieri)
Mai trascurare la possibilità del rifiuto:
Puledra di Tracia, perché di traverso con gli occhi mi guardi
e spietata mi fuggi? Credi dunque che in nulla io sia abile?
Sappilo allora: io potrei bene metterti il morso
e, reggendo le briglie, guidarti saprei nella corsa, rasente alla meta.
Ora ti pasci nei prati, or saltellando leggera tu giochi:
non hai un cavaliere che esperto ti monti.
(Anacreonte)
Nonostante tutto, la tenacia è un dono prezioso, per non cadere nello sconforto del rimpianto, per un incontro che non c’è mai stato:
Al collo un filo di esili grani,
celo le mani nel largo manicotto,
gli occhi guardano distratti
e non piangeranno mai più.
Sembra il volto più pallido
per la seta che tende al lilla,
arriva quasi alle sopracciglia
la mia frangetta non ondulata.
E non somiglia ad un volo
questa lenta andatura, quasi avessi
sotto i piedi una zattera
e non i quadretti del parquet.
La bocca bianca è socchiusa,
ineguale il respiro affannato,
e sul mio petto tremano i fiori
dell'incontro che non c'è stato.
(Anna Andreevna Achmatova)
Prima o poi l’amore arriva, basta volerlo. Un problema possono essere le conseguenze. Per quelle, non esiste prevenzione:
A un passaggio a livello
lontano dal mondo
un giorno d'agosto assolato
un capostazione annoiato
vide a un finestrino
di un accelerato
una signora bruna
e piú non lavorò
passava le serate
a guardare la luna
e i treni si scontravano
ma lui non li sentiva
prima o poi l'amore arriva.
(Stefano Benni)
C’è chi ama farsi travolgere, ma, per chi cerca maggior prudenza, voglio citare Cecco Angiolieri:
I' sono innamorato, ma non tanto
che non men passi ben leggeramente;
di ciò mi lodo e tegnomi valente,
ch'a l'Amor non so' dato tutto quanto.
(...)
Però non pensi donna che sia nata
che l'ami ligio com'i' veggio molti,
sia quanto voglia bella e delicata,
ché troppo amare fa gli òmini stolti.
È l’alba, ormai. La lunga notte del Santo sta pian piano sfumando. Per voi, che certamente sarete ancora svegli, voi amanti felici e voi cuori solitari, voi insonni e voi licantropi, proprio ora, prima di dormire, propongo un rito, una specie di preghiera. Un augurio. Leggete questi versi, pensate le loro musica (se avete il CD, mettetelo). È Franco Battiato che vi lancia il suo messaggio, cercate lì le vostre risposte:
La stagione dell'amore viene e va,
i desideri non invecchiano quasi mai con l'età.
Se penso a come ho speso male il mio tempo
che non tornerà, non ritornerà più.
La stagione dell'amore viene e va,
all'improvviso senza accorgerti, la vivrai, ti sorprenderà.
Ne abbiamo avute di occasioni
perdendole; non rimpiangerle, non rimpiangerle mai.
Ancora un altro entusiasmo ti farà pulsare il cuore.
Nuove possibilità per conoscersi
e gli orizzonti perduti non ritornano mai.
La stagione dell'amore tornerà
con le paure e le scommesse questa volta quanto durerà.
Se penso a come ho speso male il mio tempo
che non tornerà, non ritornerà più.
La primavera, la Stagione dell’Amore, ormai è alla porte. Brindiamo! Ascoltate Alceo, e guardate avanti. Sempre. Salute a tutti!
Beviamo! Perché aspettiamo le lucerne? Un dito è questo giorno.
Prendi giù le grandi coppe variopinte, o amico.
Come oblio degli affanni, il figlio di Zeus e di Semele
ha dato agli uomini il vino. Mescolane una parte a due di acqua
e versa coppe piene fino all'orlo; e una coppa scacci
l'altra...
Ancora cin cin!