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Chüsot, salame di tacchino e polli di don Abbondio: una zootecnia in più per l’Appennino

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CANOSSA - Un’altra zootecnia per la montagna è possibile? E che senso avrebbe? Se ne è parlato, nei giorni scorsi, alla tavola rotonda, promossa dall’Unione generale coltivatori, dal titolo: “Produzione e commercializzazione: organizzazione di una filiera per la zootecnia minore”.
All’agriturismo “Il Rifugio” Giuseppe Carini, nelle vesti di moderatore, ha chiarito: “Qui si produce Parmigiano Reggiano, che è la forma di zootecnia più remunerativa per chi è in grado di perseguirla a tempo pieno. Eppure, esistono disponibilità di spazi e di tempi minori che possono consentire anche l’allevamento d’altri tipi d’animali, con l’obiettivo di integrare altri redditi di chi vuole restare in montagna”.
Paolo Calvi di Coenzo, ex colonnello della Guardia di Finanza, una laurea in geografia economica applicata, già nello staff del Parco Nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano: “Nel mio piccolo porto l’esperienza di un piccolo allevamento di capponi su sei soli ettari di terreno: è certo che anche piccoli allevamenti possono garantire redditi anche in zone marginali”.
Emblematica l’esperienza bresciana, dove, per la prima volta, si è assistito al connubio tra istituto di credito e agricoltori.
“I nostri studi ci dicono che i margini di sviluppo in territori a vocazione agroalimentare, come i nostri, si sono notevolmente ridotti. Questo mette a serio rischio anche la possibilità di recuperare capitali per una banca. Non solo ci è parso chiaro come l’agricoltore subisca quasi ovunque il mercato. Abbiamo deciso di agire” ha detto Angelo Bocchi della banca di credito cooperativo Cassa Padana. Di qui nasce l’esperienza innovativa di Archenatura: una società che unisce l’istituto di credito e una cooperativa di agricoltori. “Obiettivo – ha spiegato il presidente Maurizio Gritta – avvicinare l’agricoltore ai migliori sbocchi di mercato, in relazione alle sue peculiarità, alla sua storia e alle sue qualità, valorizzate dal marchio del ‘Dominato Lanense’. All’agricoltore, questa società sottopone contratti che, preventivamente, ne garantiscano il ritiro e la vendita del prodotto a un prezzo stabilito. Come? Intercettando determinati segmenti di mercato in cui la richiesta di prodotti di qualità è certa”.
“Nei secoli in Appennino la zootecnia minore – ha spiegato nella sua indagine storica il giornalista e agronomo Gabriele Arlotti - fa riferimento a polli, ovaiole, capponi, tacchini, oche, anatre, conigli, maiali, capre e, più di recente, ovini e bovini da carne. Non mancano i prodotti particolari e unici della nostra montagna, come il ‘chüsot’ (prosciutto di pecora), il salame di tacchino, il salame fiorettino, lo zucco di maiale ed altri ancora”.
Antonio Giorgioni, della Comunità montana: “Chiarito che la nostra agricoltura è al 95% Parmigiano Reggiano, è comunque ipotizzabile lo sviluppo di una zootecnia diversa, purché in un’ottica d’integrazione di reddito e non di ‘imprenditorialità’ vera e propria, come avvenne con la débâcle avicola negli anni sessanta”.
Luciano Semper, presidente dell’Associazione Regionale Ovinicoltori: “La nostra esperienza ci dice che è necessario creare una filiera completa se si vuole valorizzare un prodotto”. “Questo può essere fatto – ha aggiunto Giovanni Matteotti presidente Aiab – con particolare riferimento a prodotti di nicchia, che possono utilizzare al meglio le potenzialità di questi animali. Come i salumi di bovino e ovino”.
Umberto Magnani docente Universitario e funzionario Ausl: “Deve essere comunque imprescindibile che queste produzioni: si differenzino, siano riconoscibili e nel contempo siano salubri e garantiscano nel tempo la ripetibilità della qualità”.
La tavola rotonda si rivolgerà, a breve, agli agricoltori: con un convegno. Entro il prossimo anno sarà predisposto un vero e proprio progetto per lo sviluppo della filiera incentrata sulla zootecnia minore.