Fantasmi L'ondata di rabbia e di sconcerto che ha colpito Bologna in seguito allo stupro di una quindicenne, ha fatto venire alla luce i fantasmi più orrendi della nostra società. Poco importa qui, che i due rei fossero migranti o italiani (i nostri bravi ragazzi del resto possono permettersi di pagare pochi euro per una giovane nigeriana sulla circonvallazione, ma questo non sembra altrettanto scandaloso). L'equazione migranti-delinquenza era data come assodata ben prima del fermo di due cittadini del Marocco. L'episodio ha rivelato del retropensiero vergognoso forse di tutti noi. La paura del diverso. E la facilità con cui ad esso, in quanto categoria sociale definita e separata, si attribuiscano subito tutte le nefandezze da cui noi uguali ci asteniamo, salvo poi sfruttare e abusare dei loro corpi sul mercato del lavoro o del sesso.
La forca Come nel medioevo sotto la prigione dorata di Re Enzo oggi occupato dal sindaco Cofferati, ieri sera, martedì 21 giugno, i fedeli iscritti di Alessandra Mussolini, cavalcavano lo sdegno popolare campeggiando di sotto con terribili striscioni. Allo sdegno orrendo dello stupro di una ragazzina, si aggiungeva allora lo sdegno per lo scempio che, una volta di più, si consumava contro il diritto e le conquiste sociali per cui ci reputiamo paese civile. Oltre all'estraniante visione di un simbolo con quel cognome, Mussolini, proprio a fianco della stele con i nomi dei caduti della Resistenza alla follia fascista tutto dava l'idea del viaggio nel tempo. Un regresso di almeno mille secoli. A un tratto si sarebbe potuto credere che il podestà si affacciasse da una finestra per acconsentire alla sete di vendetta della folla e ripristinasse, seduta stante, la forca.
I cartelli: castriamoli e tolleranza zero, nonché i commenti detti e gridati, offensivi e generici, non possono essere liquidati come follia di pochi. Non vanno sottovalutati. Vanno invece presi con grande serietà da parte di tutti, come un male interno alla nostra società, le cui degenerazioni rendono poi anche possibile un evento violento come quello consumato nel parco di Bologna. E per degenerazione si intende la mancanza della cultura del diritto e della società del diritto, razionalmente ordinato dai legislatori e impassibilmente posto in atto dai gradi esecutivo e giudiziario. In tale mancanza si agisce in base all'ira e alla sete di vendetta. Il furor di popolo.
Dei delitti e delle pene Le passioni non sono prive di legittimità, ma non possono fondare la legge. Perché la legge è l'opposto dell'ira, la quale è proverbialmente cieca e irrazionale e non può porsi come base dei codici. L'opposto della cecità sono la vista e la lucidità. Queste sono le sole vie da seguire per "fare piena luce", per "fare giustizia". Nonostante il cardinal Ruini abbia recentemente attaccato le radici illuministiche del moderno, nel tentativo di liberare una zona oscura, più confortevole per il sentimento religioso, il lume della ragione potrebbe salvare la nostra società da una deriva oscurantista e dal ripristino del codice di Hammurabi. Perché non cogliamo invece l'occasione di ripassare un grandissimo padre dell'illuminismo, Cesare Beccaria, che ha spiegato a tutto il mondo (ma in alcuni paesi si legge ancora poco) che la pena di morte e le torture non servono a niente? Duecento anni passati invano, sembra.
E poi la nostra Costituzione. Essa è illuminista nel senso che i padri costituenti, nonostante fossero provati da eventi più burrascosi degli attuali e segnati da lutti, indicarono non nella vendetta la strada da seguire, ma nella pietà e nel recupero. Altrimenti cosa dovremmo fare a Previti che ha confessato in tribunale di avere sottratto miliardi al fisco quand'era Ministro della Repubblica? Dovremmo tagliargli le mani fino al gomito. Invece no. I padri costituenti non ci hanno insegnato così. Cosa, dunque? Chiedere ai genitori della ragazzina violentata di non provare odio e furore? No, certo. Però si deve essere altrettanto determinati nell'impedire che questi sentimenti e i fantasmi razzisti che essi hanno purtroppo evocato diventino fondanti della nostra cultura e del nostro diritto.
