39 religiosi di tutte le parti d'Italia, con una lettera aperta ad Adista, hanno recentemente risposto alla decisione delle gerarchie ecclesiastiche di interdire agli omosessuali l'accesso alle vocazioni di speciale consacrazione.
Tale posizione ufficiale (clicca qui per vedere il documento vaticano rilasciato il 4 novembre 2005) è l'ultimo triste atto di omofobia, pregiudizio e mancanza di comprensione che il Vaticano dispone verso gli omosessuali.
Con spirito di solidarietà pubblichiamo qui sotto la coraggiosa lettera di alcuni religiosi di tendenza omosessuale, scritta nel tentativo di sfuggire all'ostracismo e alla pressione imposta su di loro da un cattolicesimo retrivo, mancante in sé proprio di quel "rispetto e delicatezza" che il documento in questione auspica.
LETTERA APERTA
tratta da Adista
La recente Istruzione della Congregazione per l’Educazione Cattolica circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali ci spinge a presentare alcune riflessioni a riguardo. Ci rivolgiamo ai fratelli nel sacerdozio, ai Pastori e ai Superiori religiosi, ai consacrati e alle consacrate, agli uomini e donne della società.
Siamo dei sacerdoti cattolici con tendenza omosessuale, diocesani e religiosi, e il fatto di essere tali non ci ha impedito di essere buoni preti. Alcuni di noi hanno speso la loro vita in missione, altri sono parroci e pastori d’anime, amati e stimati dalla loro gente, altri ancora vivono il loro sacerdozio nell’insegnamento con dedizione e professionalità.
La nostra tendenza omosessuale, come il documento farebbe credere, non è stato un impedimento a far si che la vita del ministro sacro sia animata dal dono di tutta la sua persona alla Chiesa e da un’autentica carità pastorale (1). La nostra omosessualità non ci mette in una situazione tale da ostacolare gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne come afferma il documento al secondo paragrafo: come uomini e sacerdoti ci sentiamo feriti da questa affermazione assolutamente gratuita.
Non abbiamo problemi maggiori degli eterosessuali a vivere la castità, perché omosessualità non è sinonimo di incontinenza, né di istinti irrefrenabili: non siamo malati di sesso e la tendenza omosessuale non ha intaccato la nostra salute psichica (2) né le nostre doti morali e umane (3).
Il documento definisce determinante per il candidato il fatto che eventuali tendenze omosessuali transitorie siano chiarite e superate tre anni prima dell’ordinazione diaconale. Ora la maggior parte dei preti hanno vissuto il periodo del seminario come un momento sereno dal punto di vista sessuale. Infatti confrontandoci tra di noi sacerdoti in varie occasioni, come ritiri o esercizi spirituali, ci siamo resi conto che i turbamenti, per gli eterosessuali come per gli omosessuali, sono venuti dopo, causati non dalla tendenza sessuale, ma dalla solitudine, dalla mancanza di amicizia, dal sentirsi poco amati e, qualche volta, abbandonati dai propri superiori, dai confratelli, dalle nostre comunità.
Inoltre, per quanto ci riguarda, vari di noi hanno preso coscienza della loro omosessualità solo dopo l’ordinazione. Si ha la sensazione che questo documento nasca come reazione ai casi di pedofilia recentemente manifestati, soprattutto nella Chiesa americana e brasiliana: ma la tendenza omosessuale non è assolutamente sinonimo di pedofilia.
Si ha pure un’altra impressione: che si pensi agli omosessuali come necessariamente inseriti in una cultura gaia, esibizionista, pungente, fuori degli schemi, una filosofia di vita che spesso appare agli occhi di molti come contraria ad ogni regola morale, in cui tutto è permesso. Certe manifestazioni del mondo gay nascono come rivalsa da anni di ghetto e di persecuzione in cui è stato imprigionato il mondo omosessuale, ma non tutto il mondo gay condivide tali manifestazioni. In ogni caso nessun di noi assume atteggiamenti stravaganti né accetta un permissivismo edonistico in cui non esistono leggi morali.
Nel documento sembrerebbe che il problema maggiore per poter essere buoni preti sia la tendenza sessuale, per poi sorvolare su certi stili di vita che pur ineccepibili dal punto di vista sessuale, creano scandalo tra i fedeli: ci riferiamo al lusso, all’attaccamento al denaro, alle egemonie di potere, alla lontananza dai problemi della gente. Noi, invece, consideriamo la nostra omosessualità come una ricchezza, perché ci aiuta a condividere l’emarginazione e la sofferenza di tante persone: per parafrasare S. Paolo, possiamo farci tutto a tutti, deboli con i deboli, emarginati con gli emarginati.
L’esperienza mostra che la nostra condizione omosessuale, vissuta alla luce del Vangelo e sotto l’azione dello Spirito, ci mette in condizione di sostenere e appoggiare nel loro cammino di fede i fratelli e le sorelle con tendenze omosessuali, attuando quella pastorale che la Chiesa riconosce come necessaria e desiderabile. Quella Chiesa che ha ricevuto il ministero della riconciliazione (4) ha bisogno di riconciliarsi con l’omosessualità, realtà di tanti credenti, figli e figlie di Dio: uomini e donne di buona volontà che hanno il diritto di trovare in essa il tetto della loro anima.
Chiaramente come tutte le persone oneste non possiamo negare le nostra fragilità, condizione della natura umana: portiamo il dono di Dio in vasi di creta (5), ma la nostra situazione non è un ostacolo ad essere pastori secondo il cuore di Dio.
Ora, dopo la pubblicazione del citato documento, proviamo maggiore disagio, come se la nostra vocazione non fosse autentica. Ci sentiamo figli abbandonati e non amati da quella Chiesa alla quale abbiamo promesso e dato fedeltà e amore. Ci sentiamo “fratelli minori” in un presbiterio in cui sembra di essere entrati quasi clandestinamente.
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(1) Cfr. Presbyterorum Ordinis, n.14.
(2) Cfr. C.I.C., can 1051.
(3) Cfr. Pastores dabo vobis, n. 35.
(4) Cfr. 2 Cor. 5,18.
(5) Cfr. 2 Cor. 4,7.