Scriveva Giuliana: "I giornalisti sono ostaggio di tutti gli effetti perversi provocati dall'occupazione militare e dalla privatizzazione della guerra. L'ostilità degli iracheni verso l'occupazione si è ampliata fino a coinvolgere tutti gli stranieri. Del resto, quando si spaccia un intervento militare come missione di pace non si può pretendere che dall'altra parte si facciano distinzioni sottili". Di lei dice Dacia Maraini: "Giuliana è una persona generosa e vera, nel senso che non ha mai fatto vanto del suo coraggio e delle sue verità. Una persona schiva che fa il suo lavoro con passione e fino in fondo. Conosceva i rischi che correva, e non li sottovalutava, come sostiene qualcuno. Le sue parole che minimizzavano i pericoli, erano lì per rassicurare e non per esprimere incoscienza. Il coraggio non consiste, come spiega bene Stendhal, nel non avere paura - nel qual caso si tratta di pura incoscienza - ma nel conoscere e nell'affrontare questa paura, quando ci sembra necessario. Per Giuliana, fare campagna contro la guerra vuol dire andare a informarsi e raccontare il conflitto, nel centro del suo occhio perverso, senza sottrarsi a nessuno dei rischi che questo comporta. Raccogliere dal vivo le testimonianze di chi la guerra la subisce, senza potere dire il suo parere. Dare spazio alle voci degli esclusi, dei deboli. E' quello che ha fatto, con consapevolezza e forza d'animo. E noi dobbiamo esserle grate. Soprattutto noi donne, che siamo così spesso mortificate dalle immagini di corpi femminili asserviti, acconciati passivamente per una improbabile mistificante seduzione, divisi e messi in vetrina. Giuliana ci ricorda che esistono, anche se ben nascoste, donne che pensano, che prendono decisioni, che partono alla volta di terre sconosciute, per dare testimonianza dei troppi silenzi complici e interessati, senza chiedere nulla e tutto rischiando per fare conoscere il vero. Ti aspettiamo, Giuliana". Dobbiamo essere grate a Giuliana Sgrena e dobbiamo essere grate a suor Dotothy Stang, uccisa in questi giorni in Brasile. L'assassinio di sorella Dorothy, della Congregazione di Notre Dame di Namur, racconta Maurizio Matteuzzi, giornalista, profondo conoscitore della realtà latinoamericana, "è il crimine più annunciato dalla morte del leader seringueiro Chico Mendes nell'88". Dorothy Stang e' stata uccisa da due killer assoldati da un fazendeiro a una quarantina di chilometri dalla cittadina di Anapu, nell'ovest dello stato del Parà, 600 chilometri dalla capitale Belem. Nove colpi in faccia, mentre si dirigeva in compagnia di altre due persone a una riunione del progetto di sviluppo sostenibile "Esperanca" che dirigeva, fissata nella sede dell'Incra, l'Istituto nazionale della colonizzazione e riforma agraria. Sorella Dorothy aveva 74 anni, era originaria dell'Ohio, negli Stati Uniti, ma era in Brasile dagli anni '60 e di recente aveva ottenuto la cittadinanza brasiliana e la cittadinanza onoraria dello stato del Parà. Lavorava con i braccianti senza terra, le donne, i poveri.
Sorella Dorothy era una delle centinaia di persone - preti e suore come lei, sindacalisti dell'Mst, braccianti, i (pochi) politici e giudici non venduti - "marcadas para morrer". Era segnata. Nella scandalosa indifferenza, o meglio complicità, delle autorità a tutti i livelli. Solo mercoledì 9 febbraio sorella Dorothy aveva denunciato, nel corso di un'udienza pubblica a Belem, di fronte al segretario per i diritti umani del governo Lula, Nilmario Miranda, e alle autorità statali e giudiziarie del Parà l'attività "predatoria" dei fazendeiros e madeireiros, la "violenza sfrenata" legata alla terra, i "crimini ambientali", e aveva rivelato che sulla testa sua e di altri tre attivisti era stata messa una taglia. Donne dalla parte della vita, non solo dalla parte delle donne. Grazie. Anche per tutte le donne a cui non è stato permesso di nascere o di crescere: Joan Holmes, presidente di "The Hunger Project" e membro del programma Onu "Millennium Project Hunger Task Force" ha recentemente affermato che 93 milioni di donne e bambine sono "scomparse" dalla popolazione mondiale a causa degli aborti selettivi per sesso, dell'infanticidio femminile, della denutrizione, dell'abuso e della negazione di cure alle neonate. Il Premio Nobel Amartya Sen ha coniato il termine "donne mancanti" per descrivere il gran numero di donne al mondo che sono morte a causa della discriminazione. 93 milioni di vittime è un numero grosso modo equivalente a tutti i decessi in tutte le guerre del XX secolo, il secolo piu' violento della storia umana. Questo delle donne è un olocausto ripetuto molte volte. E quindi: perchè noi cittadini e cittadine del mondo non udiamo nulla rispetto a tale tragedia? In che tipo di mondo stiamo vivendo, se in questo mondo 93 milioni di vite possono essere estinte solo perchè di sesso femminile? Dov'e' la nostra vergogna? Dov'e' il nostro sdegno? Ti aspettiamo Giuliana: c’è bisogno di donne come te.