La presenza della Latteria 'Madonna di Bismantova' e delle annesse 'Corti di Filippo Re' può essere una pietra miliare nella storia economica del territorio collinare e montano di Reggio.
Lo dice il senatore Fausto Giovanelli sull'inaugurazione che avverrà quest'oggi a Berzana di Castelnovo ne' Monti. Che così prosegue in un suo intervento.
Il primo gruppo privato del nostro agroalimentare, 'la Ferrarini' ha lanciato un sasso grande quasi quanto la Pietra di Bismantova nello stagno del pianto greco sul Parmigiano Reggiano. Pianto quotidiano, giustificato dalle basse quotazioni e pur tuttavia in sè inconcludente. L’annata 2005 ha indotto molti al pessimismo, pur sapendo tutti del grande valore e della grande storia del nostro prodotto numero uno. In montagna in particolare, dove le inclinazioni al pessimismo sono sempre molto popolari, e dove è vero che i costi di produzione sono comunemente più alti, per molte latterie si prospetta la chiusura: Ponte Secchia e Morsiano, Pieve San Vincenzo e Castagneto, Groppo di Vetto e altre ancora. Il futuro, dice qualcuno, anche a sinistra, è nell’accorpamento e nell’industrializzazione. Questo qualcuno sbaglia. Il futuro non è nell’industrializzazione o nella trasformazione (grandi latterie), ma nell’artigianalità. Il futuro non è nei supermercati, ma nelle radici, nell’identità e nelle zone di produzione, nei nomi delle piccole frazioni della montagna che hanno esse stesse sapore di agricoltura vera.
La rinascita della vecchia e abbandonata Latteria di Berzana, oggi Madonna di Bismantova, va controcorrente rispetto al pessimismo e alla rassegnazione, ma anche al conformismo e alla omologazione. Va controcorrente non solo perché dice fiducia in un momento di sfiducia, ma perché innova un modello di rapporto tra produzione, commercializzazione e territorio. Perché accanto agli impianti di lavorazione del latte, che si vantano di essere tradizionali nel metodo, propone la novità di vendita di prodotti locali naturali, con spazi per i bambini e ristorazione. E’ un luogo di lavoro, ma è al tempo stesso un luogo bello e accogliente. E’ una vetrina del territorio e dei suoi prodotti. Vi hanno lavorato operai, artigiani e professionisti della montagna. Si impiegano lì alcune unità di manodopera locale. Ma il valore aggiunto per i territorio non sta tanto in questo, quanto nel fatto che è proprio l’essere in montagna e di montagna il valore aggiunto su cui si punta per il prodotto, per il suo nome, per la sua vendita.
Nel momento in cui si dice “in montagna non si può reggere coi costi” (ed è una parziale verità) un’impresa capitalistica sceglie di investire proprio lì. In montagna, per scelta e non per necessità, evidentemente considerando i costi, ma forse ancor di più puntando su identità, qualità e prezzo legati proprio al valore ambientale dei luoghi.
Si sfata così un luogo comune e si dà uno scrollone alla mala pianta dell’inerzia. Inerzia pericolosa perché una legge economica ferrea, come quella del profitto, da troppo tempo spinge i produttori a cercare sempre e solo i minori costi, dal momento in cui accettano in partenza di rinunciare ad avere una effettiva possibilità di influire sul prezzo. Questa rinuncia è anche la rinuncia a essere a titolo pieno imprenditori protagonisti del mercato ed è una rinuncia sempre più insostenibile.
Recuperando una iniziativa degli operatori e produttori nel campo della commercializzazione, il cammino di eccellenza del Parmigiano Reggiano prosegue e si rinnova. Nessuna concorrenza cinese potrà spiantare l’unicità del prodotto e sostituire la zona d’origine con delle imitazioni. La prossima sfida è vedere avviate su questa strada anche tante latterie sociali cooperative che hanno condizioni e collocazioni territoriali adatte a fare altrettanto e anche meglio e hanno, inoltre, un valore aggiunto di coesione sociale e di umanità che non dev’essere disperso in accorpamenti anomali, anonimi e fuori luogo. La vera unificazione da fare è quella tra strutture produttive territoriali e strutture per la commercializzazione. Le prime strutture sono ovviamente le risorse umane: è difficile chiedere a un coltivatore e allevatore di fare anche marketing - e marketing territoriale - ma gli si possono proporre alleanze patti relazioni con chi può farlo. Magari con giovani figli degli stessi allevatori e dello stesso territorio.
Il compito della politica non è sostituirsi agli operatori, ma sostenere e incentivare non qualunque azione, ma esattamente le azioni che portano in questa direzione. Qualche tempo fa ho anche personalmente accompagnato il tentativo di andare su una strada di questo genere con la Latteria di Carnola, che per la sua collocazione proprio sotto la Rupe di Bismantova e nel Parco Nazionale sembra benedetta da Dio per essere prototipo di una cattedrale di quell’impresa – ambiente che, legando agricoltura, turismo e parchi, può rappresentare per l’Appennino la modernità degli anni 2000. Quel tentativo allora nn è riuscito, ma può sempre riuscire. Una nuova latteria in alta Val d’Enza si chiamerà “Latteria del Parco”. La più forte latteria della montagna, quella di Cavola, sta sviluppando con giovani molto in gamba il tentativo di commercializzare direttamente il proprio prodotto insieme col territorio. La latteria “Fornacione” di Felina ha recentemente inaugurato un nuovo spaccio più curato, festeggiando con un concerto di musica classica.
Si intravede una strada nuova e di sviluppo. E’ nei momenti di crisi, e di crisi di prezzo e redditività come quello attuale, che un comparto economico può produrre il massimo dell’innovazione e dare il meglio di se’. In questo caso il Parmigiano Reggiano, anziché rappresentare “una crisi”, appare di nuovo come un volano di innovazione anche sociale e culturale per la collina e la montagna di Reggio Emilia.