...riescano ad ottenere, facciano uso o vendano, le cosiddette Armi di Distruzione di Massa (ADM). Nel gruppo delle canaglie, stilato dall’amministrazione americana, rientrano - oltre agli ex, Iraq e Afganistan - Nord Corea e Iran. Nel caso iracheno, l’accusa di possedere armi chimiche o biologiche, è stato il casus belli di un conflitto ancora in corso, ma che si è poi rivelata essere costruita ad arte. La Nord Corea ha dichiarato recentemente di possedere la bomba nucleare (ma non ha però i vettori su cui caricarla), mentre l’Iran ha un programma nucleare finalizzato ufficialmente alla produzione di energia per scopi pacifici, ma che desta i sospetti soprattutto degli USA.
Il lavoro della propaganda e dell’informazione di massa è stato in questo caso eccelso, essendo riuscito nello scopo di limitare il concetto di ADM, a questi tre soli casi. La correlazione esclusiva che sembra essersi istituita tra ADM e “stati canaglia” è stata un perfetto esempio di quella che i retori antichi chiamavano tecnica dell’amplificazione. Attraverso di essa, un solo particolare, anche se insignificante, veniva messo in risalto al punto da oscurare tutto il resto.
In conclusione, il problema odierno delle ADM sembra confinato ai comportamenti di questi tre stati, con l’omissione dolosa di due punti altrettanto cruciali. Anzitutto, il dibattitto sulla sviluppo delle armi nucleari ha dato origine ad una mutazione del linguaggio, possibile solo in quanto tale dibattito si limita agli “stati canaglia”. Non si parla più, infatti, di disarmo - concetto che implicherebbe un impegno dei paesi occidentali a ridurre i loro arsenali - ma si parla di non proliferazione, quindi di rafforzamento dell’odierno (dis)equilibrio di forze, cioè di perpetuazione dello status quo. Ovviamente, tutti coloro che ambiscono ad una ridefinizione di tale equilibrio, i Paesi asiatici ma anche i paesi impoveriti, avanzano un’obiezione che è poi l’ostacolo principale anche allo stesso processo di non-proliferazione: non si vede infatti come - a fronte delle migliaia di testate nucleari depositate negli stockpiles americani, russi, e cinesi - gli altri paesi debbano esseri i soli a rinunciare all’arma nucleare.
D’altra parte, c’è un problema ancora più grave e che, a tutt’oggi, non come minaccia incombente, ma reale piaga sociale, produce milioni di dollari e di morti, ovvero il commercio e l’uso delle armi piccole e leggere. I paesi africani tra i primi, ma anche quelli dell’America Latina, i quali più di tutti soffrono tale situazione, stanno reclamando in seno alle Nazioni Unite affinché il commercio illecito delle armi piccole e leggere sia equiparato alle altre minacce globali.
Si stima che, senza contare le situazioni di confllitto, le uccisioni avvenute tramite le armi da fuoco siano più di 200.000 l’anno.(1) Quindi in situazioni correlate al crimine, all’uso o al misuso di tali armi. Ad essi si aggiungono le vittime dell’aree di guerra, non meno numerose. In Iraq, la probabilità di rimanere uccisi dalle cosiddette armi leggere è aumentata di 58 volte in seguito al conflitto, e in uno studio della Johns Hopkins University pubblicato da Lancet (2), si calcolano in 100.000 i “danni collaterali” (morti imprevisti) della guerra irachena. Con il collasso del regime di Saddam Hussein circa 7 milioni di armi da fuoco sono state vendute o saccheggiate dai magazzini, infiltrando il tessuto della società civile (3).
L’altra guerra mediatica, quella del Darfur in Sudan, produce 10.000 morti ammazzati al mese e sta attirando l’attenzione della comunità internazionale, ma alcuni conflitti - come quello in atto Repubblica Democratica del Congo - sono assolutamente ignoti all’opinione pubblica, e ignorati dai governi. Eppure gli uccisi sono mille al giorno, e in sei anni di guerra hanno raggiunto l’ordine dei milioni. Le cifre sono dunque apocalittiche. Tragedie di tali dimensioni, operate nella maggior parte dei casi attraverso l’uso delle armi piccole e leggere (tecnicamente Small Arms and Light Weapons, SALW), ha in effetti una portata “di massa”, e come tale deve essere affrontato.
Le Nazioni Unite a tale scopo hanno stilato nel 2001 un Programma d’Azione per frenare il commercio illegale delle SALW, ma che finora ha dato pochi risultati. Alcuni di questi si sono raggiunti nei Paesi latinoamericani o dell’Unione Africana, i quali hanno proceduto alla confisca e alla distruzione di alcune decine di migliaia di pezzi, e in alcuni casi, a emettere avanzate leggi per il controllo della produzione e della vendita. Ma il principale ostacolo per una effettiva attuazione degli obiettivi del Programma d’Azione, sta nella non collaborazione che ancora oggi si riscontra nell’intera comunità internazionale.
Il problema principale non è tanto il fatto che il commercio delle armi leggere sia quasi sempre interrelato con altri traffici illegali e clandestini, soprattutto quello della droga, ma sembra essere invece la cattiva coscienza e volontà dei grandi produttori ed esportatori: cioè gli stessi membri del Consiglio di Sicurezza. (4)
L’ostacolo più rilevante per risolvere tale problema sta proprio nelle cifre da capogiro che produce. L’ONU ritiene che in tutto il mondo vi siano circa 600 milioni di pistole, fucili e simili. Tutto ciò significa naturalmente un giro d’affari di miliardi di dollari, a cui malvolentieri si vuole mettere un freno. Il tentativo di concretizzare il Programma d’Azione in un documento legalmente vincolante per assicurare un’efficace marcatura e schedatura delle armi e delle munizioni. Il negoziato, che si concluderà nel giugno del 2005, sembra andare verso un nulla di fatto, soprattutto per la rigida posizione statunitense sui due punti fondamentali. La natura - politicamente o giuridicamente vincolante - del documento e l’inclusione o meno delle munizioni. Nonostante la posizione di minoranza, un documento che non trovi l’appoggio degli USA su tali questioni sarebbe inutile a causa del peso che tale paese ha nella produzione e nell’esportazione.
Del resto, anche il Gruppo di Esperti di Alto Livello nominato da Kofi Annan con il compito di progettare la riforma delle Nazioni Unite a 60 anni dalla loro fondazione (ma soprattutto in seguito allo scandalo che ha coinvolto gli alti gradi nel programma Oil for Food), ha dato pochissima attenzione al problema delle armi leggere, escludendolo dall’elenco delle minacce che affligono il nostro pianeta all’inizio del 21° secolo. Tra le altre, nell’elenco del Rapporto appena pubblicato e ora in discussione presso l’Assemblea Generale, figurano la povertà, l’AIDS, i conflitti civili e internazionali, le armi biologiche, chimiche e nucleari, il terrorismo, e la criminalità organizzata transnazionale. Sebbene le SALW possano rientrare come sottocategoria di qualcuno di questi gruppi, di fatto il Rapporto non ne parla quasi per niente.
Soprattutto i paesi africani non mancano già di fare notare questa palese omissione, esprimendo una volta di più la frustrazione per la pochissima considerazione data a quelle “minacce” che li affligono più da vicino. L’atteggiamento attuale della comunità internazionale sembra infatti rivolto a considerare come minacciosi i paesi impoveriti, senza mai tenere presente che anche gli atteggiamenti di quelli arricchiti, possono essere lesivi della pace internazionale. Ad esempio, gli stati africani denunciano come nel Rapporto venga dato spazio all’AIDS solo come problema per la sicurezza - e quindi come possibile minaccia anche per i paesi ricchi - e non come problema sociale, che a tutt’oggi miete milioni di vittime nel continente africano.
Anche nel caso delle armi leggere, se sforzi e risultati ottenuti sono tanto miseri lo si deve a questa prospettiva deformata per la quale minacce e tragedie hanno due ordini di grandezza diversi. Prima vengono quelli che preoccupano il mondo ricco e possono in qualche modo turbare l’ordine attuale di predominio economico e militare occidentale. Poi - ma solo in quanto “minaccia alla sicurezza” - vengono gli altri problemi. Con tale approccio la diffusione delle SALW, in quanto affare redditizio per i paesi produttori, e in quanto piaga dei paesi più poveri, non sembra andare incontro ad una soluzione a breve termine. Ma nonostante tutto c’è chi non smette di combattere per cambiare le regole del gioco. Sono tutte quelle associazioni che continuano a tenere alta l’attenzione su tali temi (vedi i siti utili sotto), proponendo metodologie d’azione, come lo studio e l’iniziativa politica, che ci permettono di non sentirci del tutto inermi di fronte a questioni davvero, tanto, troppo “pesanti”.
NOTE:
(1) Dati delle Nazioni Unite sul tema:
(2) Cerca nel sito di Lancet
(3) Vedi il IANSA’s Review of 2004
(4) ControlArms, Guns or Growth?, p. 11.
SITI UTILI:
http://www.controlarms.org/index.htm