Vista l’importanza e l’apprezzamento ottenuto, è stata prorogata sino al 2 ottobre la mostra dedicata allo scrittore e poeta reggiano Silvio D’Arzo (nato a Reggio Emilia nel 1920 e morto nel 1952, lasciandoci una importante produzione letteraria, al cui culmine è possibile collocare il suo capolavoro: “Casa d’altri”). La mostra è allestita presso il Palazzo Ducale di Castelnovo né Monti e vanta la presenza di alcune tra le più importanti firme della pittura contemporanea, tra cui Davide Benati, Nino Squarza,Vando Fontanesi, Tullio Pericoli, Concetto Pozzati, Nani Tedeschi, Claudia Torricelli, William Xerra e altri ancora . L’ingresso è gratuito ed è visitabile il venerdì dalle 16 alle 19, il sabato e la domenica dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 19 ed il lunedì dalle 10 alle 12.
Tutte le tele sono state realizzate tra la fine degli anni Novanta e i primi anni del Duemila, da un’idea del critico d’arte Sandro Parmiggiani, curatore della mostra. Gli artisti in mostra si differenziano per stili e sensibilità, si va dall’astrattismo più radicale alle suggestioni dell’arte povera, dalla metafisica al realismo, dalla ritrattistica al concettualismo, ma comune è l’intento: valorizzare la persona e l’opera di Silvio D’Arzo, presentandola in quante più sfaccettature possibili.
Approfittando di questa occasione, siamo andati a visitare la mostra e desideriamo trasmettervi alcune delle nostre impressioni.
Acrobati metafisici, acrobati rosso sangue; come sagome di pezza scorrono su fili ad altezze da convulsioni. Maschere dal ghigno ambiguo li fissano implacabili, e coi loro occhi vivono. Il tendone è rosso, oppure il cielo è blu: la notte è la costante. Così come costante è la geometria con cui ogni figura trova il suo posto sulle tele. Il circo, metafora di una vita che piace ai bambini, entità antropologica che ricerca un tempo perduto.
Il circo, coi suoi personaggi strani.
E la notte, sempre.
Abbandono i funamboli, per godermi paesaggi con la luna e senza stelle. Montagne che a malapena proiettano le loro ombre immobili sopra una tavola blu pastello, oppure cime sassose colorate di luce, psichedeliche meraviglie di una natura sorprendente. Pochi animali solitari, simili a pellegrini o pastori erranti. Mi sovviene Leopardi.
Mi volto, e cado prigioniero di sentieri astratti altamente simbolici, su tavole in cui linee geometriche, materia plastica e parole si fondono e confondono. La tela, il legno, l’acrilico, l’acquarello, ovviamente l’olio: il materiale non è mai casuale, esso stesso fa e fa parte dell’opera d’arte.
Vedo porte, buie gallerie senza una fine, strade che portano altrove, oltre i colori, i suoni, gli odori, verso mondi immaginari, oasi per lo spirito o vicoli di sola perdizione.
Smarrirsi e non trovarsi osservando un quadro, costruire il tuo mondo fantastico e perdere la cognizione del tempo, guardarsi dentro e avanti a partire dai tuoi occhi, sino a riconoscere qualche cosa; il fruitore che si fa produttore di opere d’arte tutte sue, troppo intime per essere immortali: tutto ciò non solo è possibile, ma molto spesso inevitabile. Oserei dire catartico.
All’improvviso mi sento solo, nei mondi immaginari non scorgo presenza umana. Sbatto le palpebre per inumidirmi gli occhi, mi giro su me stesso passando in rassegna tutti i quadri attorno a me, sino a quando il sorriso triste e ambiguo di una vecchia (potrebbe essere una strega, o una dolce contadinella del tempo che fu) mi chiama a sé: le zone d’ombra così vaste e impenetrabili si fanno inquietanti, certamente efficaci. Mi affascina come su una stessa tela possano convivere ed esaltarsi vicendevolmente l’inesorabile realismo del volto con gli elementi surreali, metafisici e vagamente dada dello sfondo. Il magico nel quotidiano, la verità e l’apparenza: ricordate Dorian Gray?
I pittori esposti sono bravi e di valore, ma mi piacerebbe guardare in faccia colui che ha dato loro una così grande e varia ispirazione.
Detto e fatto, non poteva andarmi meglio!
Silvio D’Arzo, è lui il colpevole.
Osservo i suoi ritratti: un viso acqua e sapone, serio ma sereno.
Pacato come la memoria di tutti gli altrove.
Il volto di un poeta che si gode il suo tributo.