La castrazione, come intervento della legge sul corpo, è qualcosa di abominevole. Contrariamente all'embrione che è indifferenziato, i genitali sono vita umana specifica. Certamente nessun referendum ammetterebbe il loro congelamento. Ma, ironia a parte, ciò significherebbe deprivare la persona e il corpo di quella dignità che consideriamo sacra e inviolabile. Inaugurare la possibilità della violazione del corpo vuole dire, da un punto di vista culturale, aprire la strada a derive quali l'omicidio e lo stupro. Lo statuto della legalità e dell'illegalità sono giuridicamente separati, ma non socialmente. Esiste un circolo vizioso per cui si creano e si rafforzano a vicenda. Infatti si può essere fuorilegge, ma molto più difficilmente fuori cultura. Siamo imbevuti di cultura. Siamo parlati dal linguaggio e agiti dai contesti. La responsabilità personale esiste, ma si colloca entro margini che sono sempre comunque contenuti in un spazio culturale.
Questa è la ragione principale per cui, l'idea della castrazione non è solo e semplicemente incivile e medievale e irrispettosa di secoli di progresso sociale, ma è stupida, è controproducente. E se qualcuno pensa che l'evirazione possa essere un deterrente per una ricaduta futura, non tiene conto di alcuni argomenti fondamentali. Anzitutto, ci sono mezzi meno barbari, ancorché discutibili, di privazione della libertà, come la prigione stessa. Poi, che la costituzione ci obbliga al recupero non alla punizione dei rei. Poi, che la castrazione di un violentatore può (forse) placare l'appetito sessuale ma non la rabbia verso la società, che anzi aumenta. Cosa ha da perdere uno stupratore castrato nel divenire, appena ne abbia l'occasione, anche assassino e ladro? E perché non dovrebbe riversare, nella logica della rabbia e della vendetta, sulla stessa società ciò che la legge gli ha fatto? "Occhio per occhio rende il mondo cieco" diceva quell'induista.
Lo slogan tolleranza zero, coniato per essere applicato al campo giuridico penale è in realtà il corrispettivo dell'atteggiamento sociale dell'intolleranza. Una sorta di rivelatore del razzismo più profondo e latente dentro di noi. Allora la nostra risposta dovrà essere non "tolleranza zero", ma "tolleranza sempre". La quale ovviamente non significa impunità penale, ma la creazione di una società giusta e fraterna. Non una società chiusa in se stessa che cerca di difendere una presunta identità di cui non ricorda nemmeno i tratti essenziali, ma aperta, coraggiosa e pronta a mettersi in discussione in un confronto ragionevole e pacato, libero dall'ira.
Diceva Goya che il sonno della ragione genera mostri. Siamo ormai la maschera storpiata di noi stessi. Orribili creature che difendono la loro bruttezza a spada tratta accusando altri, stranieri e diversi, di essere la causa della nostra decadenza. Ma non c'è altro motivo al nostro declino che noi stessi, l'arroganza, la menzogna, la paura. E il lungo lungo sonno dei nostri apparati cerebrali. Quelli sì, temo che ci siano stati asportati e sostituiti con uno schermo a cristalli liquidi. La castrazione e l'intolleranza, invocata anche da Calderoli, non aiuteranno la ragazzina stuprata a riprendersi, né i suoi genitori a trovare pace. E non aiuteranno nemmeno noi a riconoscerci per quello che siamo, nei nostri egoismi e nei valori più veri e profondi della nostra cultura. Facciamoci dunque un piacere a vicenda: conosciamo noi stessi, come diceva quel greco, prima di accusare gli altri.