Home Cronaca Il cammino dell’Africa

Il cammino dell’Africa

5
0

Syrte (Libia) 9 settembre 1999: i Capi di Stato e di governo dell’Organizzazione per l’Unità Africana si riuniscono, nell’ambito di una sessione straordinaria della Conferenza, ed adottano una dichiarazione, la Dichiarazione di Sirte, con cui vengono gettate le basi per la nascita dell’Unione Africana (U.A.). A partire da quella data si avvia un percorso irreversibile che, passando per il Summit di Lomé (Togo) del 2000 -adozione dell’atto costitutivo dell’Unione- e quello di Lusaka (Zambia) nel 2001, in cui viene stabilito il programma, porta al Vertice di Durban (Sud Africa) del luglio 2002, durante il quale si inaugura la prima sessione dell’Unione Africana. Si delinea un nuovo corso politico-istituzionale del continente.

La struttura dell’UA

Modellata istituzionalmente sull’Unione Europea (anche il richiamo al nome appare evidente), l’UA è nata con l’intento di rilanciare una linea politica continentale unitaria che sia in grado di accelerare il processo di integrazione africano, creando una struttura solida e coesa capace di affrontare gli enormi problemi che affliggono l’Africa e guardare al futuro con rinnovata fiducia.
I principali organi dell’UA sono:
1. La Conferenza, l’organo supremo, che è composta dai Capi di Stato o di Governo dei Paesi membri, o dai loro rappresentanti regolarmente accreditati. La Conferenza ha il potere di stabilire qualsiasi organo dell’Unione. Il Presidente della Conferenza è eletto per un anno fra i Capi di Stato e di Governo dell’Unione. Il Presidente attualmente in carica è il nigeriano Olesegun Obasanjo.
2. Il Consiglio Esecutivo (responsabile dinanzi alla Conferenza), formato dai ministri o dalle autorità designate dagli Stati membri. Esso assicura il coordinamento e decide le politiche nei campi d’interesse comune degli Stati membri;
3. La Commissione è composta dal Presidente (attualmente in carica e` il maliano Oumar Konarè), dal vice Presidente e dai commissari assistiti dai membri del personale dell’Unione. La metà dei commissari sono donne, in ossequio alla decisione di rispettare il gender balance. Tra i suoi compiti c’è la rappresentanza dell’Unione rispetto ad altre Organizzazioni Internazionali e a Stati non africani. Le attività e le competenze sono definite dallo statuto, adottato a Durban.
4. Il Parlamento Panafricano, ratificato a Sirte nel 2001 e con sede in Sud Africa, presieduto da Getrude Mongala (Repubblica di Tanzania), nato come una struttura atta a facilitare la messa in opera degli obiettivi dell’UA e rappresentare tutti gli Stati africani. Secondo lo statuto, il Parlamento è dotato di potere legislativo, anche se durante il suo primo mandato è dotato solo di poteri consultativi.

Oltre a questi meritano menzione: il Consiglio di Pace e Sicurezza (organo esecutivo, ratificato nel maggio del 2004), il Comitato dei Tecnici Specializzati (le cui mansioni vanno dalle questioni agricole, a quelle commerciali, ai trasporti, ecc.) e le istituzioni finanziarie (la Banca Centrale Africana, il Fondo Monetario Africano, la Banca Africana d’Investimento).

La rifondazione istituzionale dell’Ua parte innanzitutto da una serie di obiettivi principali contenuti nell’Atto Costitutivo:
Realizzare una maggiore unità fra gli stati e i popoli dell’Africa;
Difendere la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza dei suoi stati membri;
Favorire la cooperazione internazionale fra i paesi africani e le altre nazioni del mondo tenuto conto della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo;
Promuovere la pace, la sicurezza e la stabilità del continente africano;
Promuovere i principi e le istituzioni democratiche attraverso la partecipazione popolare e il buon governo degli stati membri;
Promuovere lo sviluppo economico, culturale e sociale durevole dei paesi e delle popolazioni africane così come l’integrazione delle economie dei diversi paesi del continente;
Operare in concertazione con i partner internazionali competenti al fine di sradicare le malattie evitabili e promuovere lo sviluppo delle strutture sanitarie nel continente.

Dall’OUA all’Unione Africana

La contrapposizione tra i due Blocchi durante la guerra fredda si era manifestata con estrema intensità in molte zone dell’Africa. Il sostegno di USA ed URSS a diversi regimi e le cosiddette guerre per procura, uniti alle “pressioni post coloniali” esercitate dagli ex territori metropolitani europei (Francia, Gran Bretagna, Portogallo, Belgio) influenzarono i destini del continente africano per decenni. Ma la fine della contrapposizione est-ovest finì per delineare uno scenario paradossalmente peggiore: uno scenario fatto di guerre dei poveri, incontrollabili epidemie e, soprattutto, indifferenza da parte del mondo sviluppato. In questo contesto si colloca il passaggio di consegna dell’OUA all’Unione Africana.
E' possibile attribuire l’implosione dell’Organizzazione per l’Unità Africana alle seguenti motivazioni: innanzitutto il deterioramento del vulnus anticolonialista, principio ispiratore dell’Organizzazione (ben evidenziato nell’atto istitutivo del 1963); la crisi di leadership, anche conseguente alla morte “dei padri della nazione” (su tutti l’ivoriano Félix Houphouët Boigny ed il senegalese Léopold Sédar Senghor); la disastrata situazione economica della stragrande maggioranza dei Paesi e la conseguente mancanza di una stabile fonte di sostentamento per l’Organizzazione (nel 2001 si contavano 50 milioni di dollari di arretrati da parte degli Stati membri nel pagamento delle quote d’iscrizione) e per i progetti di integrazione economica regionale (vedi la Comunità economica africana, fallita gia` nel 1991); infine, l’incapacità di gestire i numerosi conflitti esplosi negli anni precedenti (come ad esempio in Liberia, in Somalia o in Sierra Leone). Ma il fallimento maggiore fu dovuto all’impossibilità di tutelare i principi della sovranità, dell’integrità territoriale, dell’indipendenza degli Stati membri e della cooperazione tra essi. Tali concetti, non supportati da reali strumenti politico-giuridici, finirono per essere semplicemente agitati come bandiera delle rispettive indipendenze.

Proprio da questo limite è ripartita l’Unione Africana, sancendo nel preambolo (Art. 4, comma h) “il diritto da parte dell’Unione di intervenire nel territorio di una Stato membro, su decisione della Conferenza, in alcune circostanze gravi, nella fattispecie: i crimini di guerra, i genocidi ed i crimini contro l’umanità”. Questo inciso vuole offrire la possibilità di superare l’impasse creato dalla pedissequa osservazione del principio di non ingerenza tra gli Stati che per anni aveva reso vani i dettami della Carta dell’OUA e certo non aveva favorito la promozione della democrazia in una continente dove i rovesci politici sono frequentissimi. Emblematico a questo proposito fu il quesito provocatoriamente posto dal Presidente senegalese Wade durante il Summit di Durban: “in quanti in questa sala possiamo pretendere di essere stati eletti democraticamente alla testa dei nostri rispettivi Paesi?”. Un esempio pratico dell’applicazione di questo principio lo si riscontra nelle recenti vicende togolesi (febbraio 2005), quando l’Unione Africana, attraverso il Consiglio di Pace e Sicurezza, minacciò di applicare le sanzioni economiche richieste dalla CEDEAO, la Comunità Economica degli Stati dell’Africa dell’Ovest, a seguito della presa di potere incostituzionale di Faure Gnassingbé, figlio dello storico presidente Gnassingbé Eyadéma appena deceduto dopo 38 anni di dominio incontrastato in Togo. La risolutezza dell’UA ha scongiurato un’aperta violazione delle regole democratiche e, soprattutto, che gli eventi sfociassero nel caos più totale.
L’Unione Africana vide la luce sotto la spinta (politica e soprattutto economica) del leader libico Al Qaddafi (Gheddafi). Durante la sua fase di gestazione ha vissuto un periodo controverso a causa delle reticenze verso il progetto di alcuni dei Paesi più rappresentativi. A questo andava aggiunto anche il continuo rifiuto, tutt’ora in atto, del Marocco (uno dei Paesi fondatori dell’OUA) a rientrare nell’UA dopo l’uscita del 1984 dovuta all’ammissione della Repubblica Araba Saharawi Democratica (Fronte Polisario). Ma le maggiori preoccupazioni sono sempre state legate (e per molti aspetti continuano ad esserlo) alla mancanza di solide basi economiche su cui condurre il progetto continentale, visto che sia i programmi regionali che le strutture finanziarie necessitano continuamente del sostegno dell’ONU, del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, degli Stati Uniti o delle ex madri patrie. E la stessa sorte tocca alla maggior parte dei Paesi: esempio emblematico sono quelli di origine francofona che hanno adottato come moneta il Franco CFA, garantito dalla Banca Centrale di Parigi. In questo scenario solo in pochi riescono a condurre una politica emancipata e maggiormente votata alla causa panafricana. Tra questi ultimi, sicuramente il Sud Africa che ricopre un ruolo focale all’interno dell’Unione, assieme alla Nigeria. Il Presidente nigeriano Obasanjo è - come detto in precedenza – alla guida della Conferenza, mentre il Capo di Stato sudafricano, Thabo Mbeki, si sta distinguendo come moderatore nelle crisi politiche e diplomatiche africane (vedi Sudan e Costa d’Avorio), in stretta collaborazione con le Nazioni Unite. Tra i due si sta consumando una battaglia per la leadership politica del continente (Mbeki viene considerato da alcuni come un accentratore e, in quanto sudafricano, non in grado di incarnare l’immagine della “guida del continente nero”, ruolo che altri assegnano al presidente nigeriano). Ma dietro quella che potrebbe sembrare una querelle interna si celano interessi che vanno ben oltre i confini africani. Il 2005 infatti, oltre ad essere stato definito dal Segretario Generale dell’ONU “l’anno dell’Africa” è l’anno della riforma delle Nazioni Unite. Il Consiglio di Sicurezza rappresenta il leitmotiv della questione, il cui allargamento potrebbe portare un numero di seggi per gli stati africani nella vetrina più importante della politica mondiale. E proprio Nigeria e Sud Africa, con l’Egitto come outsider, sono i candidati più autorevoli. Nella riunione del Consiglio Esecutivo dell’UA, tenutasi ad Addis Abeba (Etiopia) il 7 ed 8 marzo 2005, è emersa una posizione dell’Unione che sembra rappresentare un punto di svolta: il presidente Konarè ha presentato la linea comune che i Paesi africani porteranno in sede di riforma del CdS (il progetto di riforma parla di un allargamento da 15 a 24 membri): la richiesta è di 5 seggi, due dei quali con diritto di veto. Dato per scontato il ruolo di “pivotal States” dei suddetti Sud Africa e Nigeria, il documento finale afferma chiaramente che spetterà all’Unione Africana scegliere i suoi candidati per il Consiglio di Sicurezza. E ciò implicherebbe innanzitutto una riforma della Carta delle Nazioni Unite. Le parole del Presidente Konarè – “Questo è il tempo della riforma ... Questo è il tempo dell’Africa, questa è l’ora dell’Africa. Questa posizione rifletterà la visione africana del futuro del continente e l’Africa dovrà avere il rispetto del resto del mondo...”– configurano la rinascita di una politica panafricana unitaria. Se questa compattezza riuscirà a superare le divisioni continentali e le pressioni mondiali, si potrà tornare a parlare di progresso e guardare con fiducia al futuro del continente “più abbandonato” del mondo.