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Cecenia: una guerra dimenticata

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Da circa dieci anni la Repubblica Cecena, situata tra il Mar Caspio ed il Mar Nero, è incendiata da un conflitto che ha già provocato la morte di più di un quarto della popolazione locale, costringendo centinaia di migliaia di sopravvissuti a fuggire precipitosamente dalle proprie case. Nel silenzio quasi assoluto della grande stampa internazionale e locale, ha fatto recentemente eccezione soltanto l’interessamento di Antonio Russo di Radio Radicale, poi assassinato brutalmente per mettere a tacere la sua pervicace indagine sui retroscena incofessabili della guerra. Ultimo in ordine di tempo ad occuparsene è però stato Carlo Gubitosa, tra i pochi ancora capaci di un giornalismo d’inchiesta, fatto sulle strade, lontano dalle redazioni supervisionate dei grandi media. Giornalista freelance, Gubitosa si trovava a ieri a Reggio per presentare, presso l’Aula Magna della Facoltà di Ingegneria, la sua ultima fatica, edita da «l’Unità», intitolata "Viaggio in Cecenia, la guerra sporca della Russia e la tragedia di un popolo". Ne esce un quadro sconvolgente ed inquietante non solo per le “scontate” e fin quasi banali litanie di orrori che accompagnano ogni guerra, ma soprattutto per l’immorale silenzio della comunità internazionale.
Del resto sono molti i nodi che legano il dramma della popolazione cecena con le «magnifiche sorti e progressive» degli interessi occidentali, che ci rendono complici. Anzitutto, la triste coincidenza che, nel dicembre 1999, vede il governo italiano ratificare un trattato di collaborazione e fornitura militare con la Federazione Russa, proprio nei giorni in cui questa si rende colpevole di un indiscriminato bombardamento della capitale cecena, Grozny. La città è rasa al suola, migliaia di vittime civili sono sotto le macerie; per chi resta non c’è acqua, luce, cibo; per chi fugge solo la condizione di profugo. I russi, chiudono le frontiere, impediscono l’accesso ad operatori umanitari e giornalisti, violano ripetutamente i diritti umani. La denuncia dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite (aprile 2000), non basta perché l’Unione Europea si decida a pretende da Putin un cambio di rotta. Una proposta di espulsione dal Consiglio Europeo, infatti, è vanificato proprio dal Ministro degli Esteri Italiano, Lamberto Dini, allora presidente di turno del Consiglio, che parla (giugno 2000) di «combattimenti confinati» e «miglioramenti incontestabili».
Prima e dopo di allora, fino ad oggi, denunce gravissime esposte dall’ONU, da Amnesty International, da Human Rights Watch elencano invece ripetuti bombardamenti sulle colonne dei profughi, esecuzioni sommarie, fosse comuni, stupri di donne, uccisione di bambini, brogli elettorali, repressione del dissenso con la violenza, attuazione di “strategie della tensione”. Ad esse si alternano le menzogne prima del Centrosinistra di allora e, oggi, di Silvio Berlusconi che difende a spada tratta «l’amico Putin».
Intanto vengono alla luce gli interessi delle multinazionali del petrolio tra cui figura ENI che mal vedono la pacificazione dell’area, in quanto potenzialmente pericolosa per le lucrose royalties che esse potranno imporre appena il megaoleodotto Baku-Tblisy sarà ultimato. Aggirando la regione caucasica tra i due mari, e attraverso il territorio turco sotto influenza della NATO, questa opera immensa sarà un via privilegiata d’accesso agli enormi giacimenti del Mar Caspio. Un facile guadagno che la pace della regione cecena non permetterebbe.
Insomma un incendio danaroso, che l’amministrazione americana non manca di ravvivare finanziando le fazioni separatiste cecene, tra cui quella islamica fondamentalista whhabita, e fornendo dall’altra parte una pezza giustificativa ideologica a Putin con il prestito del marchio tutto “made in USA” della “guerra al terrorismo”. Una finzione teatrale dietro cui si nascondono le ragioni di stato russe (che non possono permettersi di perdere l’influenza su un’area tanto ricca e importante), le ragioni di potere di Putin e i lucrosi affari delle oligarchie moscovite, i traffici illeciti delle bande armate che si spartiscono il territorio della piccola repubblica, le geostrategie dei governi occidentali, le compagnie petrolifere. Un lugubre stormo di avvoltoi che si aggira sulla carcassa di un piccolo popolo che chiede solo pace, con un filo di voce troppo flebile perchè giunga a farsi largo in questa rissa di bugie e menzogne.

Davide Bolognesi