Siamo un popolo che legge poco, ma in compenso scrive davvero molto. Estremizzando per burla: eppure, se chi scrive leggesse anche solo quel che esso medesimo verga, dovremmo avere una media di lettori molto migliore … Il paradosso per sottolineare che – stiamo al nostro Appennino Reggiano – escono ormai con una certa frequenza libri scritti da autori locali. Neanche a farlo apposta, ci rinforza in queste affermazioni il fatto che questo testo sia inserito in una collana dal titolo emblematico: “TuttiAUTORI”.
Parliamo della prima fatica letteraria di un sorprendente Gianluca Vanicelli, castelnovese, 41enne, autore de “Un brindisi al cielo”, romanzo di 139 pagine in uscita in questi giorni per l’editore "Lampi di stampa" di Milano. Diciamo sorprendente perché chi lo conosce un po’ forse non si sarebbe aspettato una cosa del genere uscire dal suo cilindro.
“Belle donne e tanti soldi, nelle bische clandestine dell’Emilia: l’iniziazione e la carriera di un giocatore di carte, rischiosa avventura dove la bravura e la fortuna non bastano, dove i trucchi e i raggiri beffano miliardari, industriali, medici, notai, piccoli e grandi criminali. Il sesso, i ricatti, la passione e una grande intensa amicizia”.
Vanicelli ringrazia tre persone che lo hanno aiutato: Enrico (Chicco) Salimbeni; Marzia Sassi, Alessandro Davoli.
“Gli episodi, i nomi contenuti in quest’opera, sono di fantasia. Qualunque riferimento a fatti e persone reali è puramente casuale”: l’avvertimento è subitaneo; quasi un’esigenza, si direbbe.
Auguri al novello scrittore e buona lettura a chi, anche solo per curiosità, vorrà cimentarsi. E poi, in fondo, un (anche auto) augurio: speriamo, insieme all’elenco di cui sopra, di non rimanere beffati come lettori!
Ps - Se volete, fateci avere le vostre impressioni. Le pubblicheremo.
Scrivere come bisogno
Prima di scrivere, leggere, leggere, leggere, e scrivere solo per bisogno, non con l’idea di farsi pubblicare e di sentirsi uno “scrittore”. Su questo sono pienamente d’accordo. Ma la presentazione sul sito del libro di Vanicelli, forse mi sbaglio, sembrava sottintendere un giudizio negativo sul suo essersi presentato con un libro, quindi “scrittore”: un po’ d’invidia buona? Tommaso d’Aquino, nella Summa, distingueva, riconosceva una specie d’invidia “positiva”, spero che si tratti di quella. Auguro a Vanicelli e a tutti coloro che, dopo aver letto, letto, letto, sentono l’esigenza di scrivere. Riporto qui sotto i consigli di alcuni autori famosi e “arrivati”.
@SConsigli d’autore#S
@GLuciano De Crescenzo#G: “Io dò dei consigli pratici. Incominciamo col dire un paio di cose tragiche, che sono: fare lo scrittore è un mestiere da morti di fame. In Italia non credo che arrivino a dieci gli autori che sono in grado di sopravvivere con i proventi di un libro. Tolti Camilleri, la Fallaci, la Tamaro, Umberto Eco, pure io, ecc … , ecc … gli altri guadagnano pochissimo. La media di tiratura di un libro in Italia è di mille copie. Poi si deve fare un’altra cosa per vivere. O si fa il giornalista o la televisione, ma non basta fare solo lo scrittore”.
@GMario Rigoni Stern#G: “Il consiglio principale da dare è di leggere molto e di leggere i vocabolari. Mi passano per uno scrittore semplice che racconta le cose in maniera lineare, ma è un lavoro che raggiungo perché voglio che tutti mi capiscano e poi cerco di levare le parole in più, di usare le parole più giuste e il più possibile confacenti al mio pensiero”.
@GAndrea De Carlo#G: “Una cosa ricorrente in molti che scrivono e mi inviano un manoscritto è l’idea di pubblicare le prime pagine che scrivono. Invece di solito è una cosa lunga, nel senso che si scrive e riscrive un romanzo, e poi deve accadere una sorta di incontro. Perché l’editoria ha un po’ un aspetto informe, ma poi dentro ci sono delle persone. Se uno riesce a trovare quella giusta, può succedere qualcosa, ma la devi prima trovare”.
@GMauro Covacich#G: “Io ritengo che si debba tornare a pensare alla scrittura come un bisogno. Tutti coloro che scrivono devono farlo solo se ne sentono la necessità. Spesso delle persone mi danno un manoscritto o mi dicono che stanno scrivendo ‘un libro’, cioè lo pensano come qualcosa di confezionato, di editorialmente definito. Questo per me è molto strano, nel senso che quando ho scritto le prime cose, non pensavo a scrivere un libro, ma scrivevo ciò che sentivo di dover scrivere e solo in un secondo momento mi è venuto in mente che questo potesse avere anche una forma compiuta editorialmente presentabile. Di conseguenza: non tanto voler dire qualcosa a tutti i costi, ma vedere se si ha qualcosa da dire”.
(Normanna Albertini)