Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq; per tutto il mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedere conto della morte di suo figlio. Intorno alla sua figura e alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio movimento contro la guerra. E' stato recentemente pubblicato il suo libro Not One More Mother's Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel sito www.koabooks.com.
Cindy Sheehan e' stata arrestata la sera del 31 gennaio, mentre si trovava nella galleria riservata al pubblico del Parlamento statunitense. A darle il biglietto d'ingresso e' stata la deputata californiana Lynn C. Woolsey.
Circa trenta minuti prima che il presidente Bush iniziasse il suo discorso sullo stato dell'Unione Cindy ha attirato l'attenzione togliendosi la giacca e rivelando la maglietta nera su cui campeggiava il numero dei soldati americani morti in Iraq. Quello che segue e' il suo resoconto dei fatti, scritto il primo febbraio.
COS'E' ACCADUTO.
Come molti di voi probabilmente sapranno gia', ieri sera sono stata arrestata. Sono senza parole dalla rabbia per cio' che e' accaduto, e dal dolore per tutto quello che abbiamo perso nel nostro paese.
Dato che polizia e stampa hanno mentito e distorto i fatti, ecco quello che e' veramente successo: durante il pomeriggio, a Washington, sono stata raggiunta dai membri del Congresso Lynn Woolsey, John Conyers, Ann Wright, Malik Rahim e John Cavanagh. Lynn mi ha portato il biglietto per presenziare al discorso sullo stato dell'Unione. Indossavo una maglietta con su scritto: "2.245 morti. Quanti altri, ancora?".
Non mi sentivo a mio agio all'idea di andare in Parlamento. Sapevo che George Bush avrebbe detto cose che mi avrebbero ferita e infuriata e non volevo essere distruttiva, soprattutto per rispetto di Lynn che mi aveva dato il biglietto. In effetti, avevo consegnato il biglietto a John Bruhns, dei Veterani dell'Iraq contro la guerra. Tuttavia, l'ufficio di Lynn aveva gia' avvisato la stampa, e tutti sapevano che ci sarei andata, e cosi' mi sono fatta forza e sono andata al Parlamento con la metropolitana. Ho passato un primo controllo della sicurezza, ho atteso nella sala d'aspetto e ne ho passato un altro. Il mio biglietto diceva "quinta galleria, frontale, quarto sedile". La stessa persona che dopo pochi minuti mi avrebbe arrestata mi ha aiutata a trovare il mio posto.
Mi ero appena seduta, ed ero accaldata dall'aver salito tre piani di scale, cosi' mi sono tolta la giacca. Mi sono girata verso destra per far uscire dalla manica il braccio sinistro e lo stesso ufficiale di cui sopra ha visto la mia maglietta e si e' messo ad urlare: "Dimostrante!". E' corso da me, mi ha trascinata rudemente fuori dalla galleria e tenendomi le mani dietro la schiena mi ha spinto verso le scale. Io ho detto qualcosa tipo: "Sto andando, occorre essere cosi' violenti?"...
Quella persona mi ha portato di corsa agli ascensori, urlando a chiunque di togliersi di mezzo. Una volta dentro l'ascensore mi ha ammanettata e mi ha portata fuori verso un'auto della polizia. Mentre mi stava trascinando fuori qualcuno alle mie spalle ha detto: "Quella e' Cindy Sheehan". A quel punto l'ufficiale mi ha detto: "Stia attenta ai gradini, qui". Ed io ho risposto: "Non le e' importato di stare attento, mentre mi trascinava sugli altri gradini". E lui: "Ma quello era perche' lei stava protestando". Wow, mi hanno cacciata di forza dal Parlamento perche' stavo "protestando"!
Nessuno mi ha detto che non potevo indossare quella maglietta nel palazzo del Congresso. Nessuno mi ha chiesto di toglierla o di rimettermi la giacca. Se mi avessero chiesto una di queste cose l'avrei fatta, ed avrei lamentato la soppressione della mia liberta' di parola e ne avrei scritto piu' tardi.
Sono stata immediatamente e rozzamente (ho i lividi che lo provano) trascinata via e arrestata per "condotta illegale".
Dopo che i miei effetti personali sono stati inventariati e mi sono state prese le impronte digitali, un gentile sergente entro' nella stanza, guardo' la mia maglietta e disse: "E cosa sono 2.245? Io sono appena tornato dall'Iraq". Gli ho detto che mio figlio c'era morto. Sono questi i casi in cui l'enormita' della mia perdita mi abbatte: ho perso mio figlio, ho perso i miei diritti relativi al primo emendamento, ho perso il paese che amo.
Dov'e' finita l'America? Ho cominciato a piangere dal dolore.
Per cosa e' morto Casey? Per cosa sono morti gli altri 2.244 giovani americani? Perche' decine di migliaia di loro restano in Iraq? Per questo? Non posso neppure indossare una maglietta con su il numero dei soldati che George Bush e le sue politiche arroganti e ignoranti hanno ucciso. Indossavo la maglietta per mantenere una posizione. La stampa sapeva dove sarei andata, ed io sapevo che qualcuno mi avrebbe intervistata ed io avrei avuto addosso la maglietta. Se l'avessi portata per interrompere l'audizione, mi sarei tolta la giacca all'inizio del discorso di Bush. Se avessi avuto un'idea di cosa succede alle persone che indossano indumenti che i neocons trovano disdicevoli forse l'avrei messa lo stesso, ma l'idea non ce l'avevo.
Alcuni avvocati stanno preparando una denuncia contro il governo per cio' che mi e' accaduto. La firmero'. E' tempo di riprenderci le nostre liberta' ed il nostro paese. Non voglio vivere in un paese che proibisce alle persone (abbiano esse o no pagato il prezzo estremo per il paese stesso) di indossare, dire, scrivere o telefonare commenti negativi sul governo. Percio' rivoglio indietro la mia liberta' e i miei diritti. Non intendo piu' permettere a Bush e compagnia di portare ancora via qualcosa a me, o a voi.
Sono molto grata alle circa duecento persone che sono venute alla prigione in cui ero rinchiusa a dimostrarmi il loro sostegno. Abbiamo cosi' tanto potenziale per le cose buone. C'e' cosi' tanto di buono in cosi' tante persone. Quattro ore dopo il mio arresto sono stata rilasciata. Di nuovo, sono arrabbiata ed ammaccata, e cio' al momento mi rende difficile pensare in modo sensato. Continuate a lottare. Vi prometto che io lo faro'.
Cindy Sheenan
(traduzione di Maria G. Di Rienzo